Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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22 luglio 2010

Il direttore del "Secolo XIX" incontra l'ARMUS

Lo scorso martedì 20 luglio, presso la sede dell'ARMUS - Archivio Museo della Stampa, nell'ex falegnameria ai Se.Di. della Provincia di Genova a Quarto, si è svolto l'incontro tra il direttore del "Secolo XIX", Umberto La Rocca, e i volontari che danno vita al museo. Un'occasione di conoscenza reciproca e un momento di confronto tra la nuova formula del giornalismo multimediale e la secolare tradizione dell'arte tipografica.
“Abbiamo incontrato un appassionato del libro e della tipografia che ha apprezzato l'impegno dell'associazione ARMUS”, ha commentato Giorgio Tanasini, presidente del museo.
“La disponibilità dimostrata da La Rocca ha rappresentato un segnale di speranza per l'ARMUS, considerato il momento difficile che sta attraversando. L'ARMUS è una realtà consolidata, premiata dall'affluenza di turisti e scolaresche. Il momento è difficile per tutti, lo sappiamo, ma proprio per questo la politica deve essere in grado di compiere scelte di merito. Qualcuno sa dirci per quale priorità l'Ente ospitante ci ha dato lo 'sfratto' così repentinamente, eccetera?” - ha commentato il conservatore del museo, Francesco Pirella - “Di segno opposto l'impegno del Comune che, grazie all'interessamento della sindaco Marta Vincenzi e dell'assessore Andrea Ranieri, si sta mobilitando per trovare una nuova sede e salvaguardare un progetto che può, e deve, restare nella città di Genova”.
Si è parlato anche di giornalismo e in particolare delle difficoltà della carta stampata a contrastare la concorrenza dei nuovi mezzi di comunicazione basati sulla tecnologia digitale. Una sfida che, a quasi un anno di direzione La Rocca, ha raggiunto traguardi importanti, specialmente se paragonati alla situazione nazionale. “A dispetto dei dati di vendita, secondo una ricerca condotta da Audipress, il Secolo XIX verrebbe letto da oltre trecentomila liguri.” - ha dichiarato il direttore del Decimonono - “Un dato in contraddizione con le previsioni pessimistiche sul futuro dei giornali. E' necessario trovare una formula che spinga i lettori a dosare l'abitudine del giornale circolante, letto nei bar, nelle associazioni e nei circoli”.
Infine il Dottor La Rocca, lettore di raffinate edizioni di letteratura americana, ha espresso la propria ammirazione per il lavoro svolto in questi anni dall'ARMUS nell'offrire alla città la Raccolta gutenberghiana Francesco Pirella e ha manifestato la volontà di approfondire la conoscenza di tale realtà culturale e turistica, sottolineando l'importanza della continuità tra tradizione ed innovazione, tra il passato dell'uomo tipografico e la futura società elettronica.
Comunicato ARMUS, a cura di Andrea Toscani

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ARMUS-ARCHIVIO MUSEO DELLA STAMPA DI GENOVA
Raccolta gutenberghiana Francesco Pirella
Provincia di Genova - Se.Di.
L.go Francesco Cattanei, 3
16147 Genova


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21 luglio 2010

In libreria

Roberto Escobar
La paura del laico
Bologna, Il Mulino, 2010, 120 p.

Scheda
Perché in un paese dai costumi secolarizzati come il nostro la politica si fa sempre meno laica? E quali conseguenze dobbiamo temerne per le nostre libertà? C'è un'emozione cupa che ormai vince su tutte, negli slogan dei partiti come nei nostri discorsi. E' la paura dell'altro, la paura che divide il mondo tra noi e loro, tra dio e satana, tra civiltà e barbarie. Finite le vecchie ideologie, al loro posto c'è un nuovo racconto pubblico, non meno ideologico e forse ancora più totale. Dalla sua ha la forza capillare di una parte rilevante dei giornali e di quasi tutte le televisioni, queste e quelli coalizzati in una quotidiana macchina mediatica della paura. Come in ogni guerra, anche in questa ci sono vittime impreviste. Siamo noi. Chiusi nella miseria dell'odio, ci lasciamo convincere a rinunciare ai nostri stessi diritti civili. Di questo oggi dovremmo aver paura - riflette Roberto Escobar - non dell'altro che ci "invade".

