Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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27 febbraio 2013

Il viaggio di Steve McCurry intorno all'uomo

"Una buona foto è se non la puoi dimenticare, se ti entra
dentro come un sentimento, da cui impari qualcosa e che
in qualche modo ti cambia e che ricordi per sempre.."
 
Da alcuni mesi Palazzo Ducale di Genova ospita la mostra del fotografo contemporaneo di fama internazionale Steve McCurry. Quello fotografato è un mondo interiore che prende colore nei volti di un Oriente sgargiante e pensieroso. Quelle disposizioni d'animo che, inevitabilmente, facciamo nostre (passo dopo passo, foto dopo foto). I soggetti sono per di più pastori nomadi dediti alla transumanza, donne e ragazze di campi profughi afgani desolanti; questa desolazione la cogliamo nei loro occhi. Beirut, la Cambogia, dal Kuwai all'ex Jugoslavia, l'Afganistan, vissuti dal fotografo sempre in prima linea, rischiando la vita per poter proseguire il suo lavoro e realizzare le foto.
Gli sguardi fissi, rassegnati, soprattutto dei bambini, colpiscono molto perchè da questi si evince la vita dura e vagabonda alla quale sono soggetti, costretti a vivere in un mondo di adulti senza poter giocare.
Gli occhi dei soggetti fotografati ti seguono a 360°, come se osservassero da tutte le angolature.Le pose delle donne sono spontanee, delicate: sono femminili, curiose al contempo intimorite da quello strumento, la macchina fotografica, che diventa filtro di due mondi sconosciuti, che si studiano. L'autore è la firma del celebre ritratto fatto nell’84 ad una ragazza afgana, dagli occhi verdi, destinata a diventare icona del conflitto afgano, che ha reso celebre una copertina del "National Geographic"; a distanza di 17 anni, nel 2002, dopo varie ricerche, ritrova l'ormai donna, e riesce a rifare uno scatto a quegli stessi occhi, più spenti però e segnati dalle sofferenze.
La mostra organizzata nelle sale genovesi è un percorso emotivo curato da Peter Bottazzi, articolato in varie sezioni: vertigine è una galleria degli orrori senza tempo, che ricorda di cosa siano stati capaci (e purtroppo di cosa saranno ancora capaci) gli uomini; qui ogni foto che si guarda voltandosi di scatto, è come una punzecchiata di un ago sulla pelle. Alcune foto sono emblema della ricchezza e della povertà, contrapposte. Simmetricamente opposta alla stanza precedente, è quella della poesia, ove si materializzano i sogni; foto che permettono di perdersi in vite così lontane ed apparentamente così diverse dalle nostre, che però, in realtà, si scoprono vicine come esigenze, come necessità e come speranze. Poi c’è la stanza dello stupore, quel sentimento tanto puro quanto troppo spesso sopito tra gli adulti, che induce il visitatore a tornare innocente e curioso, a guardare tutto con occhio vergine, attento a non perdersi neanche un sorriso; e poi la stanza della memoria. Gli appassionati potranno trovare all'interno della mostra anche le immagini che fanno parte del progetto the last roll, ovvero l'ultimo rullino prodotto dalla Kodak, baluardo di un'era ormai conclusa.
La pazienza è una virtù necessaria per catturare l'hic et nunc, quell'attimo che è lo scatto perfetto. Incisive come l’acqua che scava la roccia, taglienti come una lama che ti sfiora la pelle e fresche come un getto d’acqua in piena estate queste foto sono capaci di toccare anche l’animo più impavido. Un viaggio intorno all'uomo per l'uomo quindi.
Serena Cellotto
 
 
 
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26 febbraio 2013

Se l'arte è provocazione


“Sono convinto che la realtà sia più provocatoria della mia arte. Se pensate che la mia opera sia molto provocatoria, allora significa che la realtà è estremamente provocatoria”  - Maurizio Cattelan

Nell'arte contemporanea uno dei personaggi che si è contraddistinto per la sua emblematica personalità e irriverenza artistica è Maurizio Cattelan, padovano, classe 1960, uno dei pochi artisti italiani che è riuscito a raggiungere la notorietà a livello internazionale. Tutti i suoi lavori ruotano intorno al potere delle immagini, dell’informazione e alla loro ambiguità; egli decontestualizza situazioni ed oggetti, trasmettendo semplicemente la tragicomica complessità della banalità odierna, trasformando le proprie debolezze e quelle dell'essere umano in arte, deridendo e insultando tutto ciò che ci circonda. Attraverso le sue opere siamo portati a riflettere.
Nel 1992 si trasferisce a New York e per 20 anni, farà la spola tra Milano e New York partecipando con i propri lavori alle Biennali, alle mostre, legandosi ai galleristi e ai critici più in voga, attraverso le proprie opere artistiche è riuscito a esprimere il mondo reale e i paradossi della società contemporanea che condividiamo quotidianamente suscitando ogni volta scandalo, irritazione, simpatia, sgomento.
Ricordiamo come per il suo debutto a New York con “Warning! Enter at your own risk. Do not touch, do not feed, no smoking, no photographs, no dogs, thank you”, installa un lampadario con al di sotto un asino vivo, emblema riconosciuto di ottusità per rappresentare al meglio la sua posizione nel mondo dell’arte.
L’artista padovano si prende gioco di tutti, addirittura dei principali personaggi che hanno segnato, la storia di questo secolo costruendo delle opere sui limiti e sugli abusi di potere: John Fitzgerald Kennedy, Papa Giovanni Paolo II, Adolph Hitler. I suoi messaggi non devono essere univoci ma ambigui e confusionari. Il Potere mediatico, culturale, sociale si intersecano: rendere pieno il vuoto e sacro il nulla, la visibilità nell'arte contraddistingue il nostro tempo.
Jenniffer Flores Guevara

