Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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29 gennaio 2009

In libreria

Sergej Dovlatov
«Il giornale invisibile».
Palermo, Sellerio editore, 2009, pp. 180.


Scheda dell'editore
Agli inizi degli anni Ottanta Dovlatov fondò a New York, con un gruppo di amici emigranti, tutti ex giornalisti, il «Nuovo Americano», un settimanale in lingua russa che si presentava come organo ufficioso dell'emigrazione russo-ebraica giunta in America nella seconda metà degli anni '70. Il primo numero uscì, dopo molte peripezie, l'8 febbraio 1980 inaugurando un periodo di clamoroso successo. «Il giornale invisibile» è un lungo racconto su quella attività giornalistica e sulle vicende legate a quello che Dovlatov stesso definì il periodo "più felice della mia vita". Una sorta di testamento esistenziale, un bilancio complessivo in cui vita e letteratura si fondono definitivamente. E in questo racconto amaro, è la malinconia umoristica di Dovlatov a farci sorridere ancora una volta, la sua autodissacrazione a farci riflettere.
*segnalato da S.C.
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26 gennaio 2009

In libreria

Un’Università che cambia in un mondo che cambia: nuove prospettive di ricerca negli studi europei. Atti della giornata dei giovani ricercatori, XI Summer School AUSE, Imperia, 27 settembre 2007, a cura di Lara Piccardo, Milano, Ediplan, 2008.

Descrizione
A partire dalla fine degli anni Ottanta, gli studi europei hanno conosciuto un considerevole sviluppo: la caduta del Muro di Berlino è da considerarsi in qualche modo «liberatoria» per questo settore di ricerca e, con la fine del bipolarismo, le analisi sull’integrazione comunitaria si sono definitivamente emancipate dalla piatta interpretazione che faceva coincidere europeismo e atlantismo, sottraendosi anche all’univoca lettura nazionale. Il contesto europeo è diventato pertanto oggetto di una ricostruzione più ampia, che tiene conto della realtà continentale nella sua complessità, figlia nel contempo di ragion di Stato e di ideali, così come essa si è venuta modellando nel corso della seconda metà del Novecento.
È possibile oggi proporre un’analisi ragionata dei temi su cui questi studi si sono focalizzati, così come dei settori disciplinari e dei paesi maggiormente coinvolti. Tale è l’obiettivo che si prefigge il presente volume, che intende presentare un primo «stato dei lavori» a partire dalle ricerche dei giovani studiosi, proponendosi di individuare anche spunti per ulteriori indagini.

La curatrice Lara Piccardo, dottore di ricerca in «Storia dell’Europa, del federalismo e dell’unità europea», è assegnista di ricerca in «Storia contemporanea» e titolare del Modulo europeo Jean Monnet in Storia dei partiti europei e dei movimenti per l’unità europea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Genova. È autrice del volume L’Europa del nuovo millennio. Storia del quinto ampliamento (1989-2007), Bologna, CLUEB, 2007, e ha al suo attivo diversi saggi su URSS/Russia e integrazione europea e sui rapporti tra i rivoluzionari ottocenteschi italiani e slavi.

22 gennaio 2009

Scaffale amico

Andrea Catanzaro
Paradigmi politici nell'epica omerica
Firenze, Centro editoriale toscano, 2008.

20 gennaio 2009

Convegno per Franco Carlini


"Politica condivisa: altruismo e democrazia nella rete”
20 gennaio 2009


"Parole e idee dedicate a Franco Carlini" questo il titolo del convegno oragnizzato da Totem per il 20 gennaio 2009 a Genova, a partire dalle ore 9.00, presso l'Aula Mazzini dell'Università degli Studi di Genova, Facoltà di Scienze Politiche (Via Balbi 5, III piano).
Franco Carlini, prematuramente scomparso alla fine di agosto 2007, è stato tra i primi in Italia a interessarsi a internet e alla rivoluzione digitale e alle sue conseguenze sulla cultura, la società e la politica.
Ha raccontato questi cambiamenti come giornalista, li ha analizzati come saggista, ha provato a indirizzarli come intellettuale militante, li ha esplorati come imprenditore. Tra i motivi che spiegano il suo interesse per la rete c' erano, non ultime, le opportunità che questa apre per la costruzione di relazioni sociali altruistiche e non esclusivamente utilitaristiche e commerciali. Di certo, Franco era affascinato dalle tensioni prodotte nel confronto fra le pratiche altruistiche emergenti, potenziate dalle reti digitali, e il funzionamento delle istituzioni sociali presenti, a cominciare dal mercato. Di certo, si divertiva moltissimo a indagare i conflitti e le opportunità che questa tensione produceva.

