Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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27 febbraio 2010

Programma di Storia del giornalismo europeo

Prof. Marina Milan
II semestre - 9 crediti

Parte generale
Il corso generale delinea i modelli e i percorsi storici del giornalismo nei diversi paesi europei con particolare attenzione per le testate più rilevanti.
Testi consigliati:
- Hallin D.C. Mancini P., Modelli di giornalismo. Mass media e politica nelle democrazie occidentali, Roma-Bari, Laterza, 2009
- Salemi G., L'Europa di carta. Guida alla stampa estera, Milano, Franco Angeli, 2007.
Corso monografico: “L’informazione in ambito comunitario: strategie e contenuti".
Il corso si svolge in forma seminariale e i testi e i documenti saranno segnalati durante le lezioni e saranno disponibili in Aulaweb. E' anche prevista la lettura comparata in aula dei principali quotidiani europei, finalizzata alla realizzazione di una Rassegna stampa secondo le modalità concordate a lezione; si dedicherà attenzione anche alle principali riviste comunitarie e ai siti della comunicazione istituzionale.
Gli studenti che non potranno frequentare dovranno studiare uno dei seguenti libri:
- Pombeni P. cur., L'Europa di carta. Stampa e opinione pubblica in Europa nel 2009, Bologna, Il Mulino, 2010 (o edizione 2009)..
- Marchetti M. C., Il processo di integrazione europea. Comunicazione interculturale e ruolo dei media, Roma, Studium, 2006.
- Marvulli R., L'Unione Europea attraverso i suoi media, Bologna, Giappichelli, 2004
- Parito M. E., Comunicare l'Europa nello scenario cosmopolita, Acireale-Roma, Bonanno, 2007.
Letture critiche
Tutti gli studenti (frequentanti e non frequentanti) dovranno presentare un volume a scelta tra le seguenti letture critiche (con recensione scritta obbligatoria):
- Álvarez Jesús T. , Il potere diluito. Chi governa la società di massa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008
- Carotenuto G., Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo di Internet, Modena, Nuovi Mondi, 2009
- Costa P., La notizia smarrita. Modelli di giornalismo in trasformazione e cultura digitale, Torino, Giappichelli, 2010.
- L'italiano di fronte. Italicità e media nei paesi dell'Europa sudorientale. Atti del Seminario della Comunità radiotelevisiva italofona (Tirana, 16-18 ottobre 2008), Torino-Roma, RAI-ERI, 2009
- Santoro G., La lezione di «Le Monde». Da De Gaulle a Sarkozy, la storia di un giornale indipendente, Roma, Aracne, 2007
- Silverstone R., Mediapolis. La (ir)responsabilità dei media nella civiltà globale, Milano, Vita e pensiero, 2009.
- Silvestri G., I media della diaspora italiana. Dal bollettino al blog, Madrid, Editrice Ibérica de Cooperacion Europea, 2009
- Zaccone Teodosi A.; Gangemi G., Zambardino B., L'occhio del pubblico. Dieci anni di osservatorio Rai-IsICult sulla televisione europea, Torino-Roma RAI-ERI, 2008.
Tutti gli studenti sono invitati ad utilizzare il portale Aulaweb in cui troveranno testi, documenti, la segnalazione di link utili e forum di discussione, attivo anche dopo la conclusione delle lezioni.
Tutti gli studenti sono invitati a partecipare al Blog del Giornalismo riflessivo, luogo di incontro per commentare criticamente l'informazione e le vicende della nostra contemporaneità.
*Programmi specifici potranno essere concordati per gli studenti Erasmus.

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25 febbraio 2010

Italia, amore mio

Dialogo (a senso unico, forse senza senso) sulla democrazia
Italia, amore mio, sei tu una monarchia fondata sul televoto quindi? Posso chiederti, Italia, come mai ti opponi a ogni opportunità? Ti spiego: io, sai, sono dell’estrema Liguria d’occidente e qui il Festival di Sanremo si segue. Ha vinto un amico di Maria come l’anno scorso… la conosci Maria no? Sì, conoscerai anche il pupo e il principe che sono arrivati secondi, e anche i due ragazzetti col bel viso, bella voce e, evidentemente, l’x-factor, che sono arrivati uno terzo tra i grandi e l’altro primo tra i giovani. Li conoscerai tutti sì, so che guardi tanta tivù. Ecco, leggevo Repubblica l’altro giorno… come cosa vuol dire? Ah vero, non leggi i giornali: no no, non sto cospirando (semmai sospirando), “repubblica” è solo il nome di un quotidiano, se vuoi anche una forma... vabé, non importa ora (so che non sei in forma). Allora, dicevo: ho letto un interessante intervento di Ilvo Diamanti che dice che «c'è il popolo informato e interessato, che corrisponde alla giuria popolare, selezionata da Ipsos (…) rappresentativa delle persone che acquistano musica (…) o comunque la conoscono e la ascoltano con regolarità. Sono elettori esperti. Poi, ci sono gli specialisti. I maestri orchestrali. Più che elettori interessati: veri e propri militanti. In grado di valutare le qualità dei concorrenti e della loro offerta. Le canzoni e i cantanti. I programmi e i candidati. Infine ci sono gli elettori disinteressati. Quelli che ascoltano la musica in modo disattento. Quando passa in tivù. Interessati ai personaggi più che alle canzoni. Non indifferenti alle qualità canore dei concorrenti, ma assai più attenti alla loro immagine e al loro appeal mediatico». Sono giorni questi sia di canzoni che di elezioni, sono giorni in cui si discute di come (e se) comunicare in regime… di par condicio. Sono stati anni in cui si è parlato di conflitto d’interessi, di sistema televisivo, di personalismo (a dire la verità di molte cose che finiscono in –ismo), di liste e lustrini, paillettes e pagliativi. Vedi, Italia, come è importante l’informazione? Più che l’informazione anzi, la comunicazione, avanzi solo avanzi. «Perché stupirsi o, peggio, scandalizzarsi, allora? Quando la televisione prende il sopravvento e la tivù diventa l'unica arena della competizione - musicale, ma anche politica - vince chi recita meglio la parte. Chi è più telegenico, chi è più conosciuto dal pubblico, chi dispone di consulenti e bravi e impresari potenti. È la democrazia del pubblico». Vedi, Italia, si parla ormai di pubblico, non più di popolo. La doppia “b” di “pubblico” ricorda, rafforza, più la “plebe” che non il “popolo”, vero? Tu non lo sai perché ancora non esistevi, eri a pezzi, ma già Eleonora Fonseca Pimentel, una giornalista di tre secoli fa (è morta per le sue idee, sai?), distingueva tra “plebe” e “popolo”. Il primo senza possibilità d’esprimersi e forse nemmeno pensante, il secondo alla ricerca d’espressione e desiderio d’esser pesante. Oggi c’è “il pubblico”: si esprime, pesa e forse non pensa. È la gente del televoto che vota la gente dal televolto. Capisci, Italia, come è importante la comunicazione. Cosa si vuol far sapere e cosa no, anzi: chi e come lo dice o non lo dice (duce, avanzi solo avanzi). A me il televolto fa paura, so che non esiste, ma Italia, il problema è che resiste. È più reale del reale. Virtualizzando la realtà, realizza la virtualità. Torniamo al Festival: hanno vinto tutti quei telecantanti che sanno usare meglio il teleschermo, quel telepubblico che sa usare meglio il televoto, che è peggio. Amici, pupi e principi, ragazzine e nonnette. Ma sono solo canzonette, Italia amore mio, tu, tu continua a ballare sotto le stelle.
Ma lascia che ti canti una canzone, quella di Simone Cristicchi (è arrivata tra gli ultimi al Festival, come quella di Malika Ayane, arrivati prima però per gli orchestrali, gli elettori specializzati):
La gente non ha voglia di pensare cose negative / la gente vuol godersi in pace le vacanze estive / Ci siamo rotti il pacco di sentire che tutto va male, della valanga di brutte notizie al telegiornale / C’è l’Italia paese di Santi, pochi idraulici e troppe badanti / C’è l’Italia paese della Liberté, Egalité e del Gioca Giuè! / C’è l’Italia s’è desta ma dipende dai punti di vista / C’è la crisi mondiale che avanza e i terremotati ancora in vacanza / Meno male che c’è Carla Bruni / Siamo fatti così - Sarkonò Sarkosì / Che bella Carla Bruni, se si parla di te il problema non c’è /io rido… io rido… / Ambarabàciccicoccò soldi e coca sul comò / C’è l’Italia dei video ricatti / c’è la nonna coi seni rifatti e vissero tutti felici e contenti, ma disinformati sui fatti / Osama è ancora latitante, l’ho visto ieri al ristorante! / Lo so che voi non mi credete / se sbaglio mi corigerete (...) La verità è come il vetro, che è trasparente se non è appannato, per nascondere quello che c’è dietro basta aprire bocca e dargli fiato! Io me la prendo con qualcuno / tu te la prendi con qualcuno / lui se la prende con qualcuno / E sbatte la testa contro il muro / Io me la prendo con qualcuno / tu te la prendi con qualcuno / lui se la prende con qualcuno /noi ce la prendiamo...
Alessandro Ferraro

Femmes fatales

Massimo Corradi
Les femmes fatales.P arole e immagini
Genova, Edizioni di Storia, Scienza, Tecnica, 2010, 214 pp.