*segnalato da C.S.

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18 luglio 2010

In libreria


Beniamino Placido
Nautilus. La cultura come avventura
a cura di F. Marcoaldi
Roma-Bari, Laterza, 2010, 236 pp.

Presentazione
Straordinario critico televisivo, profondo conoscitore della cultura americana, intellettuale capace di avventurarsi nei più diversi campi (dalla letteratura allo sport, dalla politica alle Sacre Scritture), Beniamino Placido ha lasciato una traccia profonda nel giornalismo culturale italiano degli ultimi trent'anni. Con la sua scrittura ironica e sorprendente, raffinata e curiosa, in grado di connettere tra loro ambiti della vita e del pensiero in apparenza lontanissimi tra loro, Placido si è inventato un nuovo genere letterario. E ha creato attorno a sé una simpatia e una stima che per la prima volta hanno unito il grande pubblico e gli intellettuali più esigenti. Questa raccolta antologica di articoli comparsi su "la Repubblica", curata da Franco Marcoaldi che ne firma anche l'appassionata introduzione, intende restituire la fisionomia di un vero corsaro della cultura italiana del secondo Novecento. [leggi tutto]

*link all'Indice del libro.
Beniamino Placido (1929-2010).
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12 luglio 2010

Pulitzer, il giornalista a testa in giù sul mondo

“Presentalo brevemente così che possano leggerlo, chiaramente così che possano apprezzarlo, in maniera pittoresca che lo ricordino e soprattutto accuratamente, così che possano essere guidati dalla sua luce”, con questa enfasi esortava, Joseph Pulitzer nel 1883, i suoi giornalisti del "World". Sono passati 127 anni ma il suono di queste parole rimane nitido nell’aria di chi le cerca.
Sul giornalismo”, edito per i tipi della Bollati Boringhieri, raccoglie due saggi del giornalista-editore Joseph Pulitzer di origine ungherese e una postfazione di Mimmo Candito scrittore, giornalista e negli ultimi anni professore di giornalismo all’Università di Torino e curatore del blog Il villaggio quasi globale sul sito del quotidiano "La Stampa".
Il viaggio tra le righe del libro di Pulitzer è una crociata in favore dell’istituzione di una vera e propria facoltà di giornalismo negli Stati Uniti, in quegli anni ancora inesistente.
Molti erano i critici, i detrattori che accusavano il giornalista di voler fare solo i propri interessi. In realtà l’illuminato Pulitzer con una corretta analisi era andato oltre, il suo obiettivo era quello di lasciare nelle generazioni future una professione che non si basasse solo sull’esperienza redazionale ma che avesse basi scientifiche di formazione: “ Nel nostro paese l’unica qualifica cui posso pensare della quale un uomo può ritrovarsi in possesso già alla nascita è quella di idiota”, così crudo, così reale.
Continuando a sfogliare le pagine del libro, il giornalista, sveste in modo sottile tutte le obiezioni che a quel tempo gli venivano poste come argini insuperabili. L’eleganza di Pulitzer è la sua passione e la convinzione che un buon giornalismo possa edificare una buona società, senza padroni o lobby che interferiscano nel lavoro redazionale.
Una visione del giornalismo che stona, purtroppo, con la realtà di oggi a causa di un individualismo sfrenato nella categoria della carta stampata e una mancanza di riconoscimento da parte della politica, soprattutto italiana.
Frasi come” la stampa non è un diritto assoluto” se da un lato fanno inorridire dall’altro aumentano il bisogno di letture come questa che sono a favore di un giornalismo “partecipativo e riflessivo” non autoreferenziale.
Mettere troppi punti esclamativi, in un articolo, è come ridere delle proprie battute, recitava un famoso reporter americano, Pulitzer ci insegna che uno stile linguistico di ottimo livello è talmente raro che la fondazione di una scuola di giornalismo, composta dalle più grandi firme della carta stampa, non può far altro che insegnare alle future generazioni quale meravigliosa arte sia la scrittura, espressione della propria individualità, ricordando che lo “stile è l’uomo stesso”.
Si delinea, lentamente, una figura moderna del giornalista, che ha una conoscenza globale del mondo, una dimestichezza con le lingue, una virtù morale ferrea. Disse Goethe “ Tutto è già stato pensato, ma la difficoltà sta nel pensarlo di nuovo”, Pulitzer ci ha aiutato in questo, come una bussola sotto un cielo nuvoloso ha cercato di aiutare il giornalismo a compiere al proprio interno una rivoluzione, senza accontentarsi. Pur a volte peccando di presunzione quando si paragona a Napoleone, una figura rivoluzionaria, un iperbole che però, il giornalista usa quasi come fosse un megafono per essere ascoltato.
Ma perché è così importante la lettura di questo libro e che valore ha il giornalismo oggi? In modo pratico lo aveva già spiegato Tocqueville: “Un giornale riesce a mettere la stessa idea in testa a migliaia di persone”. Ora con internet e la televisione tutto è diventato ancora più pericoloso e l’informazione necessità di quei principi morali dettati dal giornalista ungherese, perché un uomo senza morale è un uomo sordo.
Se la vita oscilla tra noia e dolore quella di Pulitzer ha oscillato tra il giornalismo e il mondo. Con la sua penna cinica e la sua ostile perseveranza per le cause giuste e nobili. Per un giornalismo etico che innalzasse la persona e la raccontasse senza bisogno di strane alchimie, trucchi o inganni.
Il giornalista ungherese ci lascia la sua grande passione, il suo desiderio di vedere una stampa unita, una bandiera su cui edificare diritti, uguaglianza.
Un ruolo quello del giornalista per niente facile, pieno di tentazioni a volte pericolose. Pulitzer incoraggia la categoria a preservare con il lavoro giornalistico la costituzione, quasi fosse il giornalismo il suo collante imprescindibile.
"Quale sarà la condizione della società e della politica in questa Repubblica di qui a settant'anni? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l'incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro o dei disonesti?"
Joseph Pulitzer è morto nel 1911 con questo interrogativo. Oggi, dopo 100 anni forse neanche lui riuscirebbe a rispondere. Anzi sicuramente direbbe: buona questa domanda.
Mattia Langella

