Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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17 ottobre 2012

Riflessione meta-giornalistica. Umberto La Rocca incontra gli studenti di Informazione ed Editoria dell’ateneo genovese

“Fate quello che vi piace, fatelo seriamente”. Questo il consiglio dato dal direttore del quotidiano genovese Il Secolo XIX, Umberto La Rocca, agli studenti del corso di laurea in Informazione ed Editoria durante l’incontro di apertura del nuovo anno accademico di martedì 16 ottobre. La Rocca, romano, direttore nella redazione di piazza Piccapietra dal 2009, vanta un esordio, 28enne, sul quotidiano della capitale, Il Messaggero. Approdato nel 2001 alla Stampa di Anselmi, si è fatto strada assumendo il ruolo prima di direttore della redazione romana, poi di vice-direttore. Encomiabile carriera, la sua, ed altrettanto encomiabile l’affabilità mostrata in occasione dell’incontro (ormai consueto) con gli studenti, aspiranti giornalisti.
Curiosità, serietà, versatilità e conoscenza delle lingue: ecco le qualità che il direttore di uno dei quotidiani leader in Liguria e basso Piemonte individua nel tracciare un profilo del giornalista di domani. “Siamo in momento storico in cui molte cose stanno cambiando”, sottolinea La Rocca già nell’inizio del suo discorso, ”e in cui stiamo assistendo al passaggio in modo sempre più insistente dal cartaceo al digitale: tra poco il prodotto-giornale, quello  che fisicamente si acquista in edicola, diventerà un oggetto d’élite”. Come deve reagire il giornalista di fronte al cambiamento? Non lasciarsi spaventare, ma prendere consapevolezza del fatto che il suo mestiere è in evoluzione, perché lo è la società e, di conseguenza, il bacino di utenti che costituiscono il suo pubblico. Ormai lontani dagli anni della supremazia della stampa come fonte informativa e dal giornalista-reporter armato di microfono in stile “Quarto potere”, di wellesiana memoria, stiamo assistendo all’avvento della informazione poliforme di web e social networks vari. Adesso è la notizia stessa che segue il pubblico, ovunque esso si trovi, e rende vecchio nel giro di qualche secondo non solo la notizia di per sé ma lo stesso commento all’accaduto. Il paradosso delle “news”, che nascono già “old”, specchio di una società continuamente protesa verso il dopo, il “post”. È necessario che il giornalista diventi multitasking, professionista in grado di rendersi versatile in diversi settori, dalle riprese, alle foto, alla redazione di pezzi flash, o di commenti estesi estemporanei. Ed è allo stesso modo necessario che il professionista si faccia artigiano: il paradosso all’epoca del web 2.0 è proprio questa convivenza pacifica di tecnocrazia e costruzione della notizia "in fieri", in ogni sua parte. Una sorta di specialista tuttofare, insomma, che deve correre dietro alle innovazioni per restare al passo coi tempi. Soprattutto se si conta che i nuovi mezzi stanno rendendo il giornalismo sempre più interattivo: la gente, i lettori, parlano con le redazioni, dicono la loro sulle notizie, pretendono precisione e correttezza estrema, e per di più contribuiscono al processo di creazione della notizia vera propria, spesso fornendo materiale digitale (foto, filmati, ecc) o testimonianze. A volte fanno perfino lo scoop: La Rocca ricorda l’aneddoto della lettrice che ha fornito lo scoop della “bionda” compagnia del capitano Schettino, durante la proverbiale “ultima cena” pre-disastro della Concordia.
Molti altri i temi trattati dal direttore: la filiera della distribuzione, gli interessi dei grandi gruppi e le pressioni degli editori contro l’indipendenza del giornalista. Dal quadro generale traspare un grande amore per un mestiere, sì, per un’arte, nobile ma ormai priva del lustro di un tempo, inquinata dagli interessi particolari e paralizzata dalla crisi, che costringe a misure restrittive e tagli al personale per riuscire almeno ad arginare il calo delle vendite, senza incappare nella disfatta totale. Il quadro non è del tutto rassicurante (ma, in fin dei conti, nemmeno il giovane più naif della sala avrebbe potuto aspettarsi parole più ottimistiche, senza sentirsi preso in giro), ma lo spirito generale dell’incontro è all’insegna dell’apertura e della speranza: la palla passa ora alle nuove generazioni, le quali dovranno cercare nuove forme, nuovi spazi, nuovi mezzi per raggiungere il pubblico, con un occhio ai ricavi.
Elettra Antognetti
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