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24 febbraio 2013

Media ed elezioni

Campagne elettorali tra “iperpoliticizzazione” all’italiana e “depoliticizzazione” à la française
 
Il libro di Giuliano Bobba ritrova attualità nei giorni della rovente campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento italiano. Infatti egli pone al centro della sua ricerca rapporto che lega la politica ai media in due contesti apparentemente simili, nella realtà diversi. Come scrive lo stesso autore nell’introduzione del libro, questo aspetto è stato solo parzialmente indagato dal mondo accademico benché sia fondamentale per la comprensione del funzionamento dei meccanismi democratici; la centralità della relazione che si stabilisce tra media e politica è un anello essenziale del processo che conduce alla costruzione di interpretazioni condivise della realtà.
L’autore limita questo (altrimenti troppo) complesso studio a due soli stati: Italia e Francia. I soggetti non sono stati scelti a caso, ma perché rappresentano i due esempi più peculiari di “democrazie del pubblico”. Teorizzato nel 1995 dal politologo francese Bernand Manin nel libro Principi del governo rappresentativo, il concetto di democrazia del pubblico è impiegato per descrivere quelle democrazie in cui la vita politica è scandita dai ritmi e dalle esigenze dei media, dove i sondaggi diventano una modalità usuale attraverso la quale sondare gli umori dell’opinione pubblica e dove si affermano leader politici che sperimentano con successo nuove forme di comunicazione diretta e altamente personalizzata con i cittadini. A questo proposito lo studio si concentra sui due leader più attenti al rapporto con il pubblico: Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy. Le somiglianze tra le due figure in esame hanno portato alla clonazione del neologismo Berluscozy (o berlusconisation) per sottolineare la quasi identità di strategie, operato e orizzonte politico in cui i due leader si sono muovono. L’analisi sarebbe incompleta senza lo studio dei loro rispettivi avversari Romani Prodi e Ségolène Royal impegnati nell’utilizzo delle primarie come espressione della partecipazione diretta del singolo cittadino alla politica.
Procedendo secondo la logica del confronto, l’autore analizza il coverage politico della stampa e della televisione durante il momento più delicato e interessante del rapporto media-politica, vale a dire la campagna elettorale (del 2007 in Italia e del 2006 in Francia). L’autore, benché cosciente dell’importanza del web (che lui stesso cita più volte come attore mediatico fondamentale), non si sofferma sulla campagna on-line che influenza sempre di più la politica, ma soprattutto il modo di fruire della politica da parte del cittadino. Questa mancanza può anche essere attribuita al fatto che l’autore non abbia a disposizione dati e statistiche sullo specifico rapporto tra politica e internet che caratterizza quella che lui stesso chiama “la nuova fase della post-mediazione”. La tendenza in atto è quella della “disintermediazione”: internet ha dato alla politica la possibilità di realizzare rapporti immediati, cioè privi di mediazione giornalistica, con il cittadino-elettore.
Entrando nello specifico dell’analisi ritengo utile riportare qui solo alcuni dei passaggi più significativi del confronto tra l’Italia e la Francia.
Lo schieramento politico della stampa è un fenomeno che riguarda sia i quotidiani italiani sia quelli francesi. Infatti, non è difficile stabilire la posizione politica dei principali quotidiani, lungi dal fornire un’informazione super partes. Indipendenti ed equidistanti dai poteri politici ed economici si professano Il Corriere della Sera e Le Monde. Schierati a favore della sinistra sono La Repubblica e, su posizione ancor più estremiste Libération. Le Figaro dichiara apertamente di trovarsi su posizioni di destra. Più ibrida è la posizione de La Stampa che, figlia dell’editoria impura, tenta di mantenere una posizione di equidistanza strizzando l’occhio di tanto in tanto agli interessi degli industriali e di chi politicamente li appoggia. Inoltre, sia in Italia che in Francia la pressione che gli editori esercitano sui propri quotidiani è piuttosto forte.
In entrambi i paesi, la televisione, nonostante l’alto numero di emittenti che farebbe pensare al rispetto del pluralismo dell’offerta, è in mano a pochi. In Italia assistiamo a un duopolio quasi perfetto tra Rai e Mediaset mentre oltralpe a un oligopolio spartito fra tre operatori, France Télévision (pubblica), Tf1 e M6 (private). Un dato interessante è la fiducia che i cittadini dimostrano di avere nella televisione che risulta più elevata in Francia che in Italia. Soltanto il 30%  degli italiani ha fiducia nella televisione contro il 48% dei francesi.
Lo studio ha evidenziato, incrociando i dati sul numero articoli dedicati alla politica e sulla loro visibilità all’interno del giornale, come in Italia esista una maggiore offerta di notizie politiche, mentre la Francia si caratterizza per una copertura più contenuta. Stesso risultato per quanto riguarda le notizie offerte dai telegiornali.
La prospettiva comparata impiegata dall’autore del libro unita alla quantità di dati che egli possiede, rivela che le due “democrazie del pubblico” prese in esame si riferiscono in realtà a contesti articolati e complessi che spesso evidenziano peculiarità nazionali. Si potrebbe parlare di democrazia del pubblico all’italiana e democrazia del pubblico à la française.
In conclusione, l’Italia si caratterizza per un’ampia copertura mediatica del campo politico e per centralità che esso continua ad avere nel dibattito pubblico, la Francia sembra subire un destino per molti versi opposto, caratterizzato dalla perdita di importanza della politica sulla stampa e televisione. Si parla dunque di “iperpoliticizzazione” italiana e, all’opposto, di “depoliticizzazione” francese.
Ed è per questo motivo che, secondo me, l’approccio comparato è stato un’ottima scelta da parte dell’autore che, in questo modo, orienta il lettore più o meno preparato in materia, nel complesso mondo dei media italiani e francesi senza perdere di vista l’obiettivo e senza creare confusione o lasciare dubbi. A parer mio, visto il risultato cui l’indagine arriva, sarebbe stato utile che l’autore si soffermasse maggiormente sulle differenze dei due sistemi e sorvolasse sulle somiglianze più evidenti.
Monica Scotto