Joseph Pulitzer
Sul Giornalismo
(Postfazione di Mimmo Candito)
Torino, Bollati Boringhieri, 2009, 127 pp.

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07 luglio 2010

Oltre le frontiere trovando mondi sommersi nello spazio e nel tempo

È il 1956 quando Ryszard Kapuscinski arriva per la prima volta a Roma con “un gessato in cheviot a vivaci righe grigio azzurre, una giacca doppiopetto a spalline squadrate e sporgenti, ampi pantaloni ricadenti a rovescia alta un palmo. Camicia in nylon giallo chiaro e cravatta verde a quadri. Ai piedi massicci mocassini dalle grosse suole rigide”. L’abbigliamento, che avverte imbarazzante solo attraverso gli sguardi della gente, indica la sua estraneità rispetto al mondo occidentale, che gli hanno insegnato a temere fin da bambino, nella Polonia afflitta dalle tensioni della guerra fredda. Lo scontro fra Occidente e Oriente, fra Europa e Asia, fra greci e persiani fa da cornice a questo libro dove il racconto biografico si mescola alla memoria e alla storia.
Il viaggio, attraverso il mondo, del giovane giornalista polacco comincia dal desiderio di varcare una frontiera, una qualsiasi. Forse potrebbe bastare la semplice azione di superare un confine e tornare indietro per placare quel bisogno inesplicabile. Non basta: la voglia non diminuisce anzi continua a crescere inarrestabile di fronte alla varietà delle diverse culture e all’infinità della conoscenza.
È un viaggio attraverso i luoghi in cui Kapuscinski fa il reporter ma è anche un viaggio lungo la storia, sotto la guida di Erodoto. È, ancora, un cammino all’interno dell’autore che ci porta a scoprire un uomo in fuga di fronte all’immensità dei mondi nuovi e sconosciuti: un uomo che vuole ritornare in luoghi familiari e comprensibili ma che sente ogni volta la necessità di ripartire per capire qualcosa in più sugli altri e su se stesso. Leggendo il testo non si può non sentirsi contagiati dal virus del viaggio.
Le Storie di Erodoto, considerato maestro, antropologo ma soprattutto primo reporter della storia, accompagnano sempre l’autore, che dapprima prova ammirazione e reverenza nei confronti dello storico poi questo sentimento si trasforma in amicizia e confidenza: sembra quasi che ciò che leggiamo sia raccontato a Kapuscinski da Erodoto in persona, in una calda sera egiziana banchettando con vino e formaggio. L’affinità tra due uomini accomunati da una curiosità attenta e una sensibilità coinvolgente. E anche il lettore si affeziona a Erodoto: con due compagni di viaggio simili viene solo voglia di leggere e rileggere queste pagine.
Passato e presente si mescolano: culture, mondi, terre si intrecciano per formare un universo unico fatto di memoria, mito, tradizioni tramandate e verità “raccontate e rappresentate a seconda di come la gente crede siano state”.
Un senso inebriante di vertigine trasporta il lettore per le vie di Calcutta: mercati odorosi, dei, caste, servi, centinaia di lingue. E un attimo dopo lo catapulta nel V secolo ad accompagnare il trentenne Erodoto alla scoperta di Atene. Il lettore smarrito è attirato nel Congo pieno di profughi, di guerra, di donne, di bambini affamati e poi di nuovo sbalzato nella Grecia classica dove la mano vendicatrice del fato si abbatte su quanti non siano umili e moderati. E a guardare gli orrori delle guerre africane sembra che questo fato sia scomparso per sempre con la civiltà a cui era appartenuto.
