Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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02 febbraio 2010

Guerra alla guerra

Hannah Arendt, ne La banalità del male rifletteva su quanto i regimi totalitari, nello specifico la Germania nazista, avessero profondamente mutato il rapporto tra uomo e violenza. Nel Terzo Reich, l'azione criminale era diventata una prassi consolidata, un gesto abitudinario, e il concetto stesso di male perdeva la sua carica eversiva, divenendo, appunto, banale.
La banalità di allora è la stessa che oggi investe una realtà mostruosa come quella della guerra. Il lettore di quotidiani, animale in via di estinzione, presta poca attenzione alle notizie di politica nazionale, e ancor meno a quelle delle sezioni estere. “Lo stato permanente di guerra in cui versa il mondo ci dice che essa è legittima, è uno strumento sempre più normale da usare”. Così esordisce Maso Notarianni, direttore del quotidiano online Peacereporter, nell’introduzione al volume Guerra alla Terra. I conflitti del mondo per la conquista delle risorse, in cui quattro reporter del giornale raccontano storie di scontri che condividono uno scopo comune, quello di accaparrarsi le risorse naturali del pianeta.
Il tema della responsabilità dell'informazione occidentale in questo processo di banalizzazione è esposto con chiarezza da Notarianni e rappresenta un nodo cruciale. I mass media sarebbero complici della nuova pervasività con la quale la “cultura” della guerra ha inquinato il nostro habitus mentale, a partire da uno spartiacque storico che coincide con gli attacchi dell'11 settembre 2001. Da allora, secondo Peacereporter, la “strategia del terrore” d'importazione americana ha spalancato le porte del giornalismo ai “copia e incolla dei comunicati stampa ministeriali”, come denuncia Cecilia Strada nel suo reportage sull’Afghanistan. Una copertura dei conflitti che oscilla tra due estremi ugualmente deprecabili: da una parte, la mitraglia informativa dei numeri, slegati da un'analisi del contesto che restituisca alla violenza una dimensione umana, e dall'altra la retorica sensazionalistica dell'infotainment, che scatena la lacrima facile più che riflessione e approfondimento. Tutto ciò contribuisce a rendere la guerra un evento banale, nel senso di male necessario. Un quadro descrittivo che, se in certi casi non rende giustizia ai tanti professionisti che prestano servizi di qualità presso quotidiani e televisioni mainstream, certo pone l'accento su un fenomeno, reale, di impoverimento giornalistico. La latitanza del genere dell'inchiesta e la scomparsa dell'inviato di guerra non sono che le vittime più vistose di questa trasformazione.
A questo giornalismo di massa si contrappone Peacereporter. La testata nata nel 2003 dal matrimonio tra l'agenzia di stampa Misna e l'organizzazione umanitaria Emergency, ha alla base del proprio atto fondativo un diktat esplicito: l'abolizione della guerra. Alla luce di quest'idea, si chiariscono tutte le scelte giornalistiche operate dai suoi cronisti. Guerra alla Terra non sfugge a questa logica.
La raccolta si snoda tra conflitti noti e meno noti, ognuno dei quali serve a svelare le distorsioni operate dall’informazione. Ad esempio, l’oggetto del contendere dello scontro infinito tra israeliani e palestinesi non ha radice, bensì pragmatica: la conquista delle risorse idriche comprese tra Cisgiordania, Gaza e Territori. L’esposizione mediatica del conflitto, quindi, non ha evitato l’occultamento dei reali interessi in gioco. Si spengono le telecamere di fronte al bieco sfruttamento che le multinazionali operano nel Delta del Niger, in Nigeria, attraverso le attività estrattive del petrolio. In parallelo, i retroscena della corsa all’industrializzazione della Bolivia, che grazie alle riserve di litio, il carburante del futuro, può scommettere sul proprio sviluppo, ma, al contempo, rischia nuove “colonizzazioni” da parte delle economie più avanzate.
Il grido di ribellione nei confronti della guerra pervade le pagine come una sorta di sottotesto, un sottile fil rouge appena visibile. I reportage non affrontano il tema della deriva informativa denunciata da Peacereporter, ma si autoimpongono come esempi di controinformazione che, inevitabilmente, chiama in causa un confronto critico con il restante panorama giornalistico italiano.
Sara Marmifero

Christian Elia, Alessandro Grandi, Vauro, Matteo Fagotto, Cecilia Strada
Guerra alla Terra. I conflitti nel mondo per la conquista delle risorse
(Prefazione di Gino Strada)
Milano, Edizioni Ambiente, 2009


*link alla scheda del libro
*link a Peacereporter
*link all'Agenzia Misna
*link a Emergency

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