Giuliano Bobba
Media e politica in Italia e Francia.
Due democrazie del pubblico a confronto.
Milano, Franco Angeli, 2011.
 

23 febbraio 2013

Il doppio sguardo di Eve Arnold

Eve Arnold (1912-2012)
Conosciuta ai più come la fotografa di Marylin Monroe, prima donna membro della prestigiosa agenzia Magnum Photos, Eve Arnold, scomparsa a Londra appena un anno fa all’età di 99 anni, è stata una delle più grandi personalità del fotogiornalismo novecentesco.
Nata a Philadelphia nel 1912 da una famiglia di immigrati ebrei russi, la sua passione per la fotografia nasce negli anni quaranta durante un periodo di lavoro presso un impianto di fotofinitura a New York City. Affinerà le sue abilità fotografiche grazie alla figura di Alexey Brodovitch, art director della rivista di moda “Harper Bazar” alla New School for Social Research di Manhattan. Alcuni suoi scatti alle sfilate di New York attireranno l’attenzione di Henri Cartier-Bresson che la ingaggerà alla Magnum come freelance, ne diventerà un mebro fisso nel 1957.
Il suo lavoro raccoglie cinquant’anni di scatti che fermano sguardi e volti noti della storia dell’intero ‘900, da Marlene Dietrich a Jacqueline Kennedy, da Margaret Thatcher  a Malcom X. I suoi scatti più celebri quelli  rivolti alla nota diva di Hollywood  Merylin Monroe, (con la quale la Arnold stringerà un rapporto di grande amicizia e fiducia) immortalata in centinaia di pose sia sui set cinematografici che nella vita privata. Le foto inedite della Monroe sono state raccolte in una mostra tenutasi alla Halcyon Gallery di Londra nel mese di maggio del 2005.
Ma Eve Arnold è stata anche la fotografa di volti meno noti, di quelli tutt’altro che  ricordati dalla STORIA di quest’ultimo secolo, i suoi ritratti sono rivolti anche agli occhi degli anonimi, dei poveri, dei diseredati, il suo obiettivo si posa sulle scene di vita quotidiana, sulle storie lontane di uomini e donne che si materializzano nei suoi reportage in Afghanistan in Cina in Russia e negli Emirati Arabi. Sono i lavoratori migranti, i manifestanti dell’ apartheid in Sud Africa o ancora i veterani di guerra del Vietnam ad incuriosire lo sguardo della fotografa: “Ero povera e la povertà mi ha sempre affascinato” sosteneva.
Trasferitasi definitivamente a Londra negli anni ’60 Eve Arnold ha lavorato e collaborato con diverse testate giornalistiche tra le quali il Sunday Times redazione nella quale comincerà a fare un certo uso della fotografia a colori.
Nel 1980, ha inaugurato, presso il Brooklyn Museum di New York City la sua prima mostra personale espressione del suo lavoro fotografico in Cina e nello stesso anno, ha ricevuto il Lifetime Achievement Award dalla American Society of Magazine Photographers.  Altri successi arrivano nel 1993, anno in cui sarà nominata membro onorario della Royal Photographic Society ed eletta Maestro Fotografo dal Centro Internazionale della Fotografia di New York. Qualche anno dopo otterrà anche la nomina a membro del comitato consultivo del National Media Museum (ex Museo della Fotografia, cinema e televisione) a Bradford. Ha ricevuto un OBE nel 2003.
Trascorrerà a Londra gli ultimi anni della sua vita impiegando la maggior parte del suo tempo a leggere scrittori come Dostoevskij, Thomas Mann e Tolstoj; quando l’attrice Angelica Huston le chiederà se fosse ancora disposta a fotografare, Eve Arnold risponderà: “E 'finita, non potrò mai più tenere una macchina fotografica”. A causa di una malattia si trasferirà in una casa di cura di Londra dove morirà a Gennaio del 2012.
La fotografia di Eve Arnold sembra filtrata da una doppia lente da cui si dipanano le storie di grandi celebrità accanto a quelle delle lotte per i diritti civili delle masse, un doppio sguardo, che mostra potere e gloria verità e battaglie del secolo appena trascorso. Nonostante questa apparente dicotomia, la fotoreporter dichiarò più volte di vivere la sua esperienza fotografica come qualcosa di assolutamente armonico ed univoco, il suo è in verità uno sguardo del tutto neutro e normalizzante, che rende quest’opposizione binaria ricco- povero qualcosa di totalmente naturale, tratto imprescindibile della condizione umana stessa:” Non vedo nessuno come ordinario o straordinario", ha detto in un'intervista del 1990 della BBC, "li vedo semplicemente come persone di fronte a mia lente ".
Valentina Siligato
 
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21 febbraio 2013

In libreria

Carlo Sorrentino, Enrico Bianda
Studiare giornalismo. Ambiti, logiche, attori
Ambiti, logiche, attori, Roma, Carocci, 2013, 240 pp.