Si può decidere di leggere il testo stando attenti a non dimenticare la differenza di epoche o si può invece provare a perdersi nei meandri del tempo e immergersi nel flusso unico e continuo della storia dell’umanità. Così a volte sembra che un fatto risalente a duemilacinquecento anni fa descriva perfettamente un avvenimento recente e viene da chiedersi se la storia sia un eterno ritorno dell’uguale, se gli uomini siano davvero mossi sempre dalle stesse passioni, dalla vanità, dal potere ma anche dalla curiosità e da un senso di ineffabilità che spinge l’uomo a cercare.
Valentina Scalise


Ryszard Kapuscinski
In viaggio con Erodoto
Milano, Feltrinelli, 2007, 256 pp.
(Prima edizione 2005)



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06 luglio 2010

A volte ne vale la pena

Per non dimenticare. Chi? Cosa? Perché? Per non dimenticare i volti, le parole, il coraggio, ma soprattutto la passione e la tenacia che ha spinto sei giornalisti reporter a rincorrere la notizia, a investigare e raccontare i fatti senza filtri, fino a spingerli a perdere la loro stessa vita.
Ne vale la pena? Per loro certamente si. Per altri sono considerati degli incoscienti, rischiare di morire in nome della verità.
In questo libro l'autore, Daniele Biacchessi vicecaporedattore di Radio 24 – Il Sole 24 Ore e autore di altri libri di inchiesta, ha voluto raccontare di un giornalismo “irregolare”, di uomini e donne che per un'informazione vera hanno dato la loro stessa vita. Giornalisti per passione, non per mestiere. Come Ilaria Alpi inviata del Tg3 e Miran Hrovatin operatore di ripresa, entrambi assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio in Somalia da un commando di killer; Raffaele Ascanio Ciriello, fotoreporter inviato per conto di Radio 24- Il Sole 24 Ore ucciso il 13 marzo 2002 a Ramallah in Palestina da un cecchino israeliano; Maria Grazia Cutuli, inviata de Il Corriere della Sera, assassinata il 19 novembre 2001 a Kabul in Afghanistan da un commando, insieme ad altri quattro giornalisti stranieri; Antonio Russo reporter per Radio Radicale, ucciso il 16 ottobre 2000 a Tbilisi in Georgia probabilmente da agenti speciali del Fsb (crimini organizzati per conto degli apparati del Cremlino) ed Enzo Baldoni ucciso in un attacco armato il 26 agosto 2004 a Najaf in Iraq, il suo corpo senza vita non è mai stato riconsegnato alla famiglia.
Daniele Biacchessi ripercorre in modo sintetico, ma senza tralasciare nessun particolare importante il percorso dei giornalisti fino al giorno della loro tragica scomparsa. Il racconto dell'autore è arricchito da flash di appunti ripresi dai taccuini delle vittime o interventi di colleghi e familiari che non smettono di cercare la verità su queste morti avvolte nel mistero. “Hanno cominciato a sparare contro il quarto piano dell'albergo dove ci trovavamo, distruggendo tutto. I proiettili hanno centrato le cisterne dell'acqua sul tetto e hanno mandato in frantumi i vetri delle stanze. E' stata colpita anche una telecamera” (Dal taccuino di Raffaele Ciriello, brevi appunti presi poche ore prima della sua uccisione).
Sono queste le parti del libro che ti rapiscono, ti appassionano e non ti fanno smettere di leggere, cercando di provare a capire quanto è forte la passione. Troppo forte. Molto più forte della razionalità.
Allora immagini il cielo tetro di Kabul o di Mogadiscio illuminato solo dagli spari o dai bombardamenti e ti chiedi cosa abbia spinto Ilaria Alpi, Enzo Baldoni o Maria Grazia Cutuli in quei luoghi devastati dalle guerre. Ti chiedi se tu avresti mai il coraggio di fare certe scelte.
Per Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Raffaelle Ciriello, Maria Grazia Cutuli, Antonio Russo ed Enzo Baldoni ne è valsa la pena. Niente li avrebbe fermati. Hanno corso il rischio, sono venuti a conoscenza di fatti troppo scomodi, proprio per la loro grande voglia di un giornalismo pulito e veritiero. Per questo hanno pagato.
Anna Serra