Lo scopo di questo incontro è dunque quello di continuare a discutere di questi temi con quell'approccio libero e multidisciplinare che era di Franco Carlini.

Programma
Ore 9.00: Saluti
Stefano Monti Bragadin Corso di Laurea interfacoltà in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo,Università degli Studi di Genova
Milò Bertolotto Assessora Organizzazione e Personale, Sistemi informativi, Carceri, Iniziative per la pace, Provincia di Genova
Giovanni Battista Pittaluga Assessore Organizzazione, Risorse umane, finanziarie e strumentali, Informatica, Regione Liguria

Ore 9.30: Tavola rotonda - prima parte Modera: Totem
"La città digitale" Andrea Ranieri - Assessore Sviluppo dell’Innovazione e dei Saperi, Comune di Genova
"Scienza, saperi, cultura: Genova in rete. Altruismo, internet ed economia del dono" Luca De Biase - Giornalista - Nova-Il Sole 24 Ore
"Quel che resta delle cyberutopie" Carlo Formenti - Università di Lecce
"Da Mary Parker Follett a Obama" Ferdinando Fasce - Università di Genova
"La conoscenza come bene comune" Juan Carlos De Martin - Nexa Center for Internet & Society

Ore 11.45: Pausa caffé equosolidale
Ore 12.00: Tavola rotonda - seconda parte Modera: Totem
"Il capitalismo e la knowledge economy" Benedetto Vecchi - Giornalista - il manifesto
"Il giornalismo all'epoca della rete"Anna Masera - Giornalista - La Stampa
"Terra Madre: la comunità del cibo come scambio di saperi" Carlo Petrini, Silvio Barbero - Slow Food

13.30: Conclusioni di Stefano Rodotà Università La Sapienza - Roma

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*Link all'inedito di Franco Carlini, Il circolo della conoscenza (il Manifesto, 20 gennaio 2009).
*Link ai resoconti della tavola rotonda e alla rassegna stampa pubblicati nel sito di Totem.to.
*Link ai file audio degli interventi pubblicati nel sito di Totem.to.

15 gennaio 2009

Lo spirito di un giornale

"Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all’erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane".
Giuseppe Fava
1981

Giuseppe Fava è uno dei tanti giornalisti siciliani uccisi dalla mafia il 5 gennaio 1984. Nel 1982 a Catania aveva fondato il giornale "I Siciliani", che resta un modello della sua concezione del giornalismo, etico e democratico. La citazione è tratta da un suo articolo pubblicato sulle colonne del "Giornale del Sud", 11 ottobre 1981.

*Link alla biografia di Giuseppe Fava ; Link ad alcuni articoli de "I Siciliani"
*Link al sito della
Fondazione Giuseppe Fava.

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14 gennaio 2009

In Libreria

Massimo Onofri
Recensire. Istruzioni per l'uso
Roma, Donzelli, 2008, 152 p.