L’immagine della femme fatale è l'immagine di una donna particolare forse più eterea che reale, concentrato di bellezza, sensualità, voluttà, peccato, lussuria, ma sempre e soltanto ‘donna’. Per descrivere la femme fatale abbiamo scelto la strada principale delle immagini che come un fiume raccoglie rivoli di pensieri e parole sull’universo femminile; perché se la donna ideale si sogna, si immagina in un mondo irreale e irraggiungibile, la donna è invece reale, presente, viva nella nostra vita così come lo è stato nella vita degli artisti che l’hanno voluta rappresentare attraverso le diverse forme d’arte che nei secoli sono state utilizzate per presentare i propri pensieri, i propri sogni, i propri desideri, la propria volontà di trasmettere ai posteri un pensiero, un immagine, un sogno che è quello della donna: la femme fatale. [leggi tutto]

Letteratura araba

H. Toelle - K. Zakharia
Alla scoperta della letteratura araba (dal VI secolo ai nostri giorni)
Lecce, Argo editrice, 2010, pp. 456.

Scheda del libro
È raro che la stampa e i canali televisivi del nostro Paese, in genere così attenti ai fenomeni del terrorismo e dell’estremismo di matrice islamica, si occupino non superficialmente della vita culturale del mondo islamico, la cui storia straordinaria è di fatto ignorata in Occidente. Eppure la letteratura espressa dai Paesi di cultura araba ha donato al mondo i capolavori delle Mille e Una Notte, la raffinatezza delle maqâmât, l’avvincente narrativa di Naguib Mahfûz, premio Nobel per la letteratura nel 1988… L’invito alla scoperta della letteratura araba, che Argo rivolge con il presente saggio al pubblico italiano, non colma solo un vuoto editoriale, recupera importanti frammenti di storia, non solo letteraria, che ci sono assai meno estranei di quanto si creda. Attraverso le fresche pagine di Heidi Toelle e Katia Zakharia sfilano dinanzi ai nostri occhi poeti preislamici che cantavano gli avventurosi percorsi delle carovane, immaginifici poeti andalusi, audaci geografi, generosi cantori di storie che hanno incantato per secoli ascoltatori e lettori, infine gli scrittori contemporanei che nel loro impatto con la ‘modernità’ hanno re-incontrato l’Occidente.

* link al sito della casa editrice Argo  di Lecce.
 
*segnalato da C.S.
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24 febbraio 2010

In libreria

Fotografia contemporanea dall'Europa dell'Est. Storia, memoria, identità
Milano, Skira, 2010, 248 pp.



Scheda del libro
Questo volume presenta le nuove acquisizioni di fotografia internazionale della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena nell'ambito del progetto Fondazione Fotografia. Dopo aver privilegiato la scena artistica dell'Estremo Oriente e del Sud-Est Asiatico con Asian Dub Photography, l'attenzione è ora rivolta all'Europa dell'Est. Nella consueta forma di catalogue raisonné, completo di una ricca introduzione critica e di biografie e statement per ogni autore, il volume raccoglie opere di ventinove artisti provenienti da diciotto diverse nazioni, dai Balcani ai Paesi baltici, dall'area mitteleuropea alla Turchia e alla Federazione Russa. La selezione eterogenea offre una lucida lettura della realtà contemporanea attraverso il linguaggio delle immagini che, in quest'area geografica, non può prescindere da una riflessione sui temi della storia, della memoria e dell'identità. La mostra comprende 29 artisti provenienti da 18 diversi Paesi, tra cui Russia, Lituania, Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Serbia e Croazia, molti dei quali espongono per la prima volta nel nostro Paese, in un percorso di oltre 110 opere tra fotografie, film e video-installazioni.

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21 febbraio 2010

E l'uomo incontrò il cane

Presentare un evergreen come E l’uomo incontrò il cane è una sfida. Ma, per me, è un libro nuovo, mi entusiasma come un nonno, scienziato, che racconta meraviglie ai più giovani; e voglio condividerlo con tutti coloro che come me amano gli animali, i cani in particolare, in modo umanamente intuitivo e inconsapevole. E questo, ci avvisa subito Lorenz non è sempre un bene.
Il rapporto affettivo e sociale fra l’uomo e il cane, indagato con metodo scientifico nella professione, nel Lorenz narratore diventa storia avvincente di forte impatto emotivo, capace di mettere in discussione comuni preconcetti sulla natura stessa e sulle capacità dell’uomo di relazionarsi con essa.
Ipotesi romanzate (per ovvia mancanza di prove e testimonianze) dicono la nascita del legame fra i nostri antenati cavernicoli e gli antenati dei cani, gli sciacalli dorati, per maggior opportunità di trovare entrambi cibo ma anche per l’effetto “casa” di avere accanto esseri viventi. Diversi, certo, ma altrettanto fragili, impegnati a sopravvivere in territori ostili.
Il senso del branco, ancor oggi più spiccatamente presente nelle poche razze che discendono dai lupi (chow chow, huski e altri cani nordici) insieme al legame innato fra cucciolo e genitore, più forte nelle razze (più numerose) derivate dallo sciacallo sono le radici dell’attaccamento del cane all’uomo.
Bingo, Pygi, Senta, Stasi e tutti gli altri cani di Lorenz scodinzolano e corrono in queste pagine, vivono storie allegre e tristi, per ricordarci dell’educazione, quella vera, e delle regole del vivere in gruppo che per primi i padroni devono imparare.
Lorenz punta il dito sui motivi che più spesso la gente adduce per avere un cane; quasi mai traggono legame dal primordiale e positivo attaccamento alla natura ma nascono da pulsioni autocentrate o estetiche; le conseguenze nel tempo si manifestano come assenza di rispetto, di responsabilità morale e materiale, di incapacità di sviluppare in modo armonico un rapporto con il cane, che lo renda un essere felice.
Molti aneddoti parlano della scelta, e delle somiglianze anche buffe che si creano negli anni fra cane e padrone, laddove ci sia affiatamento, come capita sempre nelle unioni e nelle convivenze riuscite.
Il rapporto delicato fra cani e bambini, i quali devono imparare a rispettarli più che a temerli.
Un po’ di critiche alle esposizioni canine e agli allevatori che selezionano su canoni estetici, trascurando le capacità intellettive e di apprendimento della discendenza; bellezza e intelligenza purtroppo sono due qualità già rare da trovare singolarmente che - dice Lorenz - è improbabile averle insieme ai massimi livelli così nei cani come negli umani.
Da grande etologo fa emergere obbedienza, odio, paura, fedeltà, nevrosi, e altri trastti presenti dalla notte dei tempi nella relazione uomo-cane, tanto complessa e ricca da manifestarsi anche come amicizia.
Ma solo se l’uomo è in grado di comprendere appieno la caninità e rispettarla. Perché un cane non è solo un essere che dipende da noi, e si fida di noi; la sua fedeltà è illimitata e questo non può lasciare nessuno indifferente, Lorenz stesso si imbarazza e si commuove dell'atteggiamento altruistico completamente gratuito che ci ripropone ogni giorno gli interrogativi sui modi e i valori con cui costruiamo il rapporto con gli altri e con la natura.
Si legge 3-4 ore. Consigliato a chi ha un cane, a chi dichiara di non volerne mai e con i bambini, quando ci chiederanno un cucciolo in regalo.
Silvia Dini
Konrad Lorenz
E l'uomo incontrò il cane

Milano, Adelphi, 2008 (36° ed.), pp. 123.
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La crisi della notizia

A distanza di pochi giorni arrivano in libreria due libri in cui gli autori indagano sulla crisi del giornalismo tradizionale e sulle prospettive  che si aprono per editori e giornalisti. I due saggi hanno già suscitato un ampio dibattito con recensioni ed editoriali nei principali quotidiani italiani e nel Web.