Daniele Biacchessi
Passione reporter
(Prefazione di Ferruccio De Bortoli)
Milano, Chiarelettere, 2009, pp. XVI + 220.

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02 luglio 2010

All'alba di un nuovo illuminismo

Dentro una tavoletta di alluminio, che pesa settecento grammi, spessa 13 millimetri e più piccola di una fotocopia, fibrilla per almeno dieci ore il cuore yankee dell'iPad.
Possiamo scrivere, leggere, creare, guardare, comunicare tutto quello che siamo capaci di immaginare e di fare e la cosa più semplice sarà quella di leggere un libro o un giornale.
iPad cancellerà lentamente ciò che noi oggi chiamiamo cultura sino alla sua rivoluzionaria mutazione in un sapere nuovo? Certo segnerà la linea di demarcazione tra "l'ultimo dono di Dio" - la comunicazione a stampa con i caratteri mobili secondo quanto andava affermando Lutero intorno al 1517, quando denunciava le indulgenze inaugurando l'allontanamento dal papato e garantendosi una diffusione verticale delle sue idee grazie alla stampa - e la suprema deroga digitale annunciata, questa volta proprio da un papa, Joseph Ratzinger.
Per tentare di capire dove ci troviamo oggi saliamo sulla macchina del tempo e facciamo un viaggio a ritroso fino a guardare dentro la prima officina del libro.
Siamo nel 1455 a Magonza. Gutenberg, inizia la stampa della Bibbia delle 42 linee, opera in due ingombranti volumi che rappresenta, per convenzione, la prova in vitro che i caratteri mobili (inventati da chi?) funzionano e registrano il pensiero, duplicandolo velocemente e all'infinito.
Poco più tardi, nel 1500, il tipografo veneziano Aldo Manuzio ridisegna la proto-editoria gutenberghiana, pomposa e clericale, e avvia un progetto culturale degno di una moderna casa editrice, classici latini e greci, edizioni tascabili e raffinate.
A Parigi, nel 1751, Diderot e d'Alambert pubblicano il primo dei trentadue volumi dell'Encyclopédie: più che un fenomeno editoriale, è una saetta che squarcia le tenebre dell'ignoranza, una rivoluzione che neppure la condanna della Chiesa riuscirà a fermare.
1798, il praghese Aloys Senefelder inventa la stampa litografica: chimica naturale su matrici di pietra, la cui evoluzione in quelle in alluminio (offset) diventerà la tecnica ancora oggi usata per stampare libri e giornali.
1886, il newyorchese Ottmar Mergenthaler inventa la macchina-fonderia di caratteri in grado di comporre 6.000 lettere/ora anziché le 1.200 del compositore a mano. Una rivoluzione produttiva per libri e soprattutto giornali che, grazie alle tipografiche a motore, avranno una dinamica esponenziale.
1939, l'anglosassone Penguin Books, archetipo di tutta la produzione editoriale del tascabile a basso costo, fagociterà lentamente il libro in doppio petto. Che non appaia una cosa da poco: si raggiungerà un traguardo di divulgazione e conoscenza globale, ma sarà anche l'inizio della fine dell'epopea gutenberghiana.
La fotografia soppianta la redazione del piombo relativamente per poco, giusto il tempo perché Bill Gates - con il suo Windows battezzato dentro un cielo azzurro, un prato verde, un bimbo che corre e la scritta "Il campo non ha più steccato, il futuro non ha più limiti" - e Steve Jobs, già padre del Macintosh e ora dell'iPad, aggiungano un capitolo sul posto che occupa l'uomo nell'Universo fisico e sulle sue relazioni con tutto ciò che si può toccare.
Internet è un vero dono per l'umanità, annuncia Benedetto XVI nella Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali del 2009 e, mentre invita i giovani ad evangelizzare il continente digitale, li esorta però ad escludere ciò che alimenta l'odio, svilisce la bellezza della sessualità umana, sfrutta gli indifesi.
Sarà la mela dell'Apple l'icona sacerdotale che, ricordandoci il peccato originale del mondo fisico, ci accompagnerà nei sistemi informatici del cyberspazio dove non si simula la vita e ciò che accade può essere terribilmente reale: anche lì, in una miserabile prospettiva di replicanti, un nuovo peccato originale si è compiuto per la caramella del pedofilo morsicata da un bimbo.
Sentiamo che la scienza ci investe e ci supera alla velocità della luce, sentiamo il bisogno di guardarci indietro, toccare rassicurati la carta stampata, ma senza angosce e senza rimpianti.
Noi ci troviamo pressappoco all'alba di un nuovo illuminismo.
Non ci resta che cercare di goderci lo spettacolo dentro la nostra modernità così come hanno fatto gli enciclopedisti, loro sono ancora al nostro fianco e come noi trattengono il respiro.
Francesco Pirella
Filo d'arcal, giugno 2010

