Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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07 gennaio 2012

È necessario riflettere…

Alcuni recenti episodi di cronaca hanno dato modo di meditare su tematiche riguardanti l’intolleranza, il rispetto e la convivenza. Tematiche sulle quali è importante porsi le domande giuste.
Firenze. Un militante di estrema destra uccide due persone, Samb Modou e Diop Mor, e ne ferisce altre tre: Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike; poi si toglie la vita. Lo sparatore era iscritto a CasaPound. Nella piazza del Mercato Centrale esplode la rivolta da parte dei connazionali delle vittime, membri della comunità senegalese.
Torino. In seguito alla denuncia di falso stupro da parte di una sedicenne, il campo nomadi dal quale sarebbero dovuti provenire i due extracomunitari responsabili della supposta violenza è stato dato alle fiamme. La vendetta che ha condotto all’incendio del campo rom ha portato il nome di un abuso che in realtà non c’è mai stato.
Roma. Durante il pomeriggio del 12 dicembre un gruppo di uomini ha aggredito, insultato e infine inseguito alcuni venditori ambulanti stranieri.
Siamo probabilmente dinanzi a casi di esecuzione e violenza a sfondo razziale. Oggi bisognerebbe analizzare la questione non sulla base di una concezione biologica della razza m -, come ci suggerisce il sociologo francese Taguieff - è necessario cercare una descrizione di razzismo che possa essere adatta al presente. Si tratta di analizzare le medesime forme di rifiuto che però si presentano sotto le vesti di nazionalismi, rivendicazioni etniche, integralismi religiosi; insomma, la stessa sostanza sotto una vernice diversa. Il nuovo razzismo è un’enfatizzazione delle differenze culturali ma contiene in ogni caso la paura dell’altro, la paura del diverso.
Mi sembra che in generale si cada sempre nel medesimo errore: viene costruita un’identità unica dell’immigrato, e così il distacco, la diffidenza e il timore nascono nei confronti del mucchio indefinito e omogeneo accomunato da una dissomiglianza assoluta. In questo modo le individualità vengono totalmente appiattite, tanto che troppe volte non vengono riportati nemmeno i nomi di queste persone alle quali dovrebbe essere riconosciuta una dignità e che invece sembrerebbero non esistere come soggetti sociali e giuridici. Quella massa compatta che annulla la dimensione individuale viene costruita spesso dall’informazione, quella stessa informazione che raggruppa migliaia di individui sotto il comun denominatore dell’emigrazione senza mai interrogarsi sulle cause che possono averli condotti verso quest’esperienza.
Conseguente alla mancata attenzione nei confronti dei singoli è la generalizzazione: viene creata così la categoria dello straniero, pericoloso, cattivo e non meritevole di fiducia. La sua malvagità non merita il benché minimo dubbio. Due romeni avrebbero abusato di una ragazza? Bene, la vendetta è semplice: basta dare alle fiamme tutto il campo da cui proverrebbero. Mentre noi tendiamo a immaginarci come una comunità felice e buona, loro sarebbero i cattivi. Basterebbe un po’ di spirito critico di fronte alle notizie di cronaca per capire che in tutte le comunità sono presenti dei delinquenti, e che quello che in realtà è un problema sociale non andrebbe etnicizzato.
Ciò che è certo è che siamo in un momento di crisi radicale che, sempre con maggior durezza, spinge gli individui a stringersi nel cerchio ristretto della difesa, con ogni mezzo, del proprio spazio vitale e dei propri interessi. Ma dove sta il confine tra problema sociale e razzismo? La sedicenne di Torino, in un’intervista comparsa su "Repubblica", dichiara di non essere razzista e giustifica la reazione del paese facendo riferimento all’esasperazione causata dai furti subiti. Ma davvero la sola rabbia può portare a tanto?
La vicenda di Firenze ha incanalato l’attenzione su CasaPound, un centro sociale d’ispirazione fascista nato a Roma nel 2003. Mi sembra interessante citare un punto di vista controcorrente, quello di Emanuele Toscano. Il sociologo di sinistra insieme a Daniele di Nunzio ha scritto un libro intitolato Dentro e Fuori CasaPound. Capire il fascismo del terzo millennio (Armando editore, 2011). Secondo Toscano l’idea di chiudere CasaPound è irragionevole, e questo per diverse ragioni: prima di tutto associare le responsabilità di un singolo a un gruppo è pericoloso e discriminante; in secondo luogo un’ipotetica chiusura potrebbe generare reazioni di ritorsione; inoltre certe idee sbagliate vanno combattute discutendole nel merito per contrastarle socialmente, politicamente e culturalmente. Queste considerazioni non negano che si sia trattato di un gesto di matrice razzista: gli spari non sono stati diretti alla folla, ma contro obiettivi scelti sulla base del colore della pelle. Toscano si è chiesto perché tanti giovani si avvicinano a questo movimento, perché una realtà come questa stia prendendo piede, mentre in genere si dice solo che bisognerebbe vietarla. Ma la storia dimostra che il proibizionismo non è così efficace, e d’altronde la stessa legge Mancino (che condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali) non è riuscita a debellare le simpatie per il fascismo.
Della tragedia di Firenze è opportuno analizzare le parole utilizzate per riportarla. Le notizie parlavano spesso di un “folle”. Da un lato c’è chi sostiene che impiegare questo termine sia un modo per giustificare Casseri, il quale invece avrebbe scelto lucidamente le sue vittime; dall’altro c’è chi crede sia importante usare le espressioni giuste perché definire la tragedia di Firenze come razzista significa contribuire in qualche modo all’esistenza del razzismo stesso che invece non sarebbe mai episodico.
Nominare le cose significa dare un senso. A me pare che il paesaggio antropologico nostrano sia sufficientemente preoccupante. Forse allora bisognerebbe stare più attenti al linguaggio, perché la conseguenza (ovviamente su un terreno già predisposto) è quella di condizionare e fomentare sentimenti negativi. Questi sono i frutti che ora raccogliamo.
Francesca Pani

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1 commento:

Roberta Uccheddu ha detto...

Complimenti Francesca,hai dato una lettura degli episodi che evincono chiaramente quale sia la direzione,a mio avviso sbagliata e oltremodo preoccupante,che il nostro Paese sta prendendo.E' necessario riflettere affinchè le coscienze si risveglino da questo torpore.Siamo tutti figli della stessa terra."Stay Human".
Roberta

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