In breve
Quali sono e come sono mutate nel tempo le forme di produzione del giornalismo? Come si ridefiniscono i linguaggi adoperati e i criteri di notiziabilità? Il manuale analizza innanzitutto il giornalismo come campo di negoziazione in cui si muovono vari attori. Un giornalista, infatti, lavora generalmente per una redazione, ha un editore di riferimento, un pubblico riconoscibile, delle fonti con cui confrontarsi, una tecnologia che media il suo operare, un sistema legislativo che ne regola l’operato. Il volume scende poi nel merito della negoziazione, descrivendo le relazioni fra questi attori: dalle fonti sempre più abili fino alla crescente platea di fruitori d’informazioni, ormai in grado – grazie alle nuove tecnologie – di entrare direttamente nella produzione e nei processi di continua “rimediazione” dei contenuti. Infine, l’analisi sui percorsi della notizia è calata nei principali ambiti del giornalismo: dalla cronaca alla politica, dalla cultura allo sport.

*link all'Indice.


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20 febbraio 2013

Uno sguardo al mondo dei manga


Fumetti, comics, manga. La passione per i fumetti nei teenager è diventata consistente almeno per quanto riguarda i manga giapponesi; lo stile del disegno, le storie, il genere, il target sono varii . Nelle fumetterie di manga possiamo trovare le collane che hanno fatto storia come hokuto no ken, saint seiya -i cavalieri dello zodiaco, kimagure orange road, ranma ½ , city hunter , maison ikkoku fino ad arrivare a bersek, inuyasha, card captor sakura, naruto, one piece, death note e molti altri. 
Per gli “esperti del settore” questo interesse inizia con il guardare i cartoni animati che si chiamano anime,  poi per curiosità varchi la soglia della fumetteria entrando in un mondo affascinante: una libreria, si guardano le copertine, si sfogliano le pagine, si legge, si capisce che la storia originale dell'anime viene dal fumetto, che la storia che si legge è assai più complessa di quella che viene trasmessa in televisione e che spesso viene censurata.
Portachiavi, cards, poster, statuine, magliette, stickers dei vari personaggi sono possibili acquistare anche i pezzi “introvabili” non commercializzabili in Italia si possono reperire; nascono amicizie, grazie alla rete solidale d'internet traducono cartoni animati, fumetti in italiano, uno scambio continuo di suggerimenti, aneddoti dei vari disegnatori perché contemporaneamente viene la passione per il disegno, la musica, la lingua, i costumi del Giappone un interesse che apre le porte di un paese misterioso, pulsante, vivo dove convivono tradizioni del passato e un presente futuristico. Espressione degli affezionati è la fiera di Lucca Comics & Games che si tiene nel mese di novembre, un raduno dove i cosplayer, ragazzi che indossano costumi che rappresentano i propri personaggi preferiti, ricalcandone movenze e gestualità, senza essere presi per “folli”, si condivide, si incontrano coloro che hanno lo stesso interesse in tutta Italia.
Jenniffer Flores Guevara



*Link al sito di Lucca Comics & Games

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17 febbraio 2013

La radio nel cuore, l'attimo di una canzone


Viaggio itinerante sulla storia della radio, un intreccio di avvenimenti che hanno generato uno dei più importanti mezzi di comunicazione dei giorni nostri. Un insieme di ingegni, creatività che hanno contribuito a creare uno strumento che ha raggiunto il cuore di ognuno nelle varie epoche attraverso:  l'informazione,  la musica,  gli audio romanzi, ossia il testo adattato al linguaggio radiofonico, come quello della guerra dei mondi di Orson Welles che venne annunciato  bruscamente come cronaca giornalistica in diretta, durante una programmazione e diede l'impressione, che veramente gli alieni fossero sbarcati nel  New Jersey, e spinse gli abitanti a lasciare le loro case; forse uno degli episodi più significativi del potere del linguaggio, ma soprattutto dell'ascolto.  Prodotto di cultura di massa specchio della società del tempo, un gioco cattriottico, riflessione di un pensiero riconducibile alla comunicazione  di accorciare le distanze, vario nei suoi generi e contenuti.  La divisione in quattro punto ci visualizza la sua origine e il suo evolversi. Curioso è il fatto che nei suoi primi vent'anni i soggetti a cui erano rivolti fossero differenti in quanto era un codice accessibile a pochi e si avesse il timore che i suoi messaggi venissero decifrati trasformandosi con il tempo  nell'interattività che l'avrebbe contraddistinto, significativo il caso che ha segnato la memoria è stato: la tragedia del Titanic, metafora delle divisioni e contrapposizioni di classe, nel quale ebbe un ruolo centrale il radiotelegrafista, un marconista David Sarnoff che a partire da quella notte sarebbe entrato prepotente nella storia della radio con l'intuizione rivoluzionaria del broadcasting.
L'autore ripercorre la storia della radio con sottile maestria dando degli spunti da imprimere sulla nostra memoria dal titolo di un fortunato programma televisivo realizzata dalla rai in occasione dei sessant'anni della radiofonia italiana, il punto centrale attorno a cui si è sviluppata la ricostruzione è quello linguistico, l'evoluzione del linguaggio radiofonico inteso nell'insieme dei suoi significanti, il progetto e lo scambio comunicativo che ha realizzato. In questa digressione storica si ripercorre anche gli spazi fisici che ha occupato nella società dai salotti in prima vista ad arrivare a un'intimità dell'io come la cucina, il bagno, le spiagge, nelle automobili come per cogliere quei momenti di riflessione con se stessi e con gli altri. Questo libro lo si potrebbe definire un ascoltare il proprio cuore, giusto il tempo di una canzone, un viaggio nel tempo e nello spazio per darci l'idea della complessità delle vicende umane inteso come mondo.
Jenniffer Flores Guevara