Marco Bardazzi - Massimo Gaggi,  L'ultima notizia. Dalla crisi degli imperi di carta al paradosso dell'era di vetro, Milano, Rizzoli, 2010, pp. 274.
Scheda del libro
Il "Los Angeles Times" ha dichiarato bancarotta prima di essere salvato, il "Washington Post" resiste a malapena, ovunque le redazioni chiudono, i corrispondenti esteri fanno fagotto e tornano a casa. In tutto il mondo, quotidiani con secoli di storia alle spalle ormai vivono alla giornata. E se fino a qualche tempo fa il web, potente vetrina promozionale, sembrava un utile alleato, oggi infuria una guerra senza quartiere tra chi vuol mettere ogni notizia a portata di click e chi cerca di proteggere contenuti di qualità faticosamente prodotti. Nelle battaglie tra i giovani leoni dell'informatica e le vecchie volpi dell'editoria, sono queste ad avere la peggio, mentre monta l'onda del giornalismo "dal basso", con lettori che chiedono di partecipare in maniera sempre più attiva al flusso delle notizie: un cinguettio di Twitter, un link condiviso su Facebook, l'inchiesta fai da te di un blogger, le news di un aggregatore sono ormai più fruibili del classico quotidiano. E l'Apocalisse? In un certo senso siccome dimostrano Massimo Gaggi e Marco Bardazzi in questa disamina felicemente ricca di aneddoti quanto acuminata nell'analisi. Ma ciò non significa che non si possa ripensare e reinventare il giornalismo nell'"era di vetro" che ci sta regalando un'informazione più trasparente ma più fragile.

*link al blog Da Gutenberg a Twitter di Marco Bardazzi nel sito del quotidiano "La Stampa" di Torino.  Su questo giornale il direttore Mario Calabresi ha dedicato una sua recensione al volume di Gaggi Bardazzi: v. M. Calabresi, Giornalismo, é l'anno della tigre, "La Stampa", 17 feb. 2010  [leggi tutto].
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Paolo Costa, La notizia smarrita. Modelli di giornalismo in trasformazione e cultura digitale, Torino, Giappichelli, 2010, 244 pp. 

*link all' Intrdoduzione e ad alcuni stralci del libro disponibili sul sito dell'editore  Giappichelli [leggi tutto]
*link al blog  Grande Globo di Paolo Costa, autore del libro.
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20 febbraio 2010

La speranza è l'ultima a morire, anche nei film.


20 luglio 1944. Il clima in Germania è da ultima spiaggia e dopo ben quattordici falliti attentati al Führer, l’ultimo fu quello cui si delegarono maggiori probabilità di successo in quanto all’apparenza perfettamente organizzato; fu denominato Operazione Valchiria, una strategia che prendeva nome dal piano di emergenza ideato da Hitler per consolidare il paese nell’eventualità della sua morte ma che venne però usato per tentare di assassinare il dittatore e rovesciare il governo nazista.
Attraverso l’omonimo film il regista Bryan Singer dà la dovuta importanza ad una figura simbolo della Germania del secondo conflitto mondiale, un personaggio temerario quanto oscuro che decide, insieme ad altri uomini di potere all’interno della nomenclatura nazista, di mettere a repentaglio la propria vita pur di offrire alla Germania oltre alla possibilità di riscatto, di uscire da una situazione che stava mettendo in ginocchio non solo lei, ma tutta l’Europa. La prima impressione che si ha guardando il film, è che il generale Claus von Stauffenberg, interpretato da un bel tenebroso Tom Cruise, sia stato rappresentato in chiave un po’ troppo eroica, “all’americana” insomma: poco spazio è stato infatti lasciato alle debolezze ed ai ripensamenti tipici nel genere umano e che avrebbero reso più reale un personaggio che sicuramente avrà vissuto quell’esperienza di grandissima responsabilità tra fantasmi e paure.
L’americanismo adottato per un film di questo genere non è dunque a mio avviso la più adatta come scelta, ma la bravura del regista riesce a tenere, per oltre due ore, desta la nostra attenzione nonostante già si sappia come la storia andrà a finire: un compito molto difficile, ma che si realizza grazie alla continua suspence e ad una colonna sonora emozionante ed incalzante.
Lo stato di permanente tensione è d’altronde riscontrabile sin dall’inizio, a partire dai fortuiti incontri tra i partecipanti all’operazione, che riescono, nonostante un assillante regime di controllo, a portare avanti un piano di una tale audacia e pericolosità da far loro sospettare che chiunque partecipi ad esso possa essere un potenziale traditore. La continua tensione ci accompagna dunque fino al tanto atteso attentato, che avviene nella “tana del lupo”, proprio mentre Mussolini stava per arrivare ed in cui il temerario Generale crede, grazie allo scoppio durante una riunione dell’ ordigno appositamente studiato, di essere riuscito ad eliminare definitivamente il Dittatore, ed in seguito al quale mobilita, assieme ai membri dell’operazione, tutti i mezzi di comunicazione di massa dando la tanto attesa notizia della morte di Hitler e prendendo conseguentemente sotto controllo Berlino.
Singer dà molta importanza alle modalità subdole con cui vengono utilizzati i mezzi di comunicazione, problema così tristemente attuale, mezzi che se sapientemente usati addormentano le altrui coscienze annientando così la volontà del popolo di ribellarsi e creando una situazione in cui ogni tipo di naturale rivolta risulti praticamente impraticabile; l’esempio del generale Claus Von Stauffenberg, nonostante il clima certo non lo favorisse, sparigliava dunque le carte, recando in sé soprattutto la forza d’un idea che non lasciasse ai posteri solamente il ricordo d’una Germania usurpatrice e sanguinaria tiranna.
Operazione Valchiria è dunque un film che seppur oltremodo enfatizzato nei ritmi e nell’allure del protagonista, rimane fedele alla realtà dei fatti riconsegnando alla ribalta un pezzo di storia che, se finalizzato, avrebbe potuto ancora risparmiare tante vite ed inutili atrocità.
Isotta Boccassini



