Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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20 giugno 2010

Appunti sulla censura - 1958

L'articolo qui riprodotto fu scritto dal regista Federico Fellini nell'agosto 1958 per il periodico dell’Associazione Nazionale Autori Cinematografici La Tribuna del cinema; fu anche pubblicato  sul quotidano di Genova "Il Lavoro nuovo" (9 agosto 1958).
 
Appunti sulla censura
"La censura è un modo di conoscere la propria debolezza e insufficienza intellettuale. La censura è sempre uno strumento politico, non è certo uno strumento intellettuale. Strumento intellettuale è la critica, che presuppone la conoscenza di ciò che si giudica e combatte.
Criticare non è distruggere, ma ricondurre un oggetto al giusto posto nel processo degli oggetti.
Censurare è distruggere, o almeno opporsi al processo del reale.
La censura seppellisce nell'archivio i soggetti che vuole seppellire e impedisce loro indefinitamente di diventare realtà. Non importa che quattro o cinque intellettuali si leggano e si scaldino in cuore tali soggetti; essi non sono divenuti realtà per il pubblico, hanno mancato quindi alla vera realtà.
La censura non si giustifica neppure come espressione della volontà di un popolo intero che, considerando di avere superate criticamente certe posizioni e certi rapporti, mette fuori dai propri confini testi e documenti di tale cultura, come chi gettasse dalla finestra i libri che ha già letto e che considera come sciocchi e decaduti.
Fermo restando che non può essere impedita la circolazione delle idee, si tratta di vedere se e in che limite può essere proibita la circolazione ai fatti e forme e stimoli ed esibizioni, visioni e perversioni dell'erotico, del macabro e dell'orrido.
Proibire certi films, per motivi che riguardano forse più la loro stupidità che la loro carnalità, è l'autodifesa che ognuno deve esercitare per poco che tenga a sé. Naturalmente, proibire questi films non sarà un'impresa che potrà bastare a metterci il cuore in pace; si tratterà di andare più a fondo nelle cause di quella stupidità e di quella eroticità e di scuotere l'inerzia che ne è sempre alla base.
C'è dunque non un problema della censura, ma un problema della pulizie e dell'intelligenza.
Il problema della censura cinematografica in Italia, come nel resto del mondo, è tutto contenutonei termini della circolazione delle idee ed è su questo punto che è un problema attuale e scottante.
Bisogna onestamente riconoscere che il problema della censura cinematografica non sarebbe così importante se si trattasse di battersi per i centimetri di bikini di un'attrice o per il modo di ballare di una "soubrette". A questo proposito si tratta semmai di constatare fino a che punto la censura in tutti i paesi viene allegramente giocata e come essa serva a stimolare la fantasia più morbosa per trovare modi pornografici che non cadano nella lettera dei varii codici. C'è dunque semmai da richiamare l'attenzione sul fatto che la censura in questo campo deve essere intelligente, e ispirata a metodi suscettibili di evoluzione.
Ma il problema della censura è un altro. Per esempio, la censura applicata alle idee è né più né meno che un sistema di violenza sul quale è perfettamente ozioso fare disquisizioni morali.
La censura politica non ha d'altra parte mai portato fortuna a chi se ne è servito per difendersi in mancanza di argomenti. Per quanto riguarda il Cinema, arte espostissima e fragilissima, non dobbiamo d'altra parte avere troppa fiducia nella forza naturale delle idee.
C'è una censura italiana che non è invenzione di un partito politico ma che è naturale al costume stesso italiano.
C'è un atteggiamento italiano, presente in tutti noi, che la censura riflette, ed è il negarci all'autocritica, il credere nel privilegio di essere italiani e nella virtù del cielo azzurro.
C'è, oltre all'orgoglio e all'euforia, o all'eccessiva rassegnazione, il timore dell'autorità e del dogma, la sottomissione al canone e alla formula, che ci hanno fatto molto ossequienti.
Tutto questo conduce dritti alla censura.
Se non ci fosse la censura gli italiani se la farebbero da soli.
C'è poi la censura come strumento politico e ci sono i problemi attuali del neorealismo.
La nota caratteristica del neorealismo è che non solo vuole contemplare il mondo ma anche trasformarlo. Il neorealismo mette in cima al suo programma quella che in fondo è stata, sempre, la forza dell'arte. L'Italia è un Paese estremamente carico di situazioni dolorose o insomma si problemi da risolvere, ed è naturale che qui ci sia più ispirazione per un artista che voglia non solo contemplare il mondo ma, anche trasformarlo. Le opposizioni che gli si fanno riguardano la resistenza di certi ceti a essere trasformati e a rinunciare a certi privilegi. Sarebbe ora che anche il partito che in Italia è alla maggioranza rinunziasse decisamente a certi privilegi. Ma il neorealismo è un movimento che è inserito attivamente nel processo di trasformazione di una società e, nato per la battaglia, non può invocare la via pacifica di altre arti.
Il problema della censura in Italia è il problema del neorealismo nel senso che sta per esserci un neorealismo per ogni partito. Se bisogna ammettere la lotta dei partiti bisogna ammettere la lotta dei neorealismi.
Nel campo cinematografico, una tale lotta finirà probabilmente per essere combattuta con le armi più sleali.
Il problema oggi per l'Italia è di ripristinare dialogo, circolazione, espressione e libertà."
Federico Fellini