 
Giorgio Simonelli
Cari amici vicini e lontani.L'avventurosa storia della radio
Milano, Bruno Mondadori, 2012, 151 pp.

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12 febbraio 2013

Scaffale amico

Laura Tosetti
Susanna Camusso. Carriera e linguaggio di una donna nel sindacato
Roma, Edizioni Ediesse, 2013, 213 pp.
Descrizione
Il 4 novembre 2010 Susanna Camusso viene eletta segretario generale della CGIL: è la prima donna nella storia del sindacato confederale italiano a ricoprire tale incarico. Quali condizioni hanno reso possibile quest’avvenimento? Quali cambiamenti ha portato nell’azione sindacale? Il volume vuole offrire qualche risposta a queste impegnative domande attraverso una serie di interviste a testimoni privilegiati, a partire dalla stessa Camusso e da Guglielmo Epifani e Sergio Cofferati, passando per opinion leader come Maria Latella, Paolo Serventi Longhi, Roberto Mania, Enrico Cisnetto. E riporta i risultati di una ricerca sull’analisi del linguaggio di Susanna Camusso: espressioni linguistiche, sfumature di senso, metafore lessicali offrono uno spaccato inedito del modo di porsi di fronte ai problemi del mondo sindacale di un segretario generale che è «anche» donna.
Laura Tosetti ha conseguito la laurea magistrale con lode e dignità di stampa in Informazione ed Editoria all’Università di Genova, è segretaria della FILT CGIL (la categoria dei trasporti) di Genova con la responsabilità della logistica.

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11 febbraio 2013

" ... Se la realtà fosse così!"

“Ragazzi, se la realtà fosse così!” esulta Allen, sbugiardato il saccente dirimpettaio di coda al cinema, professore alla Columbia, in una delle scene più famose di Io e Annie” e del cinema del regista newyorkese in generale. Woody, splendida maschera come sempre, ha appena estratto da un punto non ripreso dalle telecamere, dietro ad un cartellone, quel Marshall McLuhan grande sociologo di opere come La galassia Gutemberg e Gli strumenti del comunicare. McLuhan è appena stato citato nel discorso del “nerd”. Erroneamente. Il sociologo canadese, che ha sentito tutto, contraddice il piccolo “intellettuale” da cineforum. Woody è soddisfatto. Noi siamo soddisfatti. Il misunderstanding, il qui pro quo, è stato immediatamente smascherato dall’analisi immediata delle fonti. Qui in carne ed ossa.
Ma se la vita, ormai, data l’amplissima possibilità di consultazione delle fonti, fosse davvero così? Il concetto di interazione, di partecipazione, capitelli dell’idea di 2.0 tout court, l’impiego di tecnologie che permettono di velocizzare l’immagazzinamento e il riciclo di informazioni e nozioni, ci costringono a riconsiderare il mondo della comunicazione quindi anche del giornalismo sotto una nuova luce. Sergio Maistrello ci conduce in maniera organizzata, analitica e attenta nei meccanismi del giornalismo di oggi, il giornalismo al tempo del web, in un libro, Giornalismo e nuovi media, che rappresenta una lettura efficace ed efficiente, consigliabile a neofiti e “smanettoni”. Sin dall’introduzione il tema è specificato:
«L’industria dei contenuti giornalistici del XX secolo si sta infrangendo sulle tecnologie del primo scorcio del XXI, lasciando a ogni risacca professionalità e sicurezze».
La tecnologia alza l’asticella di un salto (qualitativo e quantitativo) in alto sempre più da record, lo fa con rapidità disegnando una specie di ottovolante. La tecnologia è democratica (anche se l’utilizzo spesso non lo è) e Maistrello ce lo fa capire illustrando gli effetti di una rivoluzione che ha i connotati di una palinodia luterano-gutemberghiana in cui i “mediatori” tra noi e le informazioni non hanno più senso di essere come il clero temette per se stesso all’indomani degli eventi scatenanti la Riforma. Il millenarismo, il catastrofismo, lasciano il passo al vero merito rappresentato da questo libro, formato a suo tempo da dispense che il prof. Maistrello dedicò ai suoi studenti durante i corsi tenuti all’Università di Trieste dove tuttora insegna; la sorpresa è come l’autore riesca ad analizzare la situazione senza allarmismi o crisi di panico, ma con razionale distacco, un obbiettività che porta l'autore al risultato opposto: nel nostro libro si percepiscono conclusioni - mai invasive - velate di speranza: «Non è necessariamente la fine del giornalismo e dell’editoria. E’, più probabilmente, la fine di tutto ciò che non si nutre avidamente di qualità, che non alimenta empatia, che non fa battere il cuore. E’ la fine della pubblicità che non è capace di farsi servizio, dell’editoria che seleziona scientificamente il target per spremerlo meglio; del giornalismo che copre i fatti del mondo in modo distratto, superficiale, senz’anima…».
Uno dei lati più interessanti della discussione è proprio il provare a segnare i passi successivi della nostra società 2.0 attraverso i meccanismi comunicativi del giornalismo tanto che c’è spazio per un affresco molto più ampio: «dalla società verticale e basata sulle gerarchie alla società orizzontale e peer to peer». Una collettività in metamorfosi che partendo dalla propria (ormai disusa) dimensione locale, passando per quella globale,
raggiunge un concetto tutto nuovo, quello di glocal.
In sintesi, questo libro ritrae le vicissitudini di una materia spesso poco agevole, ma lo fa con maestria e abilità: il giornalismo si dimostra rafforzato nella sua nuova veste “civica” e le persone diventano perno della comunicazione stessa. Non era in fondo proprio McLuhan che diceva che «il medium è il messaggio».
Emanuele Podestà

