Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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29 settembre 2010

In libreria

Angelo Agostini - Marta Zanichelli
Studiare il giornalismo

Bologna, Archetipo libri, 2010, 244 pp.

Scheda di presentazione

Studiare il giornalismo non è facile. Non lo è per due buone e solide ragioni. La prima è ovvia: il giornalismo è una macchina complessa. Lo era duecento anni fa, quando c'erano soltanto i giornali; a maggior ragione lo è oggi con la moltiplicazione delle piattaforme di
produzione e diffusione. Studiare il giornalismo è poi tutt'altro che facile perché i giovani (e quindi gli studenti) non leggono i giornali, guardano poca tv, alla radio ascoltano musica, sul web raccolgono le notizie in modo casuale. Lo studente dei Corsi di laurea in Scienze della comunicazione (non solo lui, magari) non può, tuttavia, non sapere che cos'è, come funziona, come si articola, come si diffonde, come viene usato e consumato il giornalismo. Non può permetterselo, perché non comprenderebbe altrimenti come funziona il sistema dei media. Questo volume, volutamente agile, semplice, didattico, risponde a tre scopi. Vuole offrire una sintesi dei migliori lavori sul giornalismo, dentro una cornice coerente che dia conto dell'evoluzione tanto dell'offerta d'informazione quanto degli studi sul suo impatto con la sfera sociale, politica, economica e culturale. Vuole rispondere ai nuovi ordinamenti universitari, privilegiando la completezza delle prospettive nel rispetto dei carichi di lavoro dei corsi di laurea triennale. Vuole aiutare gli studenti ad aprirsi una strada dentro un mondo che per molti tra loro sarà una vera scoperta. Questo volume è un'antologia, maneggevole, organica e coerente. Un'ampia introduzione disegna i contorni del campo di studi.

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21 settembre 2010

In libreria

Alessio Cornia 
Notizie da Bruxelles. Logiche e problemi della costruzione giornalistica dell'Unione Europea
Milano, Franco Angeli, 2010, 192 pp. 

Scheda di presentazione
Nonostante le scelte dell'Unione europea incidano fortemente sulla vita quotidiana dei cittadini italiani, i suoi attori e le sue decisioni ottengono uno spazio marginale nei media del nostro Paese. Questo contribuisce ad allontanare l'Europa dagli europei e a farla apparire come un'entità distante e poco trasparente. Perché l'UE viene considerata come un argomento giornalistico di scarso interesse? Le logiche di funzionamento della "macchina europea" sono inconciliabili con le logiche mediali? Questo studio vuole approfondire i fattori strutturali che condizionano la produzione informativa sull'Unione europea e le problematiche che ostacolano la notiziabilità delle sue istituzioni. Emergerà come i corrispondenti da Bruxelles adottino particolari stratagemmi per rendere l'attualità europea maggiormente attrattiva per il pubblico italiano. Il volume, inoltre, illustrerà come la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo organizzano i rapporti con la stampa e come le loro attività siano oggetto di modalità differenti di rappresentazione mediale. Bruxelles apparirà come un campo in cui diverse fonti istituzionali si attivano per promuovere presso i giornalisti la loro particolare "idea di Europa" e in cui la dimensione nazionale e quella sopranazionale entrano spesso in competizione. A partire da una ricerca sul campo, l'autore ha ricostruito le logiche di funzionamento del microcosmo giornalistico di Bruxelles. Dalla sua analisi emergerà, più in generale, come dietro le notizie attraverso le quali ci informiamo su ciò che accade nel mondo si nasconda un "gioco strategico" fatto di collaborazioni, conflitti, accordi e compromessi: una negoziazione continua che vede coinvolti diversi attori (giornalisti, organizzazioni mediali e fonti) e che condiziona il modo in cui vengono rappresentati gli eventi. Uno studio, dunque, che svela i dietro le quinte del processo di costruzione delle notizie, le quali, ben lontane dall'essere un rispecchiamento fedele del reale, sono il frutto delle strategie d'interazione e delle "mosse" compiute degli attori che concorrono per definirne il significato.
Indice:
Introduzione
Come e perché studiare l'informazione giornalistica sull'Unione europea
(Copertura mediale e legittimità democratica dell'UE; Il newsmaking: chi condiziona il processo di produzione delle notizie?; L'indagine sul campo: uno studioso tra i giornalisti a Bruxelles)
Giornalisti nella "bolla di Bruxelles"
(Il contesto mediale: a chi interessa l'Europa?; Il contesto sociale: la "bolla di Bruxelles"; La Commissione al centro della comunicazione europea; Le regole d'interazione tra fonti e corrispondenti)
Istituzioni europee e corrispondenti italiani: un rapporto difficile
(La Commissione: tante informazioni, poca politica; Il Consiglio: la concorrenza tra fonti; I condizionamenti strutturali sulle notizie UE; La scarsa visibilità mediale del Parlamento europeo; Il ruolo delle lobby; Le fonti confidenziali e i giornalisti: chi usa chi?)
Lontani dalla redazione, sempre insieme ai colleghi: cercare l'Italia a Bruxelles
(Il rapporto con l'Italia: la sindrome dell'abbandono; La collaborazione tra colleghi e gli eccessi della concorrenza; La concorrenza porta alla collaborazione; Fare giornalismo protetti dal "branco"?; Routine giornalistiche per "italianizzare" Bruxelles)
Conclusioni
Riferimenti bibliografici.