*articolo estratto dal sito dell'ANAC (Associazione  Nazionale Autori Cinematografici).
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18 giugno 2010

Diagnosi

"Siamo passati da una democrazia rappresentativa a una democrazia della presentazione, dell’emozione istantanea, che vede nei mass media strumenti privilegiati. A fianco della comunità di interessi, tipica delle classi sociali, che muoveva la vecchia politica, ora c’è una dilagante comunità di emozioni."

Paul Virilio
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16 giugno 2010

In libreria

"[....] In un mondo in cui molte più informazioni sono disponibili a un numero maggiore di persone cresce la necessità di una figura indipendente che possieda strumenti tecnici e culturali per fare sintesi, per gettare ponti tra le specializzazioni, per comporre scenari. Un professionista consapevole di non avere più né l’esclusiva né deleghe in bianco, che si accontenti spesso di arrivare in seconda battuta sui fatti a fronte di maggiore approfondimento e che sia in grado di lavorare insieme ai tanti nuovi soggetti che affollano lo spazio pubblico delle idee e delle opinioni, a cominciare dai suoi stessi concittadini.[...]"
Sergio Maistrello


Sergio Maistrello
Giornalismo e nuovi media
L'informazione al tempo del citizen journalism

Milano, Apogeo, 2010, 240 p.

Scheda
Come evolve il giornalismo, stretto tra la crisi epocale dell’industria tradizionale e i nuovi spazi di espressione offerti dai network digitali? Quali competenze deve avere un professionista dell’informazione per sopravvivere in un ambiente in cui non ha più il monopolio delle notizie? Quali sono le nuove grammatiche con cui è necessario prendere confidenza? Il libro parte dalle nuove dinamiche sociali promosse dalla Rete e, passando attraverso un'approfondita divulgazione degli strumenti e delle pratiche emerse finora, esplora il loro impatto sul giornalismo. Dal viaggio tra i colossi editoriali alla ricerca di nuove modalità operative e tra gli avamposti più innovativi dell'informazione collaborativa emerge la consapevolezza che il giornalismo non solo non viene rinnegato in questo passaggio storico, ma - liberato dalle rigidità commerciali ed editoriali degli ultimi decenni - ha semmai l'opportunità di vivere una nuova fase di prosperità. [leggi tutto]

*link all'Indice  e all'Introduzione del libro sul sito dell'editore Apogeo.
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11 giugno 2010

Genova in libreria

Marco Massa
Vita da guerra. Genova 1940-1945
Genova, Erga, 2010, 304 pp.

Scheda
“Vita da guerra” è scritto da un cronista con lo stile dei primi anni Quaranta, quando le notizie erano riportate in poche righe senza una sola parola più del necessario e senza commenti; a volte facendo intuire cosa poteva nascondersi dietro la notizia. Così se era vietato riportare i casi di suicidio si riferiva di improvvisi giramenti di testa proprio quando le vittime erano affacciate alla finestra o di colpi di pistola partiti inavvertitamente che laceravano cuore o cervello. Nel volume sono riportati anche numerosi episodi della guerra civile riferiti dai giornali dell’epoca, ma quasi del tutto ignorati. Una cronaca in pillole come usava in quel periodo, ma che vuole stimolare un approfondimento diretto di quei fatti che i nostri genitori e nonni non amavano ricordare e che rischiano di finire dimenticati.