17 febbraio 2010

Come un'anomalia

Cito parola per parola dall'introduzione: "In nessun paese occidentale il proprietario di quasi metà dei canali televisivi nazionali si presenta alle elezioni cinque volte in quattordici anni, per tre volte le vince e diventa capo del Governo".
E' attraverso quest'anomalia che Franco Debenedetti (senatore con il centrosinistra per tre legislature) e Antonio Pilati (componente dell'Autorità garante della Concorrenza e del mercato) illustrano l'intrecciarsi delle vicende politiche con la questione televisiva, attraverso un punto di vista storico-politico per il primo autore, e normativo-legislativo per il secondo.
Una questione prettamente italiana ma, come si evince dal titolo, il riferimento è alla guerra che nel Seicento devastò l'intera Europa: trent'anni di battaglia fra fazioni contrapposte per abbattere il nemico e sradicare l'eresia, una guerra politica mascherata da battaglia ideologica volta ad annientare la supremazia di un unico e potente uomo, una devastazione che ebbe effetti e ripercussioni sulla vita politica europea.
Ora questa guerra è finita e ne vengono ripercorsi gli avvenimenti con l'occhio critico di chi conosce la materia.
E' finita per sfinimento, come la Guerra dei Trent'anni, la crisi finanziaria prima ed economica poi hanno accelerato questo processo insieme alle innovazioni tecnologiche, ma il conflitto politico continua a persistere: non c'è nulla che assomigli alla pace di Westfalia.
Il libro ripercorre fase per fase la battaglia che ha portato a un conflitto d'interessi durato più di trent'anni, ovvero dal 1976, quando la Corte Costituzionale permette la trasmissione televisiva in ambito locale, minacciando così il monopolio statale. L'anno dopo, Silvio Berlusconi (protagonista assoluto non solo del nostro libro, ma dell'intera vicenda politico-televisiva) inizia a trasmettere da Telemilano. Poi il craxismo, nel 1990 l'approvazione della legge Mammì, che disciplina il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, definita "Legge fotografia" o "Legge Polaroid", in quanto si è limitata a legittimare la situazione televisiva già esistente. E, sempre nel '90, l'aggiunta di Mondadori all'impero mediatico di Berlusconi, un impero che, oltre a tre televisioni, comprendeva anche la testata "Il Giornale", a nome del fratello Paolo. Nel 1992, Mani Pulite, l'affermarsi con prepotenza della Lega Nord, nel '94 la discesa in campo di Berlusconi, il Governo Prodi e la crisi della sinistra, che in questi trent'anni non ha saputo contrastare efficacemente il nemico, fino ad arrivare alla Legge Maccanico, alla Legge Gasparri e al Decreto Gentiloni.
Una battaglia terminata da pochi anni, con il discorso di Walter Veltroni al Lingotto nel 2007, che ha decretato la fine dell'antiberlusconismo come alternativa politica, ma soprattutto grazie alle nuove tecnologie, il digitale terrestre, Internet, ovvero gli strumenti dei nuovi consumi.
Una profonda analisi storico-politica ma anche sociale, una spiegazione del perché si sia arrivati a questo conflitto d'interessi tipicamente e solamente italiano: un'anomalia che nasce parecchi anni prima della famosa discesa in campo, come manifestazione di una società devastata dagli effetti della modernizzazione, come spiega Pier Paolo Pasolini, in cui i meccanismi che si innescano a livello di psicologia di massa sono determinanti per l'ascesa di regimi totalitari, in cui "la responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (…), responsabilità dell'esplosione selvaggia della cultura di massa e dei mass media" sia da ricercare nella "stupidità delittuosa della televisione".
Una società che somiglia a quella raffigurata nel 2007 dai fratelli Coen nel film Burn after reading, dove il mondo è una palestra, dove si è ossessionati dalla conservazione del proprio corpo, dalla chirurgia plastica, è la società del Grande Fratello e del Festival di Sanremo, di Pippo Baudo e di Fiorello, di Beautiful e delle fiction.
E la sinistra si trova in difficoltà in una società spettacolarizzata, dunque senza miti: "in un mondo dove tutto è spettacolo, si muove, perfettamente a suo agio, il nuovo Berlusconi, paradossalmente situazionista".
Non si tratta più di televisione che parla di televisione, quando il padrone della TV diventa l'oggetto della campagna si ha un corto circuito tra mondo della comunicazione e mondo della politica, non c'è altra alternativa che essere pro o contro Berlusconi.
Concludo con le parole di Norberto Bobbio: "Non ha vinto Berlusconi in quanto tale, ha vinto la società che i suoi mass media, la sua pubblicità hanno creato (…) In una società siffatta, con i suoi valori tradizionali, la sinistra non ha nessuna presa".
Beatrice D'Oria


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Franco Debenedetti - Antonio Pilati
La guerra dei trent'anni. Politica e televisione in Italia (1975-2008)
Torino, Einaudi, 2009, 318 p.

*link al primo capitolo del libro sul sito dell'editore Einaudi.

Rapelay, stupratore con un click

Qualcuno avrà forse letto di questo videogioco giapponese che ha suscitato grandi polemiche. Una cosa è certa, non so proprio cosa pensare. Il videogame incriminato è Rapelay, della casa di produzione Illusion. La storia ruota attorno ad un maniaco sessuale che gira per la città alla ricerca di nuove vittime. Ma non aspettatevi super eroi che vengono a salvarvi, questa volta siete voi a vestire i panni del “mostro”. Inizialmente in vendita solo in Giappone, è finito sul web e così anche sui monitor dei nostri pc. Ecco spiegato perché pur essendo uscito nel 2006, il gioco fa discutere solo oggi. Vagando in rete alla ricerca di qualche informazione si capisce che il videogame ha provocato polemiche un po’ ovunque, Francia, Stati Uniti e ora anche in Italia. Dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, al Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, fino all’associazione Telefono Rosa, il coro è unanime: rimuoviamolo dalla Rete. La stessa Rete si è data da fare, su Facebook il gruppo “No a RapeLay” raccoglie più di quattrocento membri. L’Illusion non si è fatta piegare dalle critiche, anzi. Ora è tornata all’attacco con Itazura Gokuak. Una versione più evoluta e realistica di RapeLay, con tanto di 3D. Insomma, una vero orrore fra urla, botte e sangue. Il meccanismo è semplice: più ragazze aggredisci, più sali in classifica. Siete scandalizzati? Non vi biasimo, tuttavia bisognerebbe accantonare il bigottismo e fermarsi a riflettere. Il gioco è forse uno specchio della realtà? Fino a quando giochi come questi continueranno ad esistere, con la spettacolarizzazione della violenza, potremo mai sensibilizzare il pubblico al problema della violenza sulle donne? E della violenza in genere, ovviamente. Sul Corsera viene dato un altro punto di vista. In Giappone il videogioco è visto e vissuto come una fuga dalla realtà. Un mondo virtuale dove poter fare cose che solo lì sono permesse, che non potrebbero mai uscire dallo schermo del pc. Una tesi azzardata, che non mi convince del tutto. Un po’ agitata mi chiedo: non vorremo mica banalizzare con queste quattro righe un affronto così grande alla figura della donna? Certo, c’è anche da considerare che il Giappone è uno dei paesi con il più basso numero di atti criminali e con il più marcato rispetto dell’individuo... Bene, se anche decidessimo di credere a questa versione una domanda resta: se nel paese del Sol Levante è solo una valvola di sfogo che niente ha a che fare con la realtà, in Italia, dove i casi di violenza rimbalzano da un telegiornale all’altro, possiamo davvero rimanere così tranquilli?
Floriana Ferrando


*link all'articolo Folle videogame dal Giappone: «Diventa anche tu stupratore», "Il Secolo XIX" , 9.2.2010. 
*link all'articolo di Federico Cella, Caso Rapelay, un altro punto di vista  "Corriere della Sera" ,10.2.2010.