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16 settembre 2010

I Balcani e il loro amore per la cultura italiana

Il volume che sto per introdurre è una raccolta di atti, ovvero di interventi che si sono susseguiti durante un convegno a Tirana, Albania nel 2008. L’incontro, come il testo, era intitolato L’italiano di fronte ed ha visto la partecipazione di membri di numerose testate radiotelevisive europee, scrittori balcanici, rappresentanti di università italiane, albanesi, croate. L’organizzazione si deve alla Comunità radiotelevisiva italofona, presente con la segretaria generale Loredana Cornero e il presidente Remigio Ratti. Questa organizzazione è stata fondata il 3 aprile 1985 come collaborazione fra radiotelevisioni di servizio pubblico – Rai, Rtsi, Rtv Koper-Capodistria, Radio Vaticana e San Marino Rtv – con l’intento di valorizzare la lingua italiana nel mondo. Lo scopo dell’evento sopraccitato era capire meglio le posizioni, il sentire delle popolazioni dell’Europa sudorientale riguardo la nostra lingua e cultura e se, in quale modo, ci si sta muovendo per migliorarne la conoscenza e quindi anche i rapporti fra l’Italia e questi paesi.
A giudicare dalla titolazione si potrebbe pensare che si tratti di un primo passo per verificare se ci sono le condizioni per realizzare o consolidare un sentire comune italiano in quest’area del Mediterraneo, ma non è così. Dando uno sguardo alla scaletta dei lavori, procedendo nella lettura degli interventi soprattutto ci si rende conto che l’italiano e la cultura italiana sono già molto diffusi, in particolar modo in Albania. Come potrebbe essere per molti una rivelazione sapere che esistono enti in vari paesi che si occupano di promuovere, così viene definita da molti nel corso della conferenza, “l’italicità” nel mondo, che spesso sono costituiti da volontari e che cooperano già da tempo fra loro. Occorre però precisare che molti di essi non si adoperano solo a favore della causa italiana: sono veicolo di conoscenza anche per altre lingue perché non trasmettono esclusivamente in italiano, ne è un esempio la Radio Vaticana. Proprio il fatto che il convegno si sia tenuto nella capitale albanese dimostra la vicinanza, come quella di altri paesi dell’area balcanica, all’Italia.
È di vecchia data infatti l’avvio di rapporti fra i nostri paesi. I contatti hanno origine già nel III secolo a.C., quando la Roma repubblicana si orientò all’Adriatico e diede avvio ad una serie di guerre che in seguito “latinizzarono” questi territori. Successivamente, grazie alla sua potenza commerciale, è stata la Repubblica marinara di Venezia a far si che si consolidasse l’influsso della lingua italiana nei Balcani. Al punto che molti documenti ufficiali venivano scritti in italiano. L’attaccamento a questa lingua latina è persistito anche nel corso del XIX, nonostante le forti rivendicazioni nazionaliste. Il legame si è indebolito solo all’inizio del XX secolo, per via degli assestamenti politici dei paesi di quest’area.
Oggi contribuiscono alla diffusione della cultura italiana la comunità organizzatrice dell’evento, Alpe-Adria Magazine Tv un’emittente composta 17 emittenti nazionali, la Radio Vaticana, Radio Fiume, ma anche la Rai, Rai Internazionale, Rtsh Albania la radiotelevisone albanese, la televisione del Montenegro, l’Uer-Unione europea di Radiotelevisione e anche le scuole e le università.
Non c’è intervento che non sottolinei come, memori dell’antico lascito dei veneziani probabilmente, i balcanici con gli albanesi in testa desiderino imparare la nostra lingua, ritengano che l’italiano sia un ottimo strumento di lavoro, ammirino il nostro paese. Da sempre l’Italia è amata e invidiata grazie alle trasmissioni della Rai. Sono tantissimi coloro che in Albania conosco la nostra lingua. È piuttosto comune in Croazia avere scuole dell’obbligo dove viene insegnato l’italiano: in molti casi i ragazzi sono bilingue, come certificato da ricerche condotte dalle nostre università. Notevole è il numero di studenti universitari che scelgono di studiare l’italiano, come prima seconda o terza lingua nelle facoltà linguistiche, ma è apprezzato anche in altre. Non potrebbe essere altrimenti dato che spesso i testi universitari, presso i corsi di medicina, sono scritti da autori italiani.
Questo libro quindi è un’ottima testimonianza di quanto la nostra cultura sia considerata preziosa al di là dell’Adriatico e di come c’è chi si preoccupa di diffonderla e difenderla, anche oltre questi confini, grazie al virtuale abbattimento delle barriere operato dai radio, televisione e soprattutto internet.
Alessandra Zammarchi