scheda dell'editore Donzelli
"Che cos'è la recensione? È un genere letterario specifico, rigorosamente definibile? O non è, piuttosto, una modalità del pensiero e della scrittura, tale da poter coincidere con la critica letteraria?". Dopo l'analisi delle condizioni e dello statuto della critica militante, Massimo Onofri torna impavido su un terreno da sempre scivoloso e decide di farci entrare nell'atelier del critico in carne e ossa, all'opera mentre si serve degli strumenti e dei trucchi del mestiere. Attraverso una ricca e significativa rassegna di casi particolarmente felici o infelici di recensioni celebri a libri celebri, Onofri si chiede in sostanza: che cosa si fa, insomma, quando si scrive una recensione? Il critico, convinto com'è che ogni articolo serbi in sé il rimpianto di tutti quelli che non si sono scritti al suo posto, se lo chiede, ben sapendo che il recensire non è un atto sbrigativamente riducibile alla pratica giornalistica, ma rivela, in profondità, la verità dell'atto critico in quanto tale, se è vero che il critico è, innanzitutto, un lettore che scrive e si dà ragione della sua esperienza. Su tali premesse, il libro offre anche un ampio campionario di exempla, divisi idealmente in tre tipologie: come si debba recensire; come assolutamente non si debba; e le stroncature memorabili. Mai reticente, ma sempre chiamando tutti per nome e inchiodando ogni critico alle proprie personali responsabilità, Onofri si mostra qui nella sua più smagliante versione "militante".

13 gennaio 2009

Il potere rivoluzionario

In questi giorni sto leggendo un libro abbastanza conosciuto che si intitola "La Deriva Americana", il suo autore, Paul Krugman, economista e columnist del New York Times, in Italia si legge su Repubblica. Questo libro, quasi un Best Seller, raccoglie in forma organica gli articoli scritti per il quotidiano newyorkese dal 2000 al 2003 e per questo fatto non si dovrebbe considerarlo propriamente aggiornato, tuttavia per chi come me ostenta un'ignoranza quasi imbarazzante, costituisce pur sempre un buon viatico in vista di un breve tour negli Stati Uniti. Sfortunatamente il pretesto che mi induce a scrivere è un fatto tutto Italiano e riguarda la fiducia posta dal Governo sul Dl "anticrisi". I fatti in questione sono cronaca delle ultime ore e non è difficile trovarne sintesi sufficienti sui principali organi di informazione nazionale. La connessione tra il libro in questione e l'attualità politica mi è stata offerta dal Presidente della Camera. Se anche Fini, eletto a garante del parlamento dalla maggioranza, sente il bisogno di esternare così platealmente il proprio disappunto nei confronti del comportamento "anti-parlamentare" del Governo, mi viene automatico pensare immediatamente alla definizione di "potere rivoluzionario" che Krugman da. Senza andar troppo lontano è nell'introduzione al suo libro che l'autore, nel tentativo di descrivere il governo dell'attuale presidente degli Stati Uniti George W. Bush fa ricorso ad "un vecchio libro sulla diplomazia del Diciannovesimo secolo scritto [...] da Henry Kissinger."

Un potere rivoluzionario
Nel lontano 1957, Henry Kissinger - allora giovane studioso ad Harvard brillante e iconoclasta, la cui carriera futura di cinico manipolatore politico e, in seguito, capitalista e faccendiere era ancora molto di là da venire - pubblicò la propria tesi di dottorato, A World Restored. Non viene da pensare che un libro sugli sforzi diplomatici di Metternich e Castlereagh sia rilevante per la politica statunitense nel Ventunesimo secolo. Eppure le prime tre pagine del libro di Kissinger ancora mi fanno venire i brividi lungo la schiena, perché sembrano fin troppo significative rispetto agli eventi attuali.

In queste poche pagine, Kissinger descrive i problemi con cui doveva confrontarsi un allora stabile sistema diplomatico quando si trovava di fronte ad un «potere rivoluzionario» - un potere che non accetta la legittimità del sistema. Dal momento che il libro è sulla ricostruzione dopo la battaglia di Waterloo e il potere rivoluzionario a cui alludeva era la Francia di Robespierre e Napoleone, chiaramente anche se implicitamente vi sono tracciati dei parallelismi con il fallimento della diplomazia che deve confrontarsi effettivamente con i regimi totalitari negli anni trenta. (Nota: tracciare dei parallelismi non significa delineare un'equivalenza morale.) Mi sembra chiaro che si dovrebbe guardare al movimento della destra americana - che oggi controlla in effetti l'Amministrazione, le due Camere del Congresso, gran parte del sistema giudiziario e una buona fetta dei media - come potere rivoluzionario nel senso dato da Kissinger. Cioè, si tratta di un movimento i cui capi non accettano la legittimità del nostro attuale sistema politico.