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16 febbraio 2010

Quando la ricerca non porta a una grande scoperta

Scorrendo una lunga lista di titoli di libri a cui fare la recensione, ho scelto questo,di Manuela Malchiodi perché mi immaginavo di compiere un lungo viaggio fantastico, attraverso i ricordi e le immagini della mia infanzia, rivivere i momenti in cui guardavo i cartoni animati, a quelle ore fisse del giorno...la mattina, all'ora di colazione, e alle 4 del pomeriggio, all'ora della merenda...un rito. Ero ansiosa di immergermi nella lettura di questo libro, di staccare per un po' dalla realtà...e trovarmi, non so, a compiere delle missioni con Sailor Moon, a vivere una storia romantica con Piccoli Problemi di Cuore, o a risolvere un caso difficile con L'Ispettore Gadget.
Vedo il libro ... è piacevole all'occhio ... la copertina è di cartone, e ovviamente richiama il titolo: viva, bella, grezza, proprio come il cartone degli scatoloni, e inoltre, sopra, e sparsi un po' per tutto il libro ci sono disegni, fatti da bambini di una scuola elementare, con un evidenziatore rosa shocking. Leggo la prefazione di Aldo Grasso, che già dalla prima riga, inizia a nominare quei cartoni, i miei cartoni animati. Sono soddisfatta della scelta che ho fatto, e inizio a leggere. Scopro però, con enorme disappunto che, l'autrice indaga soprattutto su cartoni animati moderni, che non ho mai sentito nominare, e questa, ovviamente, non è una colpa da imputare a lei, ma li analizza con superficialità, facendo una lunga lista di nomi e titoli, forse a causa della sua mentalità da ricercatrice, infatti, la Malchiodi lavora presso l'Osservatorio di Pavia, (del quale si è servita per i monitoraggi occorsi per questo volume), dove è responsabile di indagini riguardanti in particolare il tema tv e minori e la qualità televisiva nell'emittenza locale. La lunga lista che va da cartoni animati giapponesi, francesi, italiani, inglesi e americani, accanto a una lunga e altrettanto noiosa lista di valori, disvalori e tipizzazioni di personaggi è stata ripresa da reti che propongono programmazioni regolari di cartoni animati, quali Raidue, Raitre, Italia 1, MTV, Rai Gulp, Boing, Disney Channel, Cartoon Network e jetix, in onda tra le 6.30 e le 20.30, di una settimana campione, dal 25 al 31 maggio 2008. Proprio nel primo capitolo l'autrice afferma che sono nati ultimamente, a causa della riduzione di programmi per l'infanzia, molti canali tematici che riempiono i palinsesti quotidiani di “PERSONAGGI DISEGNATI” , e dunque, il grande rischio è il caos.
Alla lettura di questo libro, penso che un po' di caos lo abbia creato lei stessa. L'autrice afferma che il fine di questo testo è di rilevare valori, sia positivi, sia negativi trasmessi dai Cartoni animati, usando un approccio sia quantitativo che qualitativo. Un approccio un po' freddo se si riferisce ad una sfera così divertente e piena di sentimenti quale è invece quella dei cartoni. Infatti ad ogni singolo cartone animato è stata applicata una scheda di analisi strutturata, (riportata in modo dettagliato in appendice del libro), che si riferisce sia ai palinsesti, (quantità di cartoni che trasmettono e la loro collocazione oraria, e i target di età privilegiati), sia alle caratteristiche dei cartoni animati stessi, (origine geografica, culturale e temporale, i generi, i formati, i registri narrativi, la caratterizzazione dei personaggi e i modelli valoriali proposti dalle narrazioni). Viene indagato il linguaggio dei cartoni animati per cogliere le strutture linguistiche proposte, esplorare i significati latenti accompagnati a ogni testo e comprendere quali valori, stili di vita e modelli relazionali affiorano attraverso questo ponendo più che altro attenzione a quelli negativi.
Ebbene, essendo i cartoni animati rappresentazioni della realtà, ed essendo la realtà piena di valori positivi e negativi, è normale e auspicabile che nei cartoni essi vi siano rappresentati, seppur in modo molto più delicato, di come ciò accade nella vita reale.
Si insiste molto sulla figura del bullo, sul fatto che i cartoni dedicati alle bambine si basino soprattutto sull'estetica, sulla figura dell'adulto, e sul fatto che c'è, ma è come se non ci fosse...di che c stupiamo? La vita è questa!! Non sono solo i cartoni ad essere tipizzati, sono i “personaggi” della vita reale che lo sono.
Si scredita anche il linguaggio utilizzato dai cartoni, oltre che i personaggi. Non voglio nemmeno immaginare come potrebbe sentirsi, un bambino che non impara subito questo linguaggio tanto denigrato, quello che tutti i suoi compagni usano. A mio avviso è un bene che esistano cartoni fatti in questo modo, con bulli, vittime, genitori assenti, adulti cattivi, insegnanti ipocriti, e la classica vicina di casa vanitosa, tutto ciò non va criticato, con numeri, elencando lemmi, frasi e personaggi che si ripetono. Tutto ciò va celebrato! Guadando questi cartoni, il bambino, già da piccolo capisce cosa deve fare per sopravvivere in un mondo che spesso fa paura. Ha la possibilità di scegliere di essere (è cinico, ma è la realtà) un bullo, o una vittima, invece, non guardandoli e trovandosi poi ad interagire con altri bambini, non potrebbe essere in grado di rapportarsi in modo immediato con i valori, ma soprattutto con i disvalori che essi rappresentano e presentano. Forse per un genitore sarebbe utile leggere questo libro, non tanto per avere gli strumenti per capire quali cartoni o no far guardare a suo figlio, proteggendolo dalla violenza, ma proprio per capire che in realtà il mondo dei bimbi è più complicato di come sembri in realtà.
Sara Lemmetti


Valori di cartone. Esperienze e personaggi dell'animazione televisiva
A cura di Manuela Malchiodi (Prefazione di Aldo Grasso)
Bologna, LINK idee per la televisione, RTI Mediaset (MI), 2009, pp. 166.



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15 febbraio 2010

Un'Italia inquietante tra informazione e politica

"Un intreccio disgustoso tra informazione, potere politico, economico e mafioso". Questo lo scenario presentato dall’autore siciliano Andrea Camilleri nelle pagine del suo ultimo romanzo, La rizzagliata. Il rizzaglio è una rete da pesca dalla quale è difficile scappare, la metafora non potrebbe essere più chiara: non si può sfuggire alla rete che il potere, qualsiasi potere, costruisce attorno ad una persona. Quello che conta per i personaggi del romanzo è non crearsi dei nemici tra i potenti, conquistare l’appoggio di chi conta, usare ogni forma di potere per interessi personali, usando armi come il ricatto e l’omicidio senza nessun rispetto per la verità. Ecco così che il rizzaglio diventa una trappola senza via d'uscita. La storia narrata è ispirata al noto omicidio di Garlasco, anche qui la vittima è una giovane ragazza trovata con il cranio fracassato, e il primo ed unico indiziato è il fidanzato. Le cose si complicano se i rispettivi padri sono due importanti personalità politiche, dei partiti opposti. Camilleri ambienta il racconto nella Palermo di oggi, all’interno della redazione siciliana della Rai, ma la situazione fotografa la triste realtà dell’intero panorama nazionale. Già dalle prime righe si capisce l’intento di denuncia del testo, dopo l’acceso dialogo fra un caporedattore che lavora in nome della verità e un direttore, immischiato con i poteri alti, che “prende un buco” evitando accuratamente di dare la notizia che potrebbe risultare scomoda per qualcuno, «La notizia del figlio dell’onorevole Caputo, tu non la dai» (p. 11). Ecco quella che lo stesso Camilleri in una passata intervista ha definito “la censura peggiore”, l'autocensura: la paura dei giornalisti di rovinarsi da soli. In queste pagine non c’è posto per il commissario Montalbano, personaggio simbolo dei gialli di Camilleri. Montalbano si sarebbe indignato e avrebbe fatto ordine e luce sulla vicenda e sui loschi scambi di informazioni e favori fra i poteri e i media. Al contrario, quello che qui emerge è un cinismo diffuso, dove le omissioni dei fatti sono all’ordine del giorno e rimangono ormai in pochi a stupirsi. Il romanzo non poteva uscire in un momento storico migliore, e non è certo un caso. In un’Italia atrofizzata dalla televisione, Camilleri vuol far riflettere sul potere che l'informazione acquisisce nella costruzione dell’opinione pubblica, ammesso che le notizie che ci giungono non siano faziose. L'autore non è nuovo all'impegno di denuncia in questo senso. A proposito di stampa libera in Italia, in una recente intervista commentava così la situazione del nostro paese: «Berlusconi dice di non essere un dittatore perché i dittatori censurano e chiudono i giornali. Lui non li chiude perché non può farlo. Ma censura. Qualche anno fa toccò ad alcuni giornalisti RAI, recentemente disse che Paolo Mieli ("Corriere della Sera") e Giulio Anselmi ("La Stampa") dovevano cambiare incarico e in poche settimane lo han cambiato». Ricordiamo inoltre un suo recente lavoro scritto a quattro mani con Saverio Lodato intitolato Un inverno italiano. Cronache con rabbia 2008- 2009 in cui commentando le vicende politiche dal marzo 2008 al maggio 2009, affronta ancora una volta faccende spinose legate alla politica e all'informazione, «Perché la politica questo è. Fumariti 'na sicaretta che non ti piaci pirchì a quello che te l'ha offerta non vuoi, o non te la senti, di diri di no». Dunque, fra un colpo di scena e l'ennesimo corrotto, un'opera da non perdere.
Floriana Ferrando

Andrea Camilleri
La rizzagliata
Palermo, Sellerio, 2009, 224 p.
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14 febbraio 2010

