Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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20 agosto 2013

Le parole in libertà vigilata


Questo di Gustavo Zagrebelsky sembra un libro senza pretese, a una prima occhiata formale. A prenderlo in mano, soppesarlo, è sottile, leggero, viene da pensare che bastino pochi minuti per leggerlo. Pochi minuti per imparare qualcosa di nuovo da uno dei più noti e rilevanti giuristi italiani. Pochi minuti per sentirsi migliori e un po' più intelligenti, più capaci di analisi. E invece Zagrebelsky dimostra da subito che la questione non è così semplice - e del resto non sarebbe da lui un testo che non porti, anzi, non spinga ad una certa riflessione. Perché leggere e capire sono due cose diverse, così come lo sono sentire e ascoltare.
L'atmosfera generale del libro infatti è quella di una presa di coscienza di un ascolto mancato, di un'assenza di discernimento nell'uso e nella ricezione delle parole come chiave per la comprensione del tempo in cui si vive. La lingua è manifestazione di se stessi, ma anche il più forte strumento d'espressione e influenza dei cittadini di cui la democrazia disponga. Ha una sua forza plasmatrice, questa che l'Autore denomina Lingua Nostrae Aetatis (LNAe), la lingua dei nostri tempi, e che si forma in ognuno dei circuiti comunicativi di oggi. È una lingua formata da parole che conosciamo, che usiamo ogni giorno, e che si possono ritrovare in qualsiasi discorso politico, non importa di quale schieramento. Sorge allora spontanea una domanda: si tratta di omologazione o di co-appartenenza a un sistema di valori universalmente riconosciuti? Secondo l'Autore, si tratta soprattutto di carenza di spirito critico e di abitudine a lasciarsi trascinare e ad assecondare il corso delle cose come imposto da altri. Il linguaggio ha una sua forza che tende a conformare il senso comune in una stessa direzione, e quando viene particolarmente elaborato nella sua espressione e non viene elaborato affatto nella sua ricezione, allora ci troviamo all'interno di un sistema distonico, non equilibrato, e che continuiamo a chiamare democrazia.
Nello spazio di undici capitoli, Zagrebelsky analizza alcune di queste parole-chiave, nella prospettiva sostanziale di un'analisi del linguaggio berlusconiano basato sulla teologia politica e su una lingua degli assoluti.
Senza dubbio, questo sguardo rivolto soprattutto in quella direzione toglie qualcosa al libro, che potrebbe facilmente essere accusato di partigianeria, conferendogli un'intonazione che si avvicina a quella di un pamphlet, nonostante sia possibile trovarvi, a più riprese, una critica non meno pungente verso il Partito Democratico. L'accusa dell'Autore al PD è di eccessiva adeguazione alla terminologia della parte avversa e di una mancanza di originalità, una carenza espressiva che, anche da sola, sarebbe capace di annullare la carica e la valenza politica del partito.
Proprio a questa conformazione di pamphlet, forse, con la sua brevità e la sua forza non priva di un linguaggio colorito (ma non per questo volgare) dobbiamo gli scarsi accenni agli aspetti più prettamente legati agli operatori stessi, ai canali attraverso cui questa lingua del tempo presente, questa LNAe, si diffonde e si imprime, informa e difforma una società civile troppo abituata a non dar peso a quello che ascolta e a quello che legge. C'è un richiamo al subliminale, alla capacità delle parole di formare un frame come un campo magnetico tutto intorno alla nostra realtà, e lì confinarci.
I luoghi comuni della politica, le parole usate e riusate, le reti di significati in cui siamo intrappolati non devono pensare per noi, denuncia Zagrebelsky. E ciò che rimane, alla fine di questa lettura illuminante che scava nelle ombre proiettate da parole date troppo per scontate, non è tanto la polarizzazione tra berlusconiani e democratici, tra destra e sinistra, tra il bene e il male di questa teologia politica. Ciò che l'autore riesce a consegnare nelle mani del lettore è un piccolo scrigno di strumenti critici, il cui scopo vuole essere un risveglio delle menti all'analisi, alla riflessione, a un ragionamento che non riduca tutta la nostra vita alla mera essperienza del produrre e del fare. E poi, fare cosa?
Debora Nicosia


Gustavo Zagrebelsky
 Sulla lingua del tempo presente, 
Torino, Einaudi, 2010, 58 pp.

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