Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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13 novembre 2012

Se noi siamo choosy ....

In questo paese la confusione regna sovrana. Ieri leggendo sul "Manifesto" l'intervento di Alessandro Robecchi ho pensato a qualche hanno fa, quando venni in Italia e iniziai a cercare un lavoretto per pagarmi gli studi. Diversamente da altri miei coetanei, non scartai a priori l'idea di fare le pulizie. Avevo dei sogni e sebbene mi rendessi conto che lavorare per un'impresa di pulizie non sarebbe bastato a realizzarli, era pur sempre un inizio. Inviai il curriculum. Al colloquio la prima e unica domanda che mi posero fu: Ha qualche esperienza di pulizie? Noi cerchiamo gente con esperienza nel pulire le scale di un piccolo condominio.
 Risposi che nel condominio in cui vivevo le pulizie si facevano a rotazione tra i condomini e che quindi una piccola esperienza l'avevo. Non bastò a convincerli.
 Lasciai la casa dei miei genitori a 20 anni col desiderio di rendermi indipendente. Non sono stata né una bambocciona, né choosy (non che ci sia nulla di male) I sogni però sono cambiati, si sono ridimensionati.
 E' vero che molti giovani e anche meno giovani non vogliono più "abbassarsi" a svolgere mansioni definite umili, ma è anche vero che quando capita che un giovane decida di fare il carpentiere gli si sbatte la porta in faccia per quella strana idea che un giovane italiano andrebbe pagato di più rispetto a un giovane marocchino o che un italiano potrebbe avere il "ghiribizzo" di chiedere un contratto in regola, mentre uno straniero no.
Si parla tanto dei giovani e del loro futuro, ma sembra che per lo stato studenti, laureati o diplomati siano solo un bambino petulante e che l'unica soluzione possibile sia quella di porre fine al capriccio infantile con un secco "NO" e un castigo. E non sapendo come giustificare la situazione si ripiega sui sensi di colpa, non i "loro", bensì i nostri.
 Dobbiamo sentirci in colpa per aver sognato, desiderato, sperato? Sembrerebbe proprio di sì. Perchè se vogliamo un lavoro dobbiamo studiare. E dopo? Dopo lo studio bisogna accumulare esperienza. E qui si apre il baratro che inghiotte indiscriminatamente chiunque provi a farsi questa benedetta esperienza. E alla fine dei conti se non riusciamo ad arrivare alla fine del mese è solo colpa nostra e delle nostre scelte sbagliate.
 E quindi cosa resta? Restiamo noi con i nostri sogni. Grandi o piccoli non importa, con un pò di coraggio diventeranno un sasso da scagliare contro Golia.
 Tendiamo al negativo, questo è vero, ma se decidiamo di proseguire gli studi, nonostante l'ambiente che ci circonda sia sfavorevole, evidentemente una piccola parte dentro di noi sogna ancora ed è convinta non sia tempo perso.
Vania Imbrogiano
 
* a proposito di Alessandro Robecchi, Laureati al capolinea, "il Manifesto", 12 nov. 2012 (rubrica Voi siete qui).
 

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