La riscoperta del piacere di partecipare ai tempi di Internet

Un testo che fa riflettere, quello di Sara Peticca: ne L’oggettività dell’informazione nella cultura dei blog”, l’autrice focalizza la propria analisi sui cambiamenti nelle modalità di produzione e ricezione dell’ informazione attraverso i blog. 
Oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno che può essere paragonato, metaforicamente, alla condizione ideale di condivisione e collaborazione che si riscontrava all’epoca della polis greca: i cittadini si ritrovavano nell’agorà poiché era il luogo di democrazia per antonomasia, in cui, tramite il dialogo, si cercava di creare una dimensione comunitaria.
In questo libro Sara Peticca passa da una visione generale della gestione dell’informazione su Internet analizzando la struttura di siti come quello dell’enciclopedia libera Wikipedia, in cui la libertà d’intervenire è un valore predominante, per arrivare all’analisi dei blog, grazie ai quali molti giornalisti e non professionisti danno la possibilità ai lettori, se possiamo ancora definirli così, d’interagire con loro e tra loro, creando una dimensione partecipata e collaborativa in cui ognuno ha la possibilità di esprimersi tramite la propria testimonianza od opinione.
L’autrice conduce una minuziosa analisi dei blog di Marcello Foa (giornalista de “Il Giornale”) e di Beppe Grillo, cercando in essi punti d’incontro e differenze: questo lo fa ponendo l’attenzione sui post degli autori ed i relativi commenti, analizzando il potere dei link, la popolarità e l’autorevolezza delle fonti, che contribuiscono anch’essi a donare oggettività ai suddetti blog.
Dall’analisi si evince quanto il confronto arricchisca, soprattutto se portato avanti nel rispetto delle opinioni altrui, dando la possibilità, a chi scrive ed a chi legge, di offrire ed adottare nuovi punti di vista grazie ai quali creare visioni del mondo mai totalizzanti, ma universali.
Purtroppo esistono ancora forme di manipolazione e censura delle informazioni: come ci dimostra la storia del giornalismo, i mezzi di comunicazione, soprattutto nei periodi dittatoriali, ricevevano precise disposizioni affinché facessero il più possibile da "cassa di risonanza" all'ottimismo del regime. La comunicazione era manipolata e distorta e nessuno aveva i mezzi per far sentire la propria voce, se non rischiando la vita.
Oggi ci sono mezzi più subdoli per manipolare la comunicazione: in un’epoca in cui l’informazione è maggiormente libera si muovono meglio gli spin doctor, a cui Sara Peticca dedica un intero capitolo, che tramite i mezzi televisivi e giornalistici riescono ad orientare il mondo dell’informazione a proprio piacimento.
Nella rete questo meccanismo è più difficile da attuare perché gli utenti hanno un ruolo attivo e non più passivo come nei media tradizionali, anche se, come dimostrano le recenti prese di posizione del nostro governo, non bisogna mai abbassare la guardia.
Nella realtà virtuale è infatti possibile incorrere in manipolazioni, censure o situazioni estreme come quelle che sta vivendo adesso la Cina insieme ad altri paesi in cui vige la dittatura e dove la libera fruizione o creazione d’informazione nella rete sono manipolate od addirittura proibite.
È importante non dimenticare quanto la libertà sia uno fra i valori predominanti e da difendere nella rete che, come ci dimostra questo libro, attraverso i blog fa nascere un nuovo genere di giornalismo che si allontana da quello tradizionale e che dà la possibilità, a chiunque vi partecipi, di creare tramite il confronto una dimensione orizzontale grazie alla quale gli individui riescono a creare una rappresentazione della realtà che si avvicina sempre più alla verità.
Isotta Boccassini

Sara Peticca
L'oggettività dell'informazione nella cultura dei blog
Soveria Mannelli, Rubettino, 2009, 279 p.

*Link alla scheda del libro sul sito dell'editore Rubettino.

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09 febbraio 2010

Una volta pensavo male di Montanelli

Ho appena finito di leggere Montanelli l'anarchico borghese di Gerbi e Liucci. Scrivo di getto quello che penso di questo testo, forse quello che penso dell’uomo. Avevo sedici anni quando Indro morì, quando cominciai a sentire il suo nome. Che nome era fra l’altro? Bah, ero un ragazzino e certe cose mi facevano ridere. Non sapevo ancora nulla, non sapevo ancora che sul certificato di battesimo ci fosse scritto anche Schizogene (“generatore di contrasti”). Avrei dovuto leggere questo libro per saperlo. Passò anche il G8. Avevo diciasette anni poi quando scoppiò il Caso Biagi, e lui sì che lo conoscevo, già conoscevo il Fatto suo. Che cognome aveva Indro invece? Beh, troppo semplicemente faceva rima con manganelli: ero sempre un ragazzino, e certe cose mi facevano facilmente arrabbiare. Non sapevo ancora che Montanelli fosse per la polizia armata, ma che sapesse usar bene le sue armi, cioè non usarle. Avrei dovuto leggere questo libro per comprenderlo. Ecco, fino ai diciasette anni è come se avessi vissuto comodamente: non avevo ben chiaro la storia politica e sociale d’Italia. Ancora dividevo il mondo in buoni o cattivi. Ancora credevo nei comunisti e nei fascisti. Ancora pensavo ci fossero i corrotti e i corruttibili, i controllori e i controllati. Ecco, avrei dovuto leggere questo libro per capirlo, capire che fino alla "maturità" non avevo preso in mano un libro seriamente: la storia era quella delle verifiche del liceo, il mondo quello di chi la pensava come me e chi no. C’era chi mangiava i bambini e chi stuprava le donne. Ancora pensavo molte cose, che ora non penso più. Questo è uno di quei libri che mi ha fatto pensare e pesare, che non mi ha fatto quindi pensare quello che pensavo prima (quando, comodamente, in realtà non pensavo). Ora sono maggiorenne. La realtà fa rima con problematicità. Complicati sono la realtà e l’Italia, la storia e Indro. Montanelli non fu la destra, fu la destra a modo suo (una destra che non c’è mai stata, «forse soltanto nel suo cuore: una destra conservatrice e altera, sobria e meritocratica, colta e pessimista, scettica e ironica, elegante e rigorosa, laica e non bacchettona, diffidente della società di massa e dei suoi umori e malumori» (p. 252). Montanelli non fu la sinistra, mai nella vita anche se gli piacquero Una vita violenta di Pasolini (‘59), La dolce vita di Fellini (‘60) e La vita agra di Bianciardi (‘62), non fu di sinistra nemmeno quando lo accusarono di esserlo e quando addirittura la votò, «non per dare un voto a chi mi piace di più (cosa che in cinquant’anni non mi è mai riuscito di fare» (p. 257). E poi mille lotte, infinite lottizzazioni e zero lotterie. E poi un piano A, uno B e magari uno C, delle vittorie e delle sconfitte. Un’inscalfibile coerenza e un insanabile tutto e il suo contrario. Una volta pensavo male di Indro Montanelli. Ora sono maggiorene e la realtà è problematicità.
Ora che so di non conoscerlo sul serio, sul serio invece lo conosco.
Alessandro Ferraro
Sandro Gerbi, Raffaele Liucci
Montanelli l'anarchico borghese
La seconda vita 1958-2001
Torino, Einaudi, 2009, XIII - 284 pp.

In libreria

Mark Twain
Libertà di stampa
Prato, Piano B edizioni, 2010, 130 pp.


Libertà di stampa  propone per l'anniversario della morte dello scrittore alcuni saggi inediti sul tema della libertà di pensiero e di opinione. Una tematica di grandissima attualità analizzata da uno degli scrittori più estrosi, divertenti e acuti della letteratura mondiale del Novecento.
L'impudente genialità di Mark Twain punta il dito sul mestiere d’informare, sui metodi di costruzione e persuasione dell'opinione pubblica, sulla censura, sulla "troppa libertà" di certa stampa e sull'eccessiva cautela di certa altra, senza risparmiare colpi alla categoria a cui egli stesso apparteneva.
Solo ai morti è permesso di dire la verità, asseriva Twain dopo che diversi dei suoi scritti furono censurati o respinti dai suoi editori e caporedattori, sopportando le conseguenze dello scomodo privilegio di quella libertà di opinione a cui cercò sempre di dare espressione: «un uomo non é indipendente, e non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare, deve seguire la maggioranza. Per questioni molto importanti, come la politica e la religione, deve pensare e sentire come la maggior parte dei suoi vicini, altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari».
 [... leggi tutto].