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10 giugno 2010

In libreria

Renato Sirigu
Il comunicatore pubblico. Manuale per addetti stampa delle pubbliche amministrazioni
Milano, Franco Angeli, 2010, pp. 208.

Scheda
Questo manuale conduce passo dopo passo nel mondo della comunicazione e dell’informazione pubblica, disciplinate dalla legge 150. Entra sia nei meccanismi della burocrazia italiana che nei processi che governano il newsmaking, la notiziabilità e le opportunità offerte dai molti strumenti informativi qui presentati. Una guida indispensabile per i giornalisti che intendono proporsi come addetti stampa ad una p.a.  [leggi tutto sul sito dell'editore Franco Angeli]
L'autore Renato Sirigu è capo-redattore dell'agenzia di stampa della Provincia di Genova.
*Link all'Indice del libro.
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09 giugno 2010

Libertà di stampa

"[...] Laddove la libertà di stampa non esiste il pubblico si abitua ai sospetti; si crea fantasmi, li ingrandisce e se ne impaurisce. I decreti sulla stampa, i sequestri e le diffide ai giornali sono potenti fattori di ribasso.[...]. In una società, deve esistere una valvola di sicurezza per lo spirito di critica, di mormorazione, di opposizione. La valvola di sicurezza meno costosa, meno pericolosa finora inventata dagli uomini è il governo parlamentare, alleato alla libertà di stampa. Non sono, questi due istituti, prodigi di perfezione; ma sono quanto di meglio l'intelligenza umana ha saputo inventare. Laddove questi due istituti sono soppressi, entrano in scena altre valvole che non si sa precisamente come siano fatte e come funzionino: la diceria, il sospetto, l’incertezza!
Luigi Einaudi
"Il Caffè", 25 gennaio 1925.

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08 giugno 2010

Genova in libreria

Antonella Picchiotti
Flavia Steno una giornalista, una donna (1875-1946)

Genova, Fratelli Frilli Editori, 2010, 496 pp.
Scheda
Flavia Steno, pseudonimo di Amalia Osta Cottini (1875-1946), entrò giovanissima, nel 1898, a "Il Secolo XIX", allora diretto dal grande giornalista Luigi Arnaldo Vassallo. Immediatamente considerata una vera redattrice, le fu assegnato l'incarico di scrivere servizi giornalistici di rilievo, campagne di denuncia, "pezzi" di politica interna ed estera, ma anche di trattare soggetti di moda e di emancipazionismo femminile, argomento assai dibattuto a fine secolo: più di un migliaio di articoli redatti nel solo decennio "gandoliniano". Il suo femminismo particolare, quasi un a-femminismo, non le impedì di battersi in favore dell'emancipazione delle donne, invitandole ad elevare il loro livello culturale, a dotarsi di un'alta struttura morale, di lavorare per essere indipendenti materialmente da ogni appoggio maschile: un vero richiamo alla dignità. La sua fortunata esperienza subì una decisa involuzione a seguito della precoce morte di Vassallo e del mutamento di tutta l'impostazione economico-politica de "Il Secolo XIX", che alla luce degli eventi della guerra di Libia e dell'avvento del nazionalismo, si trasformò in "giornale- impresa", imponendo scelte redazionali, in conseguenza delle quali la Steno perse quasi del tutto la sua visibilità. L'unica parentesi di vera libertà professionale fu costituita per la giornalista da "La Chiosa", la rivista di politica rivolta alle donne, da lei fondata e diretta nel 1919 che durò, sia pure con notevoli difficoltà, fino alla fine del 1925. In tale esperimento la Steno profuse le sue convinzioni sui temi femminili, ma soprattutto, da convinta liberale, il suo credo politico antifascista. Invisa ai sostenitori del fascismo genovese, fu costretta ad un forzato "rientro nei ranghi", cui fece presto riscontro l'involuzione subita da tutta la stampa italiana in conseguenza dei provvedimenti adottati dal governo fascista nel 1925, che ridusse le mansioni dei giornalisti a compiti di semplici funzionari dell'informazione. La ripresa della sua attività al foglio genovese, dopo le drammatiche vicissitudini conseguenti alla caduta del fascismo e al periodo della repubblica di Salò, fu interrotta dalla sua improvvisa morte nel 1946.