*Francesco Pirella é conservatore di Armus-Archivio Museo della Stampa di Genova.
 
 
*pubblicato per gentile concessione dell'autore. 
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01 luglio 2010

In libreria

Annabella Gioia
Donne senza qualità. Immagini femminili nell'Archivio storico dell'Istituto Luce
Milano, Franco Angeli, 2010,  128 pp.
Scheda
L'autrice rivisita materiali di straordinaria ricchezza, conservati nell'Archivio storico dell'Istituto Luce, per individuare e ricostruire presenze e assenze femminili all'interno di universi comunicativi che presentano sia punti di somiglianza che corpose differenze. La "costruzione del nuovo italiano", e della "nuova italiana", è al centro dei Cinegiornali degli anni Venti e Trenta, e il libro ripercorre le differenti fasi del processo di "nazionalizzazione delle donne" avviato allora. Quell'aspirazione totalitaria non è più presente nella Settimana Incom, fortemente condizionata però dagli stereotipi tradizionali oltre che dalla politica governativa: è un'informazione che non usa più toni forti ma registra un'immagine quasi sbiadita dell'Italia e "racconta" - a suo modo - le diverse realtà di un paese provinciale. Eppure, qualcosa di differente dal passato emerge: affiorano nuovi ruoli e nuove individualità, si percepisce il mutamento di orizzonte, si coglie un nuovo senso di libertà, sia pure in un paese che vuole evitare svolte e cambiamenti radicali.

Indice
Introduzione
Le donne nei cinegiornali Luce: 1928-1944
(Assenze e presenze casuali; Protagonisti; Madri e spose; Educatrici; Giovani italiane; Ruralismo e folklore; Lavoro; Beneficenza e assistenza; Moda; Una milizia civile al servizio dello Stato)
Le immagini femminili nella Settimana Incom
(Dopoguerra e ricostruzione; Le inchieste della Incom; Donne in primo piano; In cronaca nera; Politica e associazionismo femminile; Moda; Le intellettuali; Nel mondo dell'arte; Beneficenza; Donne da guardare; Sport; Giovani; La donna che lavora)
Indice dei nomi.
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