Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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07 giugno 2012

Canottiere muore in allenamento, tutto tace

Nessuna edizione straordinaria di un qualche telegiornale. Nessun servizio con musica straziante di sottofondo. Nessun articolo degno di nota. Il nulla più totale se non per qualche raro trafiletto, apparso qua e la sul web.
Così l'Italia ricorda per l'ultima volta il canottiere 24enne Nemanja Nesic, morto il 6 giugno, durante un allenamento in preparazione della Coppa del Mondo di Monaco, ultima tappa di avvicinamento alle Olimpiadi di Londra 2012, alle quali il giovane atleta avrebbe partecipato sul quattro senza pesi leggeri, delle nazionale croata.
Che l'Italia sia ormai una Nazione "schiava" del calcio, è più che mai appurato. Che i media non riescano a trovare neanche lo spazio per un giovane atleta, morto facendo ciò che più amava, appare però ancor più sconfortante.
La domanda che sorge spontanea, è che cosa occorra quindi per essere degni di attenzione.
Forse non bastano i 13 allenamenti massacranti la settimana, le 8/9 ore quotidiane, i 40/50 km percorsi ogni giorno senza mai lamentarsi, la sveglia puntata ogni giorno alle 5.30, o il doversi pagare una palestra per allenarsi e per prepararsi alle Olimpiadi.
È invece giusto premiare quotidianamente gli strapagati e viziati calciatori. È giusto premiare persone che in periodi difficili come quelli attuali, truccano le partite per guadagnare ancor più soldi.
Questo è il triste destino di tutti gli sport meno diffusi, meno praticati o perchè no, soltanto meno conosciuti al grande pubblico. Questo è il destino di quegli sport che ingiustamente vengono definiti "minori", ma che minori sono solo nei budget.
Occorre ridefinire il concetto di sport, ormai sinonimo di calcio. Occorre segnalare e premiare i numerosi volontari e dopolavoristi, che in Italia ogni giorno, si allenano e allenano, portando avanti piccole società, veri e propri centri di aggregazione giovanile.
Occorre finirla di accorgersi di questi ragazzi una volta ogni quattro anni, solo se sul gradino più alto del podio olimpico, o solo se coinvolti in notizie di gossip da giornale estivo.
Ciò che però è essenziale, è un cambiamento del nostro atteggiamento, di tutti i lettori, spettatori e amanti dello sport, con la speranza che in futuro, non vi siano più morti di serie a e di serie b.
Francesco Malerba

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