Sergio Maistrello
Giornalismo e nuovi media.
L’informazione al tempo del citizen journalism

Milano, Apogeo, 2010, 228 pp.


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09 febbraio 2013

Il Centro Pestelli ritorna a casa

Nella stagione della grande crisi dell’editoria da Torino giunge una notizia confortante almeno sul fronte dell’editoria ci sono ancora segni di speranza.  Nei giorni scorsi è stata infatti ufficialmente inaugurata la nuova sede del Centro Studi sul Giornalismo “Gino Pestelli” che ha trovato, dopo la lunga stagione di ospitalità ricevuta presso la Fondazione Einaudi e Firpo, trova la sua giusta collocazione dopo 45 anni di vita: la casa dei giornalisti il circolo della stampa di Corso Stati Uniti del capoluogo piemontese. I più giovani non conoscono la biografia del grande giornalista al quale è stato intitolata nel lontano 1968 il più importante centro studi sul tema della comunicazione. Si tratta di Luigi Pestelli, uomo libero e notevole intellettuale di ispirazione liberal-democratica, amico di Gobetti e vicino al gruppo di "Rivoluzione liberale", Pestelli è a "La Stampa" il braccio operativo di Frassati, la guida quotidiana della redazione. In questo compito affianca nel 1921 Luigi Salvatorelli, al quale è stata affidata la condirezione del giornale, nella linea di sempre più netta avversione al fascismo.  Lascia la stampa pesante pressione del regime e va a dirigere l’ufficio stampa della Fiat. Sarà un punto di riferimento per tutti abbinando la competenza della guida comunicativa di una grande azienda manifatturiera al suo incontro con l’arte e il design.
Per onorare la sua vita, alcuni anni dopo la sua morte, è nato il Centro ufficialmente il 6 giugno 1968. Lo scopo era quello di promuovere studi sulla storia del giornalismo e sui problemi dell’informazione, anche in collaborazione con Università e Istituti di ricerca, e di creare una biblioteca specializzata. L’idea del Centro era nata due anni prima, in occasione del convegno Il giornalismo italiano dal 1861 al 1870, organizzato nel 1966 dall’Associazione Stampa Subalpina. Giovanni Giovannini, allora presidente dell’Associazione, aveva lanciato la proposta di organizzare in un Centro specializzato lo studio della storia e della funzione del giornalismo. La proposta era stata accolta con favore da studiosi come Valerio Castronovo, Luigi Firpo, Alessandro Galante Garrone, Narciso Nada, e da giornalisti e intellettuali come Oddone Camerana, Carlo Casalegno, Bruno Marchiaro, Remo Morone, Aldo Pipan, Guido Pugliaro, Bruno Segre.
Il Centro si propone, come indicato dallo statuto, di promuovere e diffondere la cultura giornalistica mediante studi e ricerche sulla storia del giornalismo e sui problemi attuali di organizzazione e sviluppo della stampa periodica e dei nuovi media. Operando sia in proprio sia in collaborazione con Università e Istituti di ricerca italiani e stranieri, metteva a disposizione mezzi e strumenti metodologici e documentari, tra una importante biblioteca specializzata; si prefiggeva di promuovere pubblicazioni sui temi rientranti nei suoi interessi; si riprometteva infine di raccogliere e conservare gli archivi personali dei colleghi. La biblioteca, aperta agli studiosi e agli studenti, si è sviluppata fino a raggiungere 5.500 volumi, e costituisce un unicum nel suo genere in Italia. Le pubblicazioni hanno superato i trenta titoli. Sono pervenuti gli archivi di Gino Apostolo, Remo Lugli, Igor Man, Renzo Villare, ed è in corso presso la Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d'Aosta la procedura per il riconoscimento di "archivio di interesse storico particolarmente importante" ai sensi della legge 42/2004.
All’incontro di inaugurazione hanno preso la parola il direttore scientifico Valerio Castronovo, il presidente Roberto Antonetto, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Alberto Sinigaglia e il direttore del quotidiano “La Stampa”, Mario Calabresi che ha proposto una riflessione sul futuro tutto da costruire in un periodo difficilissimo per i media.
Luca Rolandi
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08 febbraio 2013

Il diavolo oggi è l’approssimativo ...