L’italiano di fronte.  Italicità e media nei Paesi dell’Europa sudorientale
a cura di Loredana Cornero 
Roma, ERI Rai Radiotelevisione Italiana, 2009, 123 pp.

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15 settembre 2010

La storia del mondo guardata dal buco della serratura


“Il più grande atto rivoluzionario è dire ciò che si pensa” amava ripetere la rivoluzionaria tedesca Rosa Luxemburg. E ricordando questo motto in uno dei racconti di Espejos, Galeano lo fa suo, creando un libro che è un inno alla potenza della parola. Era dai tempi di Memorie del fuoco, trilogia nata in Spagna durante il primo esilio dall’Uruguay, che Galeano non generava una tale unione di rabbia e speranza. Oltre 600 racconti, tasselli di un mosaico di storia raccontata non dai vincitori, ma dalle voci degli invisibili. Ogni pagina è uno specchio. Ogni specchio, una sfumatura della storia capace di dar voce ai nessuno che gli specchi della cultura occidentale non riflettono. Galeano ci restituisce la vera faccia della realtà, e come spesso sappiamo e ancor più spesso dimentichiamo, questo volto non è mai quello dei vincenti. La penna del giornalista sudamericano si fa ogni libro più asciutta, semplice e diretta, e nella selezione accurata di ogni parola incastonata in frasi ridotte all’essenziale, ritroviamo il senso ultimo del linguaggio, la sua capacità evocativa. “Bisogna lavorare più con la gomma che con il lapis” e il silenzio è alla fine la migliore comunicazione. Un’ironia spietata emerge nei microracconti di poche pagine, o anche poche parole. Perché la verità non ha bisogno di tanto clamore. Non ha bisogno di fronzoli. Spesso, fa male già così com’è. Galeano narra, e come rivolgendosi a bambini inconsapevoli, spiega la reale natura degli eventi storici, dalla nascita dell’Inquisizione ai primi attacchi Usa in Iraq, passando senza soluzione di continuità alla biografia di Zapata e Giovanna d’Arco. Una lettura ribaltata della storia, rendendo un disincantato omaggio alla diversità umana. Si parla del Diavolo, che oggi è musulmano, ebreo, nero, donna, povero, straniero, omosessuale, gitano, indio. Tramite aneddoti scolpiti in personaggi noti o immagini sottratte ai libri di storia, Galeano mostra la brutalità di un presente che supera il passato senza dargli nemmeno uno sguardo, mentre la verità vive nelle pieghe dei giorni passati. Ma tra gli infiniti specchi che intessono il romanzo, s’instilla il dubbio di un domani in cui una nuova rivoluzione francese nominerà anche le donne nella Dichiarazione dei Diritti e nessuno sarà più schiavo di quanto Bolivar chiamò “il colonialismo mentale”. In cui i libri di scuola racconteranno che Colombo non scoprì l’America, perché l’America già stava li. E che il 12 ottobre 1492 in molti paesi della Bolivia è giorno di lutto. Un domani in cui si moltiplicheranno i presidenti indios fratelli di Evo Morales, e le giovani Michelle Bachelet alla guida del Cile e delle cilene. Ma perché questo avvenga, la storia deve venire a galla, una storia fatta innanzitutto di persone e di tanti piccoli eventi che Galeano rilegge con gli occhi rispettosi delle differenze di cui da sempre si nutre il mondo. Si parla di noi oggi, del Nord del mondo imprigionato nelle sue certezze alimentate dai media; il Nord allenato a disprezzare il Sud e che risolve i suoi dubbi stabilendo che è la realtà che si sta sbagliando, perché i media non sbagliano mai. E ad ogni racconto, è affiancata una domanda, per non dimenticare che