Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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19 settembre 2013

La Chiesa e i Media

In occasione dell’incontro organizzato dal Vaticano per il 150° anniversario dell’Osservatore Romano, l’autore decide di passare in rassegna il difficile rapporto tra i media e la Chiesa Cattolica.
Il più evidente è quello delle incomprensioni, dovute a due principali fattori:
1 La maggior parte delle persone non è in grado di comprendere la totalità dei messaggi della Chiesa, che continua a esprimersi in maniera antiquata, attraverso espressioni e passaggi di difficile comprensione
2 Il pregiudizio dei laici nei confronti della Chiesa fa si che filtri solo ciò che i giornalisti vogliono sentire, tralasciando passaggi importanti ritenuti scomodi al fine degli articoli, o semplicemente non compresi.
Diceva Montini: "A che serve dire la verità, se chi ci ascolta non è in grado di comprenderla?"
L’affermarsi dei Media come attore sociale vero e proprio, e non più come solo mezzo di comunicazione, ha peggiorato ulteriormente il rapporto. Il Media viene considerato  nel testo appunto come “sesto potere”, atto a creare opinione pubblica, e non solo a informarla.
Vengono quindi analizzati recenti precedenti storici, emblematici del rapporto tra Media e Chiesa
L’enciclica Humanae Vitae, riguardante la posizione del Pontefice sull’uso di contraccettivi, ne è senzaltro un esempio.  Infatti chi la promulgò, Papa PaoloVI venne definito il “Papa della pillola”, quando la parola “pillola” non fu mai pronunciata nell’enciclica.  Anche in questo caso l’intero messaggio del Pontefice non fu colto nella sua essenza, e i media gettarono benzina sul fuoco a fini sensazionalistici, cercando di creare dibattito tra Laici e Chiesa, e fratture tra Cattolici di diverse posizioni.
Lo stesso Giovanni Paolo II, considerato per svariate ragioni il Papa più decisivo del dopoguerra, è stato oggetto di critiche e incomprensioni. In questo caso, sostiene Andrea Ricciardi, non furono direttamente i Media ad attaccare il Pontefice, ma il clima di quegli anni. In quel periodo infatti il papato in sé era un’istituzione così impopolare, che i Media non fecero altro che trasmettere e assecondare il “sentore comune”, senza analizzare concretamente e razionalmente i fatti.  Se il suo predecessore, Paolo VI, a posteriori venne definito come il Papa delle mediazioni, la personalità granitica e il  fervente anticomunismo di Wojtyla (cosa tra l’altro scontata essendo egli Polacco), lo posero subito in cattiva luce. Per contro il nuovo Papa portò però aria di freschezza e innovazione, essendo il primo Papa straniero, e data la sua giovane età. I laici si trovarono di fronte a diversi dubbi: come classificare quindi questa nuova figura? Collocarla in ambito progressista o conservatore? Alla fine i mass media semplicemente evitarono la questione, puntando i riflettori su altri aspetti, come la presenza del Pontefice nella società, la sua apertura umana, costruendo l’immagine del “Papa buono”.
Ancora più determinanti furono i mezzi di comunicazione nell’”attacco” a Benedetto XVI. Nel saggio Contro il pastore tedesco Jean-Marie Guènois  analizza come i Media francesi misero all’attenzione immediatamente un aspetto di fatto trascurabile, ma altamente “infiammabile” se dato in pasto ai telespettatori e ai lettori “medi”: gli interrogativi della famiglia Ratzinger riguardo al Nazismo.  Benedetto XVI dovette sempre giustificarsi di questa “colpa” creata dai Media, e a poco servirono i viaggi in Terra Santa e la visita ai campi di concentramento. Per una certa parte di chi produce informazione rimase il “Papa Nazi”.
Guènois continua la sua riflessione, cercando di suscitare l’onestà intellettuale del lettore, e di fargli ammettere come la nostra società non sia anti-nazista ( cosa che sarebbe lecita, ma impossibile dato che i nazisti non esistono più), bensì anti-tedesca (molto meno giustificabile, se non per nulla).
Il testo prosegue analizzando altri casi e tematiche, dal ritiro della scomunica del negazionista Vescovo Williamson (che fece infuriare la comunità ebraica, ma che ebbe poca attenzione mediatica), ai tentativi, mai adeguatamente comunicati dai Media, di Ratzinger di arginare il fenomeno degli abusi sessuali all’interno della Chiesa, sino alla questione dei contraccettivi e della sessualità.
In tutti i capitoli emergono i due punti sottolineati all’inizio di questa recensione: 1 La Chiesa, anche quando agisce nel giusto, spesso non è in grado di farsi capire. 2 I Media rincorrono la notizia, lo scoop, l’attacco, non la verità.
Sorge però spontanea una riflessione: tutti gli opinionisti e l’autore stesso del testo si dichiarano ferventi Cattolici e uomini filo-ecclesiastici. Se, come ci insegnano nei loro saggi, dobbiamo sempre interpretare e non prendere per oro colato ciò che leggiamo/vediamo/sentiamo, ma anzi dovremmo sempre sentire le tanto famose “due campane”, lo stesso metro allora dovrebbe essere applicato anche per questo testo?
Flavio Formaggio 


Giovanni Maria Vian
Il filo interrotto
Milano, Mondadori, 2012.


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