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06 giugno 2010

In libreria


Massimo Teodori
Panunzio. Dal «Mondo» al Partito Radicale: vita di un intellettuale del Novecento

Milano, Mondadori, 2010, 288 pp.

Scheda
La figura di Mario Pannunzio, forse il maggiore intellettuale liberaldemocratico italiano del dopoguerra, suscita ancora, mentre si celebra il centenario della nascita, numerosi interrogativi: era un letterato o un politico, un fascista o un antifascista, un anticomunista viscerale o un filocomunista mascherato, un anticlericale mangiapreti o un cristiano, laico e tollerante? Oggi, per la prima volta, è possibile rispondere a queste domande grazie a documenti inediti conservati presso l'Archivio della Camera dei deputati e, soprattutto, all'imponente carteggio (circa ventimila lettere scritte in poco più di trent'anni), una fonte indispensabile per saggiarne la dimensione pubblica e quella più intima e privata. È il compito che lo storico e saggista Massimo Teodori affronta con un'accurata interpretazione delle due fasi della vita di Pannunzio: quella dell'umanista a tutto tondo, che si cimenta nella pittura, nella critica letteraria, nella cinematografia e nel giornalismo culturale, e quella - a cui deve la sua fama - di maître à penser classico e innovatore, dapprima come fondatore del più bel quotidiano dell'Italia repubblicana («Risorgimento liberale») e poi come direttore del «Mondo», unanimemente ritenuto il miglior settimanale di politica, economia e cultura pubblicato nel nostro paese nel secolo scorso. Fu proprio attorno a questa irripetibile esperienza politico-giornalistica che si aggregarono le menti più vivaci e indipendenti dell'epoca, accomunate dalla medesima passione civile e dallo stesso intento di colmare il vuoto di democrazia creatosi in una nazione assediata dalle derive violente dell'antifascismo e dell'anticomunismo, e dalla miopia del conservatorismo reazionario. Al progetto di una Terza forza - laica, liberale, democratica e riformatrice - di respiro europeista e allineata all'Occidente senza velleità nazionalistiche e neutralistiche, Pannunzio dedicò tutta la vita, collaborando alla ricostituzione, nel 1944, del Partito liberale e, nel 1955, partecipando alla fondazione del Partito radicale al fianco di politici della statura di Nicolò Carandini, Ernesto Rossi e Leo Valiani. Se pure la sua idea non si concretò mai del tutto, va indubbiamente riconosciuto al direttore del «Mondo» il merito di averla perseguita con rigore e intelligenza, alla luce di una tensione culturale e di un'intransigenza morale talmente inusitate che, se da un lato lo resero bersaglio di critiche sia da destra che da sinistra, dall'altro ne fanno un unicum nel panorama culturale, politico e sociale dell'Italia del Novecento.
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In libreria

Michele Mezza
Obama.net - New Media, New Politics?
Politica e comunicazione al tempo del networking

Perugia, Morlacchi editore, 2010, 290 pp.


[...] Obama ha molto contato sulle figure dei net professionals, di quei ceti professionali che producono valore connettendosi in rete. È questo il nuovo soggetto che lo sparuto candidato dell’Illinois decise di mettere in campo per mutare gli equilibri elettorali. Parliamo di circa 6 milioni di professionisti e di piccoli imprenditori, o di semplici cittadini, che trovano nella rete la ragione della propria autonomia e della capacità di produrre valore. Figure che, vedremo dopo, non sono istintivamente attratte dalle tradizionali battaglie sociali, a cominciare proprio dalla madre di tutte le rivendicazioni sociali che è appunto la riforma sanitaria. Solo un punto, un problema, lasciava intendere che i due mondi – quello dei nuovi individualisti della rete e quello delle aree di disagio sociale, in larga parte composto da popolazione di colore, che hanno votato per il candidato dell’Illinois –, potevano incontrarsi: sviluppo, dunque competitività, significa armonia e collaborazione sociale. E di conseguenza una riduzione delle cause di conflittualità e invivibilità sociale.[...]"
Michele Mazza, p. 21