Non vi viene in mente niente? Non cogliete anche voi uno spaventoso "parallelismo" che qui invece si che delinea preoccupanti equivalenze morali?

- Di fatto vi sono abbondanti prove che gli elementi fondamentali della coalizione oggi alla guida del Paese credono che delle istituzioni sociali e politiche americane di lunga tradizione non dovrebbero, in linea di principio, esistere - e non accettano le regole che il resto di noi da per scontate.


Successivamente Krugman, temendo di essere preso per un allarmista si spende in una serie di esempi per i quali non è difficile cogliere altrettanto preoccupanti parallelismi con la situazione sociale e politica italiana. In realtà interi capitoli del suo libro meriterebbero di essere riportati; e lo farei volentieri se non sentissi già le critiche di allarmismo se non addirittura di "terrorismo politico", lanciate dai supporter che dagli spalti in parlamento e sui media nazionali si scagliano contro qualunque critica al Governo. Fosse anche una mera rilevazione dei fatti.
In effetti lascio al piacere di ogni lettore l'effimera soddisfazione di trovarli, questi parallelismi, e mi limito a riassumere brevemente i settori della società e politica americana che Krugman porta ad esempio del radicalismo dell'azione di governo.
La drastica contrazione delle politiche sociali considerate addirittura come violazione ai principi fondamentali, la politica estera guidata da uno spiccato unilateralismo e sostanziale disprezzo per quegli organismi internazionali che gli Stati Uniti hanno contribuito sostanzialmente a creare.

- un eminente pensatore vicino all'Amministrazione, Michael Leden, dell'American Entreprise Institure for Public Policy Research, ha dichiarato che «siamo un popolo bellicoso e amiamo la guerra».


Riferendosi alla guerra in Iraq ...

un alto funzionario del dipartimento di Stato, John Bolton ha detto a funzionari Israeliani che dopo l'Iraq gli Stati Uniti si sarebbero occupati di Siria, Iran e Corea del Nord.
E non è nemmeno finita qui. La separazione fra Stato e Chiesa è uno dei princìpi fondamentali della Costituzione americana. Ma Tom DeLay, capo della maggioranza alla Casa Bianca ha dichiarato agli elettori che é in carica per promuovere una «visione biblica del mondo» e che la sua instancabile persecuzione di Bill Clinton era motivata dal rifiuto da parte dello stesso Clinton di condividere quella visione. (DeLay ha anche denunciato l'insegnamento dell'Evoluzionismo nelle scuole arrivando al punto di accusarlo di essere all'origine della strage nella scuola di Littleton.)[...]

Supponiamo, per un momento, che si prenda per buona l'immagine che ho appena descritto. Si concluderebbe che l'America non piace proprio alle persone oggi in carica. Se mettiamo insieme le priorità dichiarate, l'obiettivo sembra un po' questo: un Paese che non ha nessuna rete di sicurezza al proprio interno, che conta essenzialmente sulla forza militare per imporre la sua volontà all'esterno, in cui le scuole non insegnano la teoria evoluzionista ma la religione e - magari - in cui le elezioni sono solo una formalità. [...]


Torniamo a Kissinger. La descrizione che fornisce della risposta immobilista dei poteri costituiti di fronte ad una sfida rivoluzionaria funziona altrettanto bene se viene applicata al modo in cui l'establishment politico e i media americani ha risposto al radicalismo dell'Amministrazione Bush negli ultimi due anni:

Cullati da un periodo di stabilità che sembrava permanente, essi trovarono quasi impossibile prendere per vere le asserzioni del potere rivoluzionario che intendeva fare piazza pulita del contesto esistente. I difensori dello status quo tendono quindi a iniziare a minacciare il potere rivoluzionario come se le sue proteste fossero semplicemente dettate dalla tattica; come se accettasse in realtà la legittimità esistente ma sovrastimasse la sua portata ai fini di una contrattazione; come se fosse motivata da malcontenti specifici che devono essere mitigati da concessioni limitate. Quelli che mettono in guardia per tempo contro il pericolo vengono giudicati allarmisti; quelli che consigliano di adattarsi alle circostanze vengono considerati sani ed equilibrati [...].
Ma è l'essenza del potere rivoluzionario possedere il coraggio delle proprie convinzioni, spingere, davvero con forza, i suoi princìpi alla loro conclusione ultima.

