Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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15 settembre 2010

La storia del mondo guardata dal buco della serratura


“Il più grande atto rivoluzionario è dire ciò che si pensa” amava ripetere la rivoluzionaria tedesca Rosa Luxemburg. E ricordando questo motto in uno dei racconti di Espejos, Galeano lo fa suo, creando un libro che è un inno alla potenza della parola. Era dai tempi di Memorie del fuoco, trilogia nata in Spagna durante il primo esilio dall’Uruguay, che Galeano non generava una tale unione di rabbia e speranza. Oltre 600 racconti, tasselli di un mosaico di storia raccontata non dai vincitori, ma dalle voci degli invisibili. Ogni pagina è uno specchio. Ogni specchio, una sfumatura della storia capace di dar voce ai nessuno che gli specchi della cultura occidentale non riflettono. Galeano ci restituisce la vera faccia della realtà, e come spesso sappiamo e ancor più spesso dimentichiamo, questo volto non è mai quello dei vincenti. La penna del giornalista sudamericano si fa ogni libro più asciutta, semplice e diretta, e nella selezione accurata di ogni parola incastonata in frasi ridotte all’essenziale, ritroviamo il senso ultimo del linguaggio, la sua capacità evocativa. “Bisogna lavorare più con la gomma che con il lapis” e il silenzio è alla fine la migliore comunicazione. Un’ironia spietata emerge nei microracconti di poche pagine, o anche poche parole. Perché la verità non ha bisogno di tanto clamore. Non ha bisogno di fronzoli. Spesso, fa male già così com’è. Galeano narra, e come rivolgendosi a bambini inconsapevoli, spiega la reale natura degli eventi storici, dalla nascita dell’Inquisizione ai primi attacchi Usa in Iraq, passando senza soluzione di continuità alla biografia di Zapata e Giovanna d’Arco. Una lettura ribaltata della storia, rendendo un disincantato omaggio alla diversità umana. Si parla del Diavolo, che oggi è musulmano, ebreo, nero, donna, povero, straniero, omosessuale, gitano, indio. Tramite aneddoti scolpiti in personaggi noti o immagini sottratte ai libri di storia, Galeano mostra la brutalità di un presente che supera il passato senza dargli nemmeno uno sguardo, mentre la verità vive nelle pieghe dei giorni passati. Ma tra gli infiniti specchi che intessono il romanzo, s’instilla il dubbio di un domani in cui una nuova rivoluzione francese nominerà anche le donne nella Dichiarazione dei Diritti e nessuno sarà più schiavo di quanto Bolivar chiamò “il colonialismo mentale”. In cui i libri di scuola racconteranno che Colombo non scoprì l’America, perché l’America già stava li. E che il 12 ottobre 1492 in molti paesi della Bolivia è giorno di lutto. Un domani in cui si moltiplicheranno i presidenti indios fratelli di Evo Morales, e le giovani Michelle Bachelet alla guida del Cile e delle cilene. Ma perché questo avvenga, la storia deve venire a galla, una storia fatta innanzitutto di persone e di tanti piccoli eventi che Galeano rilegge con gli occhi rispettosi delle differenze di cui da sempre si nutre il mondo. Si parla di noi oggi, del Nord del mondo imprigionato nelle sue certezze alimentate dai media; il Nord allenato a disprezzare il Sud e che risolve i suoi dubbi stabilendo che è la realtà che si sta sbagliando, perché i media non sbagliano mai. E ad ogni racconto, è affiancata una domanda, per non dimenticare che sono gli uomini artefici del loro futuro: come sarebbe andata se al posto dei conquistadores avesse avuto esito la flotta cinese, che negli stessi anni scopriva il mondo senza pretendere in cambio schiavi, ma solo informazioni per ampliare una biblioteca di oltre 4mila libri? Senza l’oro del Brasile, sarebbe stata possibile la rivoluzione industriale in Inghilterra? E Liverpool sarebbe diventato il porto più importante del mondo senza la compravendita degli schiavi? La vergogna di essere figli d’Europa in una narrazione che non cerca colpevoli né vuole raccontare tutto, solo ad ogni pagina sceglie di ricordare. E il risultato sorprende, fotografia di un mondo mandato avanti dalle sue contraddizioni e, forse per questo, dove i silenzi dicono più di ciò che i vincitori chiamano verità. Una capacità di lettura del reale in cui emerge il carattere critico del giornalista che in quest’ultimo lavoro ci fa assaporare la lezione di storia cui assistiamo ogni mattina chiudendo il giornale. Perché i giornali ci insegnano con ciò che dicono, e soprattutto con ciò che non dicono.
Elisa Murgese

Eduardo Galeano
Specchi.  Una storia quasi universale
Milano, Sperling & Kupfer. 2008, 384 pp.

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