sono gli uomini artefici del loro futuro: come sarebbe andata se al posto dei conquistadores avesse avuto esito la flotta cinese, che negli stessi anni scopriva il mondo senza pretendere in cambio schiavi, ma solo informazioni per ampliare una biblioteca di oltre 4mila libri? Senza l’oro del Brasile, sarebbe stata possibile la rivoluzione industriale in Inghilterra? E Liverpool sarebbe diventato il porto più importante del mondo senza la compravendita degli schiavi? La vergogna di essere figli d’Europa in una narrazione che non cerca colpevoli né vuole raccontare tutto, solo ad ogni pagina sceglie di ricordare. E il risultato sorprende, fotografia di un mondo mandato avanti dalle sue contraddizioni e, forse per questo, dove i silenzi dicono più di ciò che i vincitori chiamano verità. Una capacità di lettura del reale in cui emerge il carattere critico del giornalista che in quest’ultimo lavoro ci fa assaporare la lezione di storia cui assistiamo ogni mattina chiudendo il giornale. Perché i giornali ci insegnano con ciò che dicono, e soprattutto con ciò che non dicono.
Elisa Murgese

Eduardo Galeano
Specchi.  Una storia quasi universale
Milano, Sperling & Kupfer. 2008, 384 pp.

14 settembre 2010

Manifesto HabanerO

HabanerO è un nuovo progetto editoriale, una casa editrice gestista da una redazione di ragazzi e ragazze under25 che si propone un modus operandi nel campo dell'editoria ispirato a valori di socialità, perequazione, fratellanza.
Qui riportiamo il manifesto di HabanerO.
Manifesto
Habanero Chocolate Pepper, piccoli peperoncini provenienti dallo Yucatan, molto colorati, molto, troppo piccanti.
Il progetto HabanerO trova le sue premesse da tutto ciò: per quanto piccoli noi si possa essere, se saremo insieme, se saremo uniti, nessuno potrà mai pensare di mangiarsi un intero cesto di Habanero. Siamo molto colorati: pericolosissimi, sì, perché quasi mortali per la nostra piccantezza, difficilmente digeribili, scomodi, estremi. Ma colorati, appunto. Un piatto tracimante Habanero colorati è bellissimo da vedere, rutilante e splendente, ma tutta questa bellezza nello stile rivela poi una forza, una vitalità, una decisione nel contenuto quasi insospettabile.
Siamo il progetto HabanerO.
Un progetto editoriale che si propone di promuovere un nuovo gusto, uno stile letterario ed artistico che altrimenti, in altre case editrici che puntano al profitto, non troverebbe spazio. Per restituire l’Arte alla gente, per liberarla dal giogo del mercato. È più facile dire che ciò che non siamo: NON siamo il mercato, NON siamo il pressapochismo, NON siamo il qualunquismo, NON siamo l’ipocrisia, NON siamo il dover scendere a compromessi, NON siamo ciò che gli Altri vorrebbero. Gli Altri, quelli che cercano di fregarvi.
Cerchiamo nuovi talenti, cerchiamo quella parte buona e sana dell’editoria italiana sulla quale, ogni volta, ogni progetto da noi lanciato, ci appoggeremo: conteremo su case editrici preesistenti che questi requisiti di correttezza dimostreranno, così che queste ci possano accompagnare nel nostro percorso.
La responsabilità è e sarà sempre, comunque, nostra: una direzione morale data dal fatto di avere un obiettivo importante, quello, cioè, di essere una nuova gioventù letteraria, un movimento rivoluzionario, una rivoluzione, un’avanguardia. Siamo un sentimento. Un'emozione di felicità, gioia, contentezza, incazzatura, fede, combattività, ribellione, giovinezza ed Amore.
Noi siamo HabanerO.
Siate HabanerO anche voi.