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08 febbraio 2010

L'informazione sul web, quali regole per un nuovo luogo


Convegno, Orvieto, 11 febbraio 2010
Nel luogo relativamente nuovo dell'informazione sul web, la creazione dei contenuti non è più affidata solo ai professionisti, ma lascia ampio spazio all'interattività dei lettori-attori.
Mi ricorda, in chiave moderna e digitale lo spirito dei fogli e delle "gazzette" settecentesche; la generazione e la diffusione di "User Generated Content" spesso senza il controllo di editori e direttori, porta di nuovo in primo piano l'attenzione sulle problematiche connesse alla diffusione, alla qualità e alle responsabilità dei contenuti.
Ne discutono riuniti in Convegno editori, giornalisti, tecnici, giuristi l'11 febbraio 2010 al Centro Congressi di Palazzo del Popolo Sala dei Quattrocento, a Orvieto.
Silvia Dini
* Link:
Programma e info
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06 febbraio 2010

Milena Gabanelli: lezione di "buon" giornalismo

Una coscienza e un’etica del mestiere rare da trovare fra i professionisti dell’informazione di oggi. Quell’etica e quella devozione per una professione sempre più difficile, quella del giornalista di inchiesta, che Milena Gabanelli, ospite ad Alessandria, ha raccontato agli studenti e al pubblico nell’aula magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Avogadro.
Per fare giornalismo d’inchiesta - ha esordito la Gabanelli - : “bisogna avere una patologia particolare” e non è difficile intendere che cosa volesse dire con queste parole.
Il giornalismo in Italia, il buon giornalismo è sempre più difficile. Ed è altrettanto difficoltoso lottare, o meglio, aver voglia di lottare per quei principi legati alla deontologia professionale che fanno produrre articoli, servizi e reportage utili a formare una coscienza collettiva che ormai manca. Complici le distrazioni che ci vengono propinate dai canali tv, fatte di reality, cattivo intrattenimento e scarsa informazione.
Un’infoitment che non fa bene a chi ascolta, lo confonde, lo distrae da quelli che sono i reali problemi dell’Italia di oggi.
Per la Gabanelli innanzitutto “l’informazione è educazione”, proprio per questo i giornalisti dovrebbero rendersi conto dell’enorme responsabilità che hanno nello svolgere il proprio compito.
Si è parlato anche di teorie e tecniche del linguaggio giornalistico, di come si fa un reportage da video reporter, alla
Report, insomma; ben diverso da un tradizionale resoconto giornalistico. Eh si, perché innanzitutto ci si informa, si raccoglie materiale, si scava, si approfondisce la notizia così tanto da diventare “scomodi”. Scomodi per le istituzioni, scomodi per la politica, per l’impreditoria, scomodi per i poteri forti.
Grazie agli interventi del pubblico incuriosito ed interessato, Milena Gabanelli ha potuto anche raccontare alcune sue esperienze sul campo,arricchendo così di un nuovo senso critico, gli orecchi, di chi ha avuto la fortuna di assistere ad una così bella lezione di buon giornalismo.
Vera Gandini

*link al sito della trasmissione Report di Rai3. 

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05 febbraio 2010

Architetti di giornali

Il 3 febbraio il principale quotidiano di Genova "Il Secolo XIX" si é presentato in edicola con una nuova veste grafica rinnovando il formato e l'impaginazione. Ancora una volta la nuova testata é stata ridisegnata da Mario Garcia,  grafico di fama mondiale, il cui blog merita una navigazione lenta per capire le problematiche relative alla progettazione di una testata. I post più recenti sono dedicati alla nuova formula del quotidiano genovese: Genoa’s Il Secolo XIX in new format, new look (3.2.2010); Il Secolo XIX: three days after relaunch (5.2.2010).

*link al sito di Mario Garcia Garcia Media.
*link alla presentazione del nuovo "Secolo XIX" nel sito del quotidiano. 
*link al sito del "Secolo XIX".
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04 febbraio 2010

Pubblicitari

"Non è una situazione allegra. Le agenzie di pubblicità ci stanno ormai abituando a bere a tavola la Coca-Cola e sostituire il pane con i biscotti, i carciofi romani con quelli del Minnesota. L'estro viene sostituito dalla regola. Nel mondo della produzione e della cultura di massa c'è posto per i copywriter, non c'è posto per i poeti. La mia presenza è imbarazzante. Quasi più nessuno ti chiede di fare il meglio ma il meno-peggio".    Leonardo Sinisgalli, 1965.

Leonardo Sinisgalli (1908-1981), ingegnere, poeta e pubblicitario, grande protagonista dell'innovazione della comunicazione aziendale nell'Italia del secondo dopoguerra.
*link al sito dedicato a Leonardo Sinisgalli a cura di Biagio Russo.

03 febbraio 2010

In libreria

Roberto Escobar
Paura e Libertà
Perugia, Morlacchi editore, 2009, 220 pp.

Dalla Prefazione del libro
C’è una curiosità e c’è una passione, in questo libro. Perché gli uomini e le donne si consegnano al potere? Perché lo fanno tanto spesso con entusiasmo, accettando non solo di uccidere, ma anche di morire, prima moralmente e poi fisicamente? Questa è la curiosità. Quanto alla passione, la esprime una speranza: che ci siano vie di fuga da una tale pratica d’obbedienza e morte. E qual è il compito – uno dei compiti, almeno – del filosofo politico, se non di contribuire a immaginarne qualcuna? Questa speranza, d’altra parte, si lega alla consapevolezza che non ci sono mete ultime e definitive che guidino e garantiscano lo sforzo di fare del mondo un posto migliore. Troppo spesso, semmai, è la ricerca ostinata di una fuoriuscita “assoluta” dalla faticosa, splendida empiria di quel che è umano a farne un posto peggiore. [...leggi tutto]


*Link all'Indice del libro  sul sito dell'editore Morlacchi.

02 febbraio 2010

L'opinione pubblica alla prese con la Storia

Qual è l’origine dell’ espressione “opinione pubblica” ? E, qual è il suo vero scopo? Queste sono solo due delle domande a cui il nuovo libro di Dessì e Cavallari tenta di dare una risposta, e lo fa attraverso un saggio excursus nel pensiero degli intellettuali più autorevoli del XX secolo, ma non solo. Il viaggio dell’ “opinion publique” ha inizio nel 1762 quando Rousseau la definisce come un “rapporto fondamentale fra l’uomo e la legge”; ma col tempo tale definizione trova modo di evolversi e solo nell’Ottocento, con la progressiva pubblicità degli atti che riguardano il governo e la diffusione della stampa, significherà sempre di più capacità critica nei confronti del potere costituito. Ed è proprio dalla constatazione della potenza straordinaria della stampa che trovano diffusione le nuove teorie sulla possibilità di un’opinione pubblica libera, e conseguentemente di una democrazia libera: “sovranità popolare e libertà di stampa vanno di pari passo”. Partendo da questo presupposto alcuni autori americani del Novecento,quali John Dewey,Charles Wright Mills, Robert Dahl e Walter Lippmann, si interrogano sulla reale possibilità di raggiungere la “vera democrazia” in un paese e in un secolo in cui l’informazione è guidata dalle minoranze privilegiate e i cittadini – vero motore della cosa pubblica- si accostano alla politica con scarso interesse. Inizia così l’individuazione e la denuncia dei rischi della manipolazione dell’informazione che spaziano dalla superficiale indifferenza generata dal disinteresse alla più grave sottomissione da parte delle elitès di un popolo addormentato. Maggiormente approfondita risulta la seconda parte del libro che analizza da vicino l’evoluzione del pensiero di Lippmann attraverso la sua vita e i suoi scritti. Già all’inizio della sua carriera si era ripetutamente interrogato sul ruolo dell’opinione pubblica nella democrazia inserendosi a pieno nel filone ottocentesco, ma di fronte alla vicissitudini americane di quegli anni – prima guerra mondiale, diffusione dei consumi, crisi del ’29, eccessivo peso dei gruppi di potere sulla società americana- rivolge la sua attenzione soprattutto alla ricerca di strumenti teorici adeguati all’analisi delle trasformazioni che hanno interessato la società statunitense degli ultimi anni. Per Lippmann la percezione del cambiamento avvenuto esclude la possibilità di un ritorno al passato ed incentiva l’idea che la società debba essere plasmata e non accettata passivamente, a tale scopo viene indicata la scienza come cura delle malattie sociali. A questa visione progressista è implicito una sorta di ottimismo non solo nei confronti della collettività, ma dell’individuo stesso: prospettiva che sarà drasticamente ridimensionata dall’esperienza dell’irrazionalità e dell’insensatezza della Seconda Guerra mondiale. Qui il ragionamento di Lippmann è lineare: “ la democrazia è quel sistema politico che richiede partecipazione, controllo e consenso dei cittadini nei confronti delle scelte dei governanti”, ma tale situazione può essere raggiunta solo grazie ad un’informazione sana ed incorrotta, pertanto alla crisi della carta stampata è parallela la crisi della democrazia. Il vero dubbio del libro, che attraversa la storia dalla origini ai giorni nostri, non viene sciolto; infatti, è ancora di grande attualità il dibattito sulla reale possibilità del cittadino di partecipare alla cosa pubblica in una società bombardata dai media dove l’informazione è veicolata dagli interessi del potere. Un testo, quello di Dessì e Cavallari, che filtra saggiamente la storia con gli occhi della sociologia allo scopo di farci riflettere in modo critico su molte dinamiche sociali di cui siamo noi stessi protagonisti.
Veronica Scrollini