*link alla scheda di presentazione del  libro sul sito dell'editore Morlacchi
*link all'Indice ed ad alcuni estratti del libro [leggi tutto]
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05 giugno 2010

Libertà di stampa

Lettera aperta di Willy Dias ai giornalisti genovesi

"Io non vorrei che nessuno dei giornalisti di Genova, a qualunque partito politico appartengano, supponesse che voglia, rievocando il passato, fare delle allusioni o degli oramai superati rinfacciamenti. Voglio soltanto metterli sull’attenti riguardo al progetto di legge che per quanto elaborato con raffinata ipocrisia, sopprimerebbe in realtà, la libertà di stampa. Le conseguenze della soppressione di tale libertà ogni italiano, purtroppo, le ha potute constatare. Anche allora, quando si trattò di varare tale legge, in contraddizione con lo Statuto, si ricorse alle stesse ambigue manovre di adesso. Mussolini comprese tanto bene la gravità del suo gesto che volle condividere la responsabilità con quelli stessi che la legge più direttamente colpiva. E ci riuscì. Le associazioni giornalistiche furono obbligate ad indire delle riunioni, dove i soci dovevano dare pubblicamente il loro voto pro o contro la soppressione. Ricordo la riunione di Genova il verbale della quale del resto, se non fu diplomaticamente distrutto, dovrebbe essere ancora nell’archivio dell’Associazione Ligure dei Giornalisti. Prima del fascismo c’era, tra noi giornalisti, molta fraternità. Dopo qualche spiegazione si arrivò al voto. Non più di dieci, o forse meno, furono i voti contrari. Tra quelli che ricordo furono Angiolini, Baratono, Beccherucci, Flavia Steno, Willy Dias, Federico Striglia. Flavia Steno spiegò anche il motivo del suo no. Disse: mi strangolino se hanno il potere di farlo ma non mi chiedano di fornire loro la corda. Ed era il pensiero nostro. L’accolse un glaciale silenzio. Molti, troppi dei colleghi di un tempo non ci sono più, e diversi, si accorsero, tardi, dell’errore commesso. Perciò sento il dovere di esortare i colleghi attuali, di non essere agnostici, di lottare qualunque sia la loro fede politica, con noi perché non sia avvilita, come lo fu nel ventennio la dignità della nostra professione e la libertà che abbiamo pagato a così duro prezzo."
("L’Unità", 10 luglio 1952)

“Willy Dias” (1872-1956) trascorse la maggior parte della sua carriera giornalistica alla redazione del "Caffaro". Nel 1925 fu una delle prime firmatarie di un documento a favore della libertà di stampa contro le "leggi fascistissime". Nel 1946 entrò alla redazione genovese de "l'Unità". Il suo vero nome era Fortunata Morpurgo Petronio.
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03 giugno 2010

In libreria

“Immigrati o rifugiati, poco importa. Oggi in Italia è più semplice parlare di clandestini e rimandarli tutti indietro.”
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Laura Boldrini
Tutti indietro
Milano, Rizzoli, 2010, 252 pp.