"Il diavolo oggi è l’approssimativo. Per diavolo intendo la negatività senza riscatto, da cui non può venire nessun bene. Nei discorsi approssimativi, nelle genericità, nell’imprecisione di pensiero e di linguaggio, specie se accompagnati da sicumera e petulanza, possiamo riconoscere il diavolo come nemico della chiarezza, sia interiore sia nei rapporti con gli altri, il diavolo come personificazione della mistificazione e dell’automistificazione. Dico l’approssimativo, non il complicato; quando le cose non sono semplici, non sono chiare, pretendere la chiarezza, la semplificazione a tutti i costi, è faciloneria, e proprio questa pretesa obbliga i discorsi a diventare generici, cioé menzogneri. Invece lo sforzo di cercare di pensare e d’esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l’unico atteggiamento onesto e utile. Riuscire a definire i propri dubbi è molto più concreto che qualsiasi affermazione perentoria le cui fondamenta si basano sul vuoto, sulla ripetizione di parole il cui significato si è logorato per il troppo uso".
Italo Calvino

*I. Calvino, Una pietra sopra. Note sul linguaggio politico. Torino, Einaudi, 1980.

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07 febbraio 2013

Ricordare, semplicemente ricordare


Lo scorso aprile, Loredana Cannata ci ha regalato sprazzi tratti dalla biografia di Maria Occhipinti Una donna di Ragusa resi in forma drammaturgica al teatro Lumière di Ragusa, a dimostrazione di quanto i racconti della Occhipinti restino sempre attuali. Una donna di Ragusa, una donna che per la sua Ragusa ha lottato, combattuto, perso e disdegnato. Maria Occhipinti ci racconta la sua storia, colorata di tradizioni, luoghi comuni e fallimenti. Ci racconta di se stessa come di una donna vogliosa di imparare, di sapere e di lottare, nonostante i tempi e le persone le fossero avversi.
Spedita al confino dal governo fascista, è lì che partorisce la sua bambina e inizia un vagabondaggio alla ricerca di conferme. Di quelle conferme che la città per cui aveva lottato non le aveva dato. 

Tra le sue righe si può leggere il rammarico del tradimento. Emozione più che attuale se consideriamo i tempi che stiamo vivendo, disegnati da una classe politica restia a sacrificarsi ma pronta a infliggere immolazioni al suo popolo. 
Le righe della Occhipinti disegnano anche una Ragusa speranzosa, i festeggiamenti di fine guerra inaugurati con l’incontro dei due Santi patroni della città, San Giorgio e San Giovanni. Disegna un suggestivo susseguirsi di racconti dinanzi la fine delle frenesie fasciste da guerra. 
Maria Occhipinti rappresenta un monito per le giovani generazioni. Ci insegna che nulla può essere ottenuto, conquistato o ritrovato senza la disposizione alla lotta, al sacrificio e alla volontà di affrancarsi rispetto alle critiche sollevate. 
Maria Occhipinti è un monito per l’immagine di Ragusa. Ed è rammaricante apprendere quanto poco venga ricordata nei panorami della nostra città. 
Dobbiamo ricordare. Semplicemente. 
Ricordare, per esempio, che l'Università deve essere il centro del fervore politico e culturale. Il fulcro del cambiamento sociale, del confronto, della conquista di sempre nuovi imput e dell'arricchimento personale. 
Ricordare che donne e uomini come Mazzini, per esempio, hanno immolato la propria persona per difendere questi diritti. Perchè la stampa e l'informazione venisse resa libera e allargata a tutti. Dobbiamo smetterla di accettare la realtà perchè convinti che le circostanze non possano essere cambiate. Dobbiamo iniziare, o reiniziare, a combattere per noi stessi. 
Non dobbiamo farci annichilire dal disastro nazionale in corso. Anzi, dobbiamo sfruttare le meravigliose unicità che ci contraddistinguono.
Dobbiamo apprendere da questa grande donna e mettere in atto i suoi insegnamenti per non restare relegati nell’ultimo angolo d’Italia. Dobbiamo partecipare, proporre e muoverci. 
Se non siamo soprattutto noi giovani a farci carico di quest’onere, chi potrà mai farlo per noi? 
Dunque, dobbiamo ricordare, semplicemente.
Melania Scrofani


*Maria Occhipinti

Una donna di Ragusa, 
(Prefazione di Carlo Levi) 
Palermo, Sellerio, 1994



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06 febbraio 2013

Una vetrina per tutti gli artisti



"Siamo aperti all’arte, nelle sue più svariate sfaccettature.
L’arte non conosce confini. Regionali, nazionali o ch’è che siano."