Giovanna Cavallari - Giovanni Dessì
L'altro potere. Opinione pubblica e democrazia in America
Roma, Donzelli, 2008, pp. XII+148.
*link alla scheda del libro nel sito dell'editore Donzelli.

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Guerra alla guerra

Hannah Arendt, ne La banalità del male rifletteva su quanto i regimi totalitari, nello specifico la Germania nazista, avessero profondamente mutato il rapporto tra uomo e violenza. Nel Terzo Reich, l'azione criminale era diventata una prassi consolidata, un gesto abitudinario, e il concetto stesso di male perdeva la sua carica eversiva, divenendo, appunto, banale.
La banalità di allora è la stessa che oggi investe una realtà mostruosa come quella della guerra. Il lettore di quotidiani, animale in via di estinzione, presta poca attenzione alle notizie di politica nazionale, e ancor meno a quelle delle sezioni estere. “Lo stato permanente di guerra in cui versa il mondo ci dice che essa è legittima, è uno strumento sempre più normale da usare”. Così esordisce Maso Notarianni, direttore del quotidiano online Peacereporter, nell’introduzione al volume Guerra alla Terra. I conflitti del mondo per la conquista delle risorse, in cui quattro reporter del giornale raccontano storie di scontri che condividono uno scopo comune, quello di accaparrarsi le risorse naturali del pianeta.
Il tema della responsabilità dell'informazione occidentale in questo processo di banalizzazione è esposto con chiarezza da Notarianni e rappresenta un nodo cruciale. I mass media sarebbero complici della nuova pervasività con la quale la “cultura” della guerra ha inquinato il nostro habitus mentale, a partire da uno spartiacque storico che coincide con gli attacchi dell'11 settembre 2001. Da allora, secondo Peacereporter, la “strategia del terrore” d'importazione americana ha spalancato le porte del giornalismo ai “copia e incolla dei comunicati stampa ministeriali”, come denuncia Cecilia Strada nel suo reportage sull’Afghanistan. Una copertura dei conflitti che oscilla tra due estremi ugualmente deprecabili: da una parte, la mitraglia informativa dei numeri, slegati da un'analisi del contesto che restituisca alla violenza una dimensione umana, e dall'altra la retorica sensazionalistica dell'infotainment, che scatena la lacrima facile più che riflessione e approfondimento. Tutto ciò contribuisce a rendere la guerra un evento banale, nel senso di male necessario. Un quadro descrittivo che, se in certi casi non rende giustizia ai tanti professionisti che prestano servizi di qualità presso quotidiani e televisioni mainstream, certo pone l'accento su un fenomeno, reale, di impoverimento giornalistico. La latitanza del genere dell'inchiesta e la scomparsa dell'inviato di guerra non sono che le vittime più vistose di questa trasformazione.
A questo giornalismo di massa si contrappone Peacereporter. La testata nata nel 2003 dal matrimonio tra l'agenzia di stampa Misna e l'organizzazione umanitaria Emergency, ha alla base del proprio atto fondativo un diktat esplicito: l'abolizione della guerra. Alla luce di quest'idea, si chiariscono tutte le scelte giornalistiche operate dai suoi cronisti. Guerra alla Terra non sfugge a questa logica.
La raccolta si snoda tra conflitti noti e meno noti, ognuno dei quali serve a svelare le distorsioni operate dall’informazione. Ad esempio, l’oggetto del contendere dello scontro infinito tra israeliani e palestinesi non ha radice, bensì pragmatica: la conquista delle risorse idriche comprese tra Cisgiordania, Gaza e Territori. L’esposizione mediatica del conflitto, quindi, non ha evitato l’occultamento dei reali interessi in gioco. Si spengono le telecamere di fronte al bieco sfruttamento che le multinazionali operano nel Delta del Niger, in Nigeria, attraverso le attività estrattive del petrolio. In parallelo, i retroscena della corsa all’industrializzazione della Bolivia, che grazie alle riserve di litio, il carburante del futuro, può scommettere sul proprio sviluppo, ma, al contempo, rischia nuove “colonizzazioni” da parte delle economie più avanzate.
Il grido di ribellione nei confronti della guerra pervade le pagine come una sorta di sottotesto, un sottile fil rouge appena visibile. I reportage non affrontano il tema della deriva informativa denunciata da Peacereporter, ma si autoimpongono come esempi di controinformazione che, inevitabilmente, chiama in causa un confronto critico con il restante panorama giornalistico italiano.
Sara Marmifero

Christian Elia, Alessandro Grandi, Vauro, Matteo Fagotto, Cecilia Strada
Guerra alla Terra. I conflitti nel mondo per la conquista delle risorse
(Prefazione di Gino Strada)
Milano, Edizioni Ambiente, 2009


*link alla scheda del libro
*link a Peacereporter
*link all'Agenzia Misna
*link a Emergency

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01 febbraio 2010

In libreria

Federica Bertagna
La stampa italiana in Argentina

Roma, Donzelli, 2009, 202 pp.
Scheda
La storia della stampa italiana in Argentina è straordinaria quanto la vicenda migratoria da cui scaturì. Per numero e qualità, durata in vita e diffusione, i giornali e i periodici pubblicati al Plata tra la metà dell’Ottocento e gli anni sessanta del XX secolo non hanno paragone con quelli prodotti dalle collettività italiane in altre parti del mondo. Del resto, l’insediamento dei nostri emigranti fu precoce e massiccio, tanto che, ancora oggi, il peso demografico degli italiani nel paese è fortissimo. Non deve dunque sorprendere che a ognuna delle fasi che scandiscono la storia dell’immigrazione italiana in Argentina si possano associare una o più importanti testate. Il libro ricostruisce questa parabola, dalle prime iniziative dell’esule mazziniano Giovanni Battista Cuneo, che nel 1854 e nel 1856 avviò a Buenos Aires la pubblicazione de «L’Italiano» e «La Legione agricola», fino alla rivoluzione di internet ai giorni nostri, e si sofferma su tre delle testate più importanti – «La Patria degli italiani», «L’Italia del popolo», «Il Corriere degli Italiani» – studiandole in frangenti particolarmente significativi della storia degli italiani in Argentina: la guerra di Libia, il secondo conflitto mondiale, e l’ultima ondata di arrivi dalla penisola, a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta del Novecento. La riflessione si concentra in queste pagine su due nodi fondamentali: il ruolo della stampa italiana nello stimolare il patriottismo degli emigrati e la funzione dei giornali nella costruzione di una collettività nel paese di insediamento. Un tassello importante, dunque, nella storiografia sulla nostra emigrazione, prezioso per chiunque voglia comprendere il complesso declinarsi delle dinamiche migratorie.
*segnalato da G.S.
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