In libreria

Donald Sassoon
La cultura degli europei. Dal 1800 a oggi
Milano, Rizzoli, 2008, pp. 1595.

scheda dell'editore
Un ambizioso viaggio nella cultura. Ma quale cultura, e soprattutto quella di chi? È partendo da questa domanda che Donald Sassoon, in una monumentale e analisi comparativa delle opere che hanno costruito l'immaginario europeo degli ultimi secoli, smantella la tradizionale distinzione tra cultura alta e bassa. Con l'occhio penetrante dello storico ne ripercorre lo sviluppo: da un mondo quasi analfabeta, disseminato di blocchi di conoscenza isolati da comunicazioni imperfette, fino a un presente interconnesso in cui un sapere fluido è accessibile a tutti. In particolare negli ultimi anni abbiamo assistito a un'esplosione dei consumi e la cultura si è rideclinata "come impresa e come professione": produce e distribuisce i propri artefatti su un mercato di massa, che si tratti di carta stampata, radio, cinema, televisione, fino alle più recenti tecnologie digitali. Partendo da questa concezione allargata e moderna di un concetto antico, Sassoon analizza i pezzi più amati del repertorio culturale dell'intera Europa, spaziando con naturalezza dal romanzo storico di Walter Scott alle strisce comiche di Asterix, dalle opere di Verdi ai brani pop scaricabili da internet, da Quo Vadis? a Harry Potter, da Godard a Dallas. Perché la cultura ive e si evolve nutrendosi di se stessa, in un continuo trasformarsi che conosce sì improvvisi scarti di gusto, ideologia, morale, ma in fondo oscilla continuamente tra la citazione e la dissacrazione.

11 gennaio 2009

In libreria

"Dignità di stampa"
a cura di G. Baiocchi, P.Chiarelli, A.e Lega e M. Volpati, Milano, Silvia editrice, 2009 , 215 p.

*link alla presentazione del libro su AffariItaliani

09 gennaio 2009

Facebook & Ebay took my baby away

Ci stupiamo, in Italia.
Siamo capaci di provare terrore per le cose più insulse, paesino vetero-borghese, Italietta.
Un becero sensazionalismo soffoca la vita pubblica, fa da topic nella discussioni private.
Ci stupiamo, in Italia. E per le facezie più futili.
Facebook, dunque, viene citatato a giorni alterni: La questione mamme-allattanti - peraltro scabrosa, ammetto - come quella filo-mafiosa hanno portato per l’ennesima volta il social network sulle prime pagine. E' ovvio che in un paese civile/di diritto/di martiri, sentire osannati alcuni figuri legati alla malavita organizzata farebbe, quantomeno, alzare le sopracciglia. Inorridire.
Che della cosa, però, si faccia lente d’ingrandimento sul popolo o che se ne faccia impressione conduce meccanicamente ad alcuni quesiti:
E’ doveroso farne della sensazione?
O è forse un’amplificazione sterile di pulsioni pre-esitenti?
Sappiamo stupire, in Italia. E sappiamo stupirci.
La questione è stupirsi per le cose sbagliate.
E’ come se nella Repubblica di Salò i giornali cominciassero ad enumerare i servigi cornifici subiti da donna Rachele.
Non mi sbalordisce - volendo restare in tema - che tale soubrette, in chissà quale programma, faccia sfoggio del tale gioiello del quale è lei stessa testimonial.
Non mi sbalordisce che Striscia La Notizia, il più triviale dei programmi tv, se ne faccia scrupolo, urlando la notizia, e al megafono.
Non mi sbalordisce che si tratti di grida contro un programma Rai.
Non mi sbalordisce pensare che il programma in questione sia padre, in un certo senso, di un certo sensazionalismo di traverso, atto ad atterrire all’insulso, a veicolare una retorica ben pensante, capace di farci additare il mostro per sentirci santi.
Non mi stupisce che tale programma, per il servizio sulla collanina-pubblicitaria di cui parlavo, abbia citato il sig. Catricalà, insignissimo presidente dell’anti-trust, come deus ex machina del corretto utilizzo dei mezzi televisivi, come figuro ombroso atto a smascherare ogni tentativo di pubblicità occulta, irreprensibile.
Non mi stupisce che, nello stesso programma, non si sia citato ancora questo personaggio come causa dell’immobilismo verso i trust dell’editore di riferimento(per citare un epico Vespa).
Non mi stupisco.
Deve essersi irretito il mio senso dello stupore: dopo anni di Tv, passiva e voluta, ho dimenticato evidentemente il puzzo della pudicizia.
Dopo anni di Striscia La Notizia e Porta a Porta mi è stato recapitato il passaporto dell’Italietta del sensazionalismo, pare. Temo sia connaturato alla tv: chi la fa, per esempio, dev’esser stato contagiato a pieni polmoni.
All’editore di mediaset, per dire, non può stupire che Provenzano faccia proseliti in rete.
Mangano, d’altronde, era un eroe, e non stupisce.