Esordisce uno dei tanti che al Palazzo Ducale di Genova collabora con la Fondazione per la cultura. Luca Borzani ne è presidente e Pietro Da Passano direttore.
Presso le eleganti stanze del Palazzo Ducale, storicamente la residenza del Doge, prima della proclamazione della Repubblica Ligure, e adesso adibite a museo, vengono allestite le mostre più disparate. Dal 5 ottobre si può ammirare Mirò, dal 18 dello stesso mese e fino al 24 febbraio, si tiene la mostra fotografica , dal titolo "Viaggio intorno all’uomo" di Steve Mc Curry, il celebre fotoreporter statunitense, conosciuto principalmente per la fotografia Ragazza afgana, pubblicata come copertina del National Geographic Magazine di giugno 1985, divenuta la più nota uscita della rivista. La foto dell’orfana dodicenne, scattata in un campo profughi, divenne una sorta di simbolo dei conflitti afgani degli anni ottanta.
Ma il repertorio non si esaurisce qui. Contemporaneamente, nelle stanze più piccole, si tengono svariate altre mostre.
La cosa più interessante, tuttavia, è la scoperta della Sala Dogana che raccoglie le Giovani Idee in transito. È uno spazio dedicato alla creatività giovane per la produzione culturale emergente, la sperimentazione, lo sviluppo di nuove tendenze e la contaminazione dei linguaggi. L’organizzazione è più che perfetta, basti pensare che da novembre 2010 si sono tenuti 8 eventi, ospitati 58 artisti, con più di 5000 presenze, in un susseguirsi vertiginoso di mostre, workshop, incontri, proiezioni, istallazioni, spettacoli e performance. La possibilità di partecipare è aperta a tutti, basta collegarsi al sito internet, alla pagina ufficiale di fb "Sala Dogana Genova" o mandando una mail all'indirizzo sala dogana@comune.genova.it
 Tra l'altro, il presidente Luca Borzani a furia di presentare e leggere libri, ne ha scritto uno tutto suo, dal titolo "La guerra di mio padre", che presenterà giovedì 7 febbraio, ore 17.30, presso la Sala di Rappresentanza di Palazzo Tursi a Genova (via Garibaldi 9).
Con l'autore, intervengono Marco Doria, Vittorio Coletti, Silvio Ferrari,Giuliano Galletta, Antonio Gibelli. L’oggetto di questo libro è la storia di un prigioniero di guerra italiano, raccontata, però, nella più ampia prospettiva di quella che fu una vera e propria guerra civile.
Luca Borzani è prima di tutto uno storico, e lo sguardo è quello dello storico, che spiega quello che succede in un determinato contesto e sulla base di documenti e di fonti. Parte dalle lettere e del diario del padre Giovanni, integrandoli con documenti, lettere e diari di altri, tra i quali, sia per lo stile, sia per l’immancabile ironia, spicca quello di Giovanni Guareschi.
Melania Scrofani

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05 febbraio 2013

Il giornalismo coraggioso de "L'Ora" di Palermo

Gli spunti che lo studio di storia del giornalismo ci offre sono molteplici e variegati. Nel corso della trattazione delle varie tematiche, però, mi è parso strano che non sia stato affrontato un esempio di giornalismo impegnato e militante (alla faccia di chi ci ha detto che il giornalismo è solo quello da Gossip!). Un esempio di giornalismo espletato con passione, con la stessa passione che, seppur in modo diverso, contraddistingueva Albertario, che "impugnava la penna come una spada".
Abbiamo avuto modo di prendere atto di quanto sia stato difficoltoso il permeare di una effettiva e funzionale macchina della stampa al sud italia, per tutti i problemi connessi al territorio e all'ingerenza della chiesa. Eppure, dopo Il Mattino di Edoardo Scarfoglio, anche a Palermo, agli albori del '900, nasce un giornale che farà la differenza, e del quale lo stesso Scarfoglio fu direttore.
Il primo numero de L'Ora esce il 22 aprile del 1900, per iniziativa ella famiglia Florio, e con il monito di farne espressione del malcontento della borghesia siciliana dinanzi la sordità della capitale e, più in generale, del nord Italia.  A dirigere il giornale venne nominato Vincenzo Morello, uno dei più autorevoli giornalisti politici italiani del tempo. Prima di dirigere L'Ora, Morello aveva scritto sulla Tribuna di Roma, all'epoca il giornale più diffuso nel centro-sud. Accanto a Morello, sulle colonne dell'Ora scrissero Napoleone Colajanni, Francesco Saverio Nitti, Luigi Capuana, Antonio Borgese e Rosso di San Secondo.
Dal 1904, con la direzione di Scarfoglio, L''Ora divenne un giornale di respiro europeo, e vennero stipulati accordi per lo scambio di informazioni con altri grandi quotidiani stranieri tra cui Le Matin di Parigi, il Times di Londra ed il quotidiano statunitense New York Sun. Venne inviato un corrispondente a Tokyo ed aperti uffici di corrispondenza a Vienna e a Berlino. Sulle pagine culturali del giornale apparvero molte firme prestigiose tra cui quelle di Matilde Serao (moglie di Scarfoglio), Luigi Pirandello, Salvatore Di Giacomo e Giovanni Verga.
Continua, indomita, le pubblicazioni, fino all'applicazione delle leggi fascistissime che ne impongono la cessazione. Rinasce per diventare organo ufficiale del PNF siciliano. Passa poi, sotto la guida di Crispi, nipote del governatore.
L'aspetto, sicuramente, più importante, emerge a partire dagli anni '70 del '900. L'Ora è il primo giornale che osa intraprendere la pubblicazione di una serie di documentati e dettagliati articoli di inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia, che riportano tra l'altro vicende legate all'ascesa del potere di un pericoloso delinquente dal nome di Luciano Liggio, ed ai legami sempre meno occulti tra il potere politico locale e la malavita organizzata. La prima puntata dell'inchiesta vede la luce il 15 ottobre del 1958, e prosegue con regolarità pubblicando foto e nomi di personaggi di spicco delle cosche siciliane, concludendosi due mesi dopo con un promemoria in dieci punti all'attenzione del Presidente del Consiglio