Scheda
 Sayed ha vent’anni. A undici è dovuto scappare dall’Afghanistan, lasciando la madre e la propria casa, per sfuggire a chi lo voleva costringere a combattere con i talebani. È arrivato in Italia dopo nove anni di viaggio, tra stenti e periodi di prigionia, trattato in modo disumano. Quella di Sayed è solo una delle tante storie raccolte da Laura Boldrini nella sua lunga esperienza in prima linea. Cosa spinge migliaia di persone a cercare di raggiungere le coste italiane sfidando ogni pericolo? Che cosa sappiamo veramente di loro? Dobbiamo averne paura? È giusto respingerli, come il governo italiano ha deciso di fare dal maggio 2009? Oggi nel dibattito pubblico si tende a considerare tutti i migranti allo stesso modo, mettendoli indistintamente in un unico grande calderone e presentandoli come minaccia alla sicurezza. Anche i rifugiati, da vittime di regimi e conflitti, finiscono per rappresentare un pericolo. Un grande equivoco che mina i principi di solidarietà e di diritto radicati da sempre nella società italiana. Dalle parole di Laura Boldrini emerge una realtà invisibile all’opinione pubblica. L’autrice, che negli anni ha affrontato con passione e coraggio alcune tra le principali crisi umanitarie _ dal Kosovo, all’Afghanistan, dal Sudan all’Iraq _ racconta la propria esperienza, maturata nell’incontro costante con il dolore di chi è costretto a scappare. Ma descrive anche l’Italia della solidarietà, spesso oscurata dai mezzi d’informazione: dagli uomini che mettono a rischio la propria vita per salvare in mare i naufraghi partiti dalle coste africane, alle tante persone che nel rapporto quotidiano con immigrati e rifugiati realizzano un’integrazione vera e spontanea, gettando le basi per la società italiana del futuro. L'autrice del libro Laura Boldrini dal 1998 è portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr); ha svolto numerose missioni nei principali luoghi di crisi, tra cui Kosovo, Afghanistan, Iraq, Sudan, Caucaso, Angola e Ruanda.
*segnalato da C.S.
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02 giugno 2010

Giornalisti sul Web

"[....] L’idea che l’epoca delle grandi firme, dei Grandi Giornalisti, sia arrivata alla sua fine. Una idea affiorata sulle acque di quel meraviglioso fiume dell’innovazione tecnologica che ha cambiato la nostra vita, lo splendente flusso delle notizie h24, le dirette, i satelliti, la banda larga, la immediatezza del luogo-non luogo. Che bisogno c’è di giornalisti, quando abbiamo la possibilità di stare ovunque, sempre, con un semplice click? La domanda riecheggia da anni nelle nostre redazioni, e finora è sempre più o meno finita nei seminari sull’informazione di cui il mondo è pieno. E lì sarebbe rimasta, se la caduta economica a picco del settore dell’editoria (tra gli altri) non l’avesse recuperata come il Santo Graal. Oggi l’editoria internazionale, in testa l’imprenditore dalle uova d’oro Rupert Murdoch [...], vuole passare su Internet, e vuole far pagare i contenuti. Il ragionamento funziona più o meno così: le notizie sono più o meno le stesse, prodotte da un alveare operoso ma senza nome dei vari media, e saranno dunque inevitabilmente gratis. Altro sono i contenuti e questi si faranno pagare. Dunque meno giornalisti per lavorare al corpaccione unico delle news generali, e poche pepite d’oro da far pagare care. Se si aggiunge al costo finale l’assenza della carta, con tutti gli enormi benefici anche per la «sostenibilità» (altra parola da «seminario»), voilà. A parte la complicata distinzione fra contenuti e notizie che ha già dato vita a una disputa annosa e non meno divisiva di quella sulla essenza del corpo di Cristo fra Ario e Atanasio, la domanda rimane sempre la stessa: ma che razza di contenuti sono questi da spingere a comprare in una rete gratuita e zeppa di notizie un particolare accesso a una particolare testata? Fino ad oggi nel mondo ci sono vari esempi di successo online. L’informazione economica, che è assolutamente necessaria, di Bloomberg, dei servizi speciali del Ft, o di Economist o di WSJ, e che riesce, in parte, a farsi pagare. Nell’informazione politico-generalista, ci sono esempi di altissimo livello, come «politico.com», da tutti guardato come esempio: ma anche questo sito, pur fatto da superfirme superpagate, al momento per sfidare Washington Post e New York Times rimane gratuito. Per farci pagare l’accesso al Web avremo dunque bisogno di offrire grandi cose. Notizie esclusive (scoop, si diceva quando eravamo ingenui)? Le analisi migliori? Storie senza pari? Risate irripetibili? Informazioni senza le quali non possiamo uscire? Qualunque di queste cose sia, per essere acquistate dovranno essere, appunto, uniche, irripetibili, migliori, senza pari, impossibili da ignorare. E chi farà questi strepitosi «contenuti», se non strepitosi giornalisti? [...]".
Lucia Annunziata


*L. Annunziata, Se la star dei giornali va sul Web, "La Stampa", 24 maggio 2009.
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