*Emanuele Podestà

13 settembre 2010

“La ricetta per muoversi nel mondo globale: prendere appunti!”


Nel luglio del 2006 si spegneva uno dei sociologi più importanti ed influenti nello studio dei mezzi di comunicazione. Il suo impegno e le sue ricerche continuano a parlare per lui, come dimostra il libro uscito postumo il cui titolo originale suona Media and Morality. On the rise of the Mediapolis. In questo appassionato saggio Silverstone mette a nudo il rapporto tra i media e l'uomo o meglio l'uomo cosmopolita che abita il villaggio globale. Tra una chiacchierata e l'altra con personaggi illustri del calibro di Hanna Arendt, Ulrich Beck ed Emmanuel Levinas (ma anche tanti altri), il lettore è coinvolto in un articolato dibattito sulla società post moderna e il ruolo sempre più insistente dei media all'interno di essa, il cui risultato si traduce con la nascita di un nuovo spazio: la “mediapolis”. La mediapolis (invenzione lessicale dall'autore) è il mondo con cui tutti noi entriamo in contatto attraverso i mezzi di comunicazione, un fenomeno globale che porta oltre i confini convenzionali e allo stesso tempo si rivela un contesto contraddittorio e dinamico. Proprio per tutti questi motivi la mediapolis, secondo Silverstone, non può e non deve essere lasciata a se stessa. Non è necessario essere degli esperti per sapere che oramai i mezzi di comunicazione di massa rivestono un ruolo centrale nella vita di tutti i giorni: da essi dipendiamo per tessere le relazioni senza le quali la vita sociale sarebbe impensabile e sempre da essi riceviamo informazioni sulla realtà che ci circonda. Con il concetto di mediapolis si evidenzia così l'esistenza di una “seconda natura”, la quale ci mette a disposizione le risorse per vivere nella società di oggi, ci aiuta a capire il mondo e ad agire nelle nostre pratiche sociali.
Al termine di tali premesse l'autore ci fa scontrare con un “ma”: quanto detto fino a qui mostra il potere (nel senso di potenziale) che i mass media hanno acquisito negli ultimi anni, un potere che se mal gestito può offuscare e distorcere la rappresentazione della realtà. La visione dei mezzi di comunicazione, come arma a doppio taglio, porta Silverstone a suggerire alcune proposte per un loro uso più consapevole e competente. Il libro ci indirizza così verso la strada della responsabilità: quasi un appello al recupero del senso civico di tutti i soggetti coinvolti nella mediapolis. Un vero richiamo al “cittadino critico perduto”, in grado di analizzare i simboli con cui entra in contatto quotidianamente. Le riflessioni del sociologo inglese ci permettono di capire quale ruolo importante rivesta la nostra conoscenza sui media: essi hanno la capacità unica di presentare e rappresentare il mondo e costituiscono una parte integrante della polis moderna. Una polis che per sopravvivere necessità d’ospitalità, giustizia, responsabilità e partecipazione. Senza le giuste competenze mediatiche la comunicazione può essere controproducente, ecco perché Silverstone sembra quasi urlare: “abbiamo bisogno di saper comunicare e di saper muoverci tra i mezzi di comunicazione per vivere dignitosamente nel mondo globale!”.
Senza dubbio consiglio la lettura di questo saggio agli studiosi della comunicazione, a chi lavora o vorrebbe lavorare in questo settore, ma anche a coloro i quali siano incuriositi da questa materia. Attraverso una scrittura accurata e una ricerca meticolosa (come mostra il numero e lo spessore delle note) il libro va alla continua caccia dell'attenzione del lettore, mostrandosi particolarmente sensibile alla comprensione di quest'ultimo fino al limite delle ripetizioni concettuali. Il messaggio dell'autore arriva forte e chiaro: le sorti della mediapolis dipendono da tutti, nessuno escluso.
Roberta Leone

