Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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26 novembre 2008

Privatizzazione dell'acqua

E’ il 1992, ho solo sei anni e sono seduta dietro un banchetto come altri 18 bambini; la maestra mi sta spiegando il processo dell’acqua, i suoi diversi stadi e il passaggio tra l’uno e l’altro ma, soprattutto, la maestra ci spiega che l’acqua sgorga direttamente dalla Terra ed è per questa ragione un bene naturale ed un diritto inalienabile dell’uomo; è di tutti e per tutti. L’acqua è un bene finito, indispensabile all’esistenza degli esseri viventi.
E’ il 5 agosto 2008 e il Parlamento Italiano, con l’appoggio dell’opposizione (in particolare del Pd) approva una legge (legge 133/ 2008) che fa parte della c. d. “finanziaria triennale” del Ministro Tremonti, poi diventato decreto legge 112, che affida “il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica […] ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati […] tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua” ; tutto questo con la finalità di “ favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operanti economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale”. In altre parole: privatizzazione dell’acqua. In questo modo in Italia l’acqua non è più un bene pubblico ma semplicemente una merce di cui si impadroniscono le multinazionali internazionali.
Questa situazione trova un antecedente nel caso di Latina, dove la Veolia (multinazionale che gestisce l’acqua locale) ha aumentato le bollette del 300 %. A seguito di questa crescita spropositata della spesa per il consumo di acqua i consumatori hanno deciso di attuare una politica di resistenza non pagando le bollette alla Veolia ma direttamente al Comune; come risposta, la multinazionale ha inviato squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori.
Le questioni fondamentali legate a questo provvedimento che necessitano di essere messe in luce sono molteplici.
In primis la questione che possiamo definire “etica”. Come sopra detto l’acqua è un bene di prima, anzi primissima necessità, senza la quale l’uomo non può sopravvivere, è quindi assurda anche solo l’idea di renderla privata e sottomessa ad una gestione non pubblica ed alle leggi del mercato e dell’economia.
In secondo luogo, questa legge è l’ennesima azione che priva i Comuni di entrate, a favore delle multinazionali. Il problema è che in tutta Europa si procede nel senso opposto, ponendo come imperativo socio- politico il principio di sussidiarietà; tale principio, in estrema sintesi, postula che gli enti più vicini ai cittadini devono compiere tutte le azioni che autonomamente e singolarmente sono in grado di fare, senza ricorrere ad enti o strutture “gerarchicamente superiori” (ad esempio le Regioni o lo Stato). Ciò deve avvenire per un duplice motivo: perché i Comuni conoscono più da vicino, e quindi meglio, la realtà che amministrano e possono rispondere con maggiore prontezza ed efficacia alle esigenze dei cittadini; in secondo luogo agire seguendo il principio di sussidiarietà equivale ed eliminare oneri agli enti c. d. “gerarchicamente superiori” che potrebbero così dedicarsi con più attenzione alle questioni di loro competenza. Se però si continua a procedere nella direzione dell’eliminazione di fondi ai Comuni, saranno sempre meno le iniziative che questi potranno promuovere e sempre con minor efficacia ed efficienza porteranno avanti i progetti in corso.
In terzo luogo reputo importante mettere ancora una volta l’accento sullo stato di disinformazione in cui viviamo, per cui si comincia a parlare di questo tema a più di quattro mesi dall’emanazione delle legge, quindi, di fatto, a danno compiuto.
Fortunatamente si stanno moltiplicando le iniziative dal basso, promosse da associazioni, enti pubblici e cittadini contrarie alla privatizzazione dell’acqua e dirette a far riflettere sui consumi della risorsa idrica (non dimentichiamo che l’Italia è il maggior consumatore al mondo di acqua in bottiglia di cui il 65% di plastica). Esempi di questa mobilitazione sono la campagna di Altreconomia per diffondere l’uso dell’acqua del rubinetto; il progetto “100% pubblica” in atto a Venezia che si basa su strategia di marketing proprie delle grandi marche di acqua e rielaborate nel segno dell’acqua come bene pubblico; infine,di particolare interesse credo possa essere il Forum Italiano dei Movimenti dell’ Acqua, che ha raccolto un gran numero di testimonial nel mondo dello spettacolo a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per sottrarre l’acqua dalla leggi di mercato e per garantire a tutti l’accesso ad un quantitativo minimo, ma vitale, di acqua al giorno. Tale proposta “si prefigge l’obiettivo di favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale”.
*Giorgia Notari

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