Vincenzo Marino
[versione aggiornata e moderata per GiornalismoRiflessivo]

05 gennaio 2009

Craxi e il cane da guardia, o "Noi, i ragazzi dello zoo di Bettino"

La visione della docu-fiction (pare si dica così) su Bettino Craxi di ieri sera mi ha dato lo spunto per trarre delle considerazioni in merito al ruolo-giornalista. Ritenendole troppo personali, ho deciso di non postarle su questo blog.
Chiunque fosse interessato può leggere l'intero post su
http://wannadestroyeunnomepiuttostostupido.wordpress.com/
wd?

01 gennaio 2009

Storia del giornalismo e diritti

"L’histoire du journalisme est intimement liée à celle des droits de l’homme parce que souvent, ses plus belles pages ont été écrites par des plumes de la liberté, parce que les journalistes dont on se souvient, que l’on lit encore et que la société honore, ont été animés par un sens profond d’humanité et qu’ils ont pris des risques, même celui de la mort et de l’impopularité, pour dire la vérité. Et il n’y a souvent de vérité journalistique que dans l’information qui secoue les consensus commodes et dérange les pouvoirs".
Jean Paul Marthoz
“La storia del giornalismo é intimamente ancorata alla storia dei diritti dell’uomo perché spesso le sue pagine più belle sono state scritte con la penna della libertà, perché i giornalisti di cui ci si ricorda, quelli che si leggono ancora e che la società onora, sono stati animati da un senso profondo d’umanità e hanno affrontato rischi, anche quello della morte e dell’impopolarità per dire la verità. E spesso non c’è verità giornalistica se non nell’informazione che scuote il consenso comodo e le storture dei poteri.” (Jean Paul Marthoz)
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Sguardi di futuro



"Per una di quelle ironie in cui la storia è maestra, l'ingresso nel Duemila e l'allungamento della vita hanno estirpato, almeno in questa fetta di mappamondo, il desiderio di futuro. Gli individui, le famiglie, le aziende e gli Stati pattinano su un eterno presente, attraversato da torcicolli nostalgici per un passato ingigantito dai ricordi e un avvenire che si pone come orizzonte estremo la fine del mese. L'idea che un raccolto copioso abbia bisogno di semine lunghe e un progetto ambizioso di investimenti non immediatamente remunerativi sembra essere diventata il ghiribizzo di qualche sognatore, mentre per millenni è stato il propellente del progresso. Questa superficialità isterica ci ha ridotti allo stremo: depressi, infelici, colmi di rabbia senza orgoglio, in crisi di identità, poveri dentro e ormai pure fuori. Prima che un verdetto economico, il declino occidentale è anzitutto un'atrofia del cuore e della mente, incapaci di progettare il mondo che non abiteranno solo i nostri figli ma anche noi, la generazione più longeva dell'avventura umana. L'anno che verrà può rappresentare il punto di rottura, quindi di svolta. [...] .
C'è un bisogno gigantesco di futuro, da queste parti [...].
Massimo Gramellini
"La Stampa", 31.12.07)
*La vignetta è di ElleKappa

Buon Anno a tutti voi!

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