Roger Silverstone
Mediapolis. La responsabilità dei media nella civiltà globale
Milano, Vita e Pensiero, 2009, 311 pp.

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Scaffale amico

Marie Reine Toe
Il mio nome è Regina
Milano, Sonzogno, 2010, 324 pp.

Presentazione
"Mi chiamo Marie Reine Josiane Maandinima Toe.
Josiane, per mia madre.
Maandinima, per mia nonna.
Reine, solo Reine, per mio padre.
Marie, per tutti gli altri.
da sempre sono stata tante persone.
tante quante i nomi che avevo.
Ma è del mio nome africano Maandinima che voglio parlare."

Se un colpo di stato cambia all’improvviso la vita di un Paese, può succedere che una bambina di nove anni debba fare i conti con la Storia. È quello che accade alla piccola Marie Reine Toe quando Thomas Sankara prende il potere in Alto Volta, l’attuale Burkina Faso. Il padre, André Toe, è un importante funzionario del vecchio regime di Saye Zerbo e sarà vittima degli eccessi della Rivoluzione. È la fine dell’infanzia dolce e dorata di Marie Reine, ma anche l’inizio dell’appassionante avventura che dai sobborghi di Ouagadougou la porterà in Italia. Le scoperte si susseguono a un ritmo frenetico, che pulsa come quello della musica assordante delle discoteche in cui la bellissima Marie Reine lavora come cubista. Amicizie, amori, eccessi le faranno conoscere le pieghe più nascoste di questo nuovo mondo, fino a quando l’orgoglio di riprendersi in mano la propria vita le esploderà dentro per farla ricominciare. Vera e toccante, ricca di svolte improvvise, ecco la sua storia. [leggi tutto].

*L'autrice Marie Reine Toe è una studentessa dell'Università degli studi di Genova; iscritta al corso di laurea di Scienze internazionali e diplomatiche ha interessi nei diversi ambiti spaziando dal teatro al videogiornalismo.
*link al suo  sito   e al suo blog.
 
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12 settembre 2010

Le cose che non ho detto

Nell'ultimo libro Azar Nafisi, ospite illustre del Festival della letteratura che si tiene fino ad oggi a Mantova, racconta la propria famiglia ai tempi dello Scià.
Tredici anni fa ha lasciato l'Iran dove insegnava letteratura per trasferirsi definitivamente a Washington. Il pregio di questo rmanzo e' quello di far conoscere dall'interno, e a un ampio pubblico, una nazione controversa dove, dall'inizio del XX secolo, le donne iraniane lottano per la libertà e, sottolinea la Nafisi,la repressione ha l'effetto di unirle a prescindere da età e ceto sociale. Un tema più che mai attuale dopo la mobilitazione internazionale per Sakineh Ashtiani, condannata per lapidazione.
Solo da adulta Azar riuscirà a guardare i genitori con il necessario distacco, impossibile in età infantile e nell'adolescenza. E proprio i genitori sono i primi ad essere presentati al lettore dalla scrittrice.

La madre, insoddisfatta e dispotica, vive nel ricordo del primo marito, morto dopo solo due anni di matrimonio. Il secondo marito, il padre di Azar, e' sempre criticato e mal giudicato dalla moglie. Tra madre e figlia,inizialmente, non vi è complicità e sono sempre in contrapposizione. Il rapporto con il padre invece e' buono e le ha trasmesso l'amore per la letteratura e per la tradizione culturale persiana.
La figura del fratello è solo accennata. L'evento centrale del romanzo è la crisi tra i genitori, i loro litigi, i tradimenti del padre.
Azar ha molti problemi derivati in parte dal
le molestie subite e mai raccontate per il senso di vergogna e di colpa provato. Si reca a studiare all'estero, in Inghilterra. Dopo le difficoltà iniziali, arriva il sostegno della madre, conosce nuove amiche e il suo inserimento e' cosa fatta. Quando torna a Teheran, il padre è sindaco della città e l' Iran sta vivendo forti cambiamenti:un processo di modernizzazione, l'avvicinarsi a grandi passi del concetto di laicità dello Stato. Cambiamenti non accolti bene dagli ambienti religiosi con cui però il padre continua a mantenere cordiali rapporti, cosa che gli costerà il carcere, ma che in seguito lo salverà da una sorte peggiore.

La madre è eletta al parlamento pochi mesi prima dell'arresto del marito e quello sarà per lei il periodo migliore.
Un primo matrimonio con la persona sbagliata che si concluderà con un divorzio. Dopo lunghi mesi di carcere, subito per false accuse, il padre, a cui Azar è sempre stata vicina, viene scarcerato e assolto. Siamo arrivati ai primi anni Settanta, il malcontento nei confronti dello scià aumenta, in patria e all'estero e gli studenti iraniani che studiano fuori dell'Iran si organizzano per operare forme di contestazione incisive. Nasce un amore vero che sfocia in un secondo matrimonio basato sulle affinità e sul sentimento. La contestazione allo scià, da sinistra, viene però pian piano sostituita da quella religiosa:un piano di Khomeini per realizzare lo stato islamico a cui aveva sempre teso. Inizialmente anche la famiglia di Azar appoggia Khomeini, ma per poco.
La guerra contro l'Iraq è un diversivo utile al nuovo regime. E' l'insegnamento universitario che tiene la scrittrice al di fuori di tutto ciò che la circonda. Nel 1981 le università però vengono chiuse e il regime si fa più durissimo. La nascita di due figli, il divorzio dei genitori. Nell'87 riprende a insegnare e quel momento rappresenta un avvicinamento alla madre. Tra Stati Uniti e Iran passano così molti anni.Pian piano l'idea di trasferirsi definitivamente negli Usa prende sempre più piede,anche se tra i molti ripensamenti e sensi di colpa per lasciare da sola la madre e per abbandonare il proprio Paese in un momento particolare.
La morte della madre è vissuta con grandissima sofferenza, con la sensazione di non averla mai né capita né aiutata a vivere. Il libro si chiude con la morte del padre molto amato, affrontata però con quella serenità che attenua il dolore.
La scrittrice si sente parte della rivolta simbolica che le donne iraniane hanno sui media internazionali e dice:"La forza spropositata usata contro di loro mostra che non sono semplici vittime ,ma avversari temibili". Per la Nafisi tenere viva l'attenzione sulle violazioni dei diritti umani e ' fondamentale " Il Sudafrica dell'Apartheid non sarebbe mai crollato se il mondo si fosse girato dall'altra parte".
Laura Tosetti


Azar Nafisi
Le cose che non ho detto
Milano, Adelphi, 2010, 342 pp.

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10 settembre 2010

Paura & Delirio a Genova


I nuovi cinque talenti HabanerO, Stefano Bacchi, Massimo Di Perna, Dania Piras, Dario Ponefast, Luigi Tasso, talenti underground, emergenti, ma scandalosamente efficaci, forti, ficcanti, si cimentano con cinque trasposizioni letterarie di cinque capolavori pulp, noir, thriller (da C’era una volta in America di Sergio Leone a Bugsy di Levinson, da Eyes Wide Shut di Kubrick a Il Terzo Uomo di Carol Reed, passando per Pulp Fiction” di Tarantino) rivisitati con ambientazioni ed atmosfere della città più pulp d’Italia: Genova Crimine, sesso, violenza, ma anche amori, avventura, rischio e speranze nel nuovo collettivo che HabanerO, realtà giovane dell’editoria nazionale, propone dopo il grande successo di Guida alle più bastarde vie del Mondo.

S. Bacchi, M. Di Perna, D. Piras, D. Ponefast, L. Tasso
Paura & Delirio a Genova
Curatrice: Francesca Sophie Giona
Erga Edizioni per HabanerO, Genova, 2010.
Euro: 10.00
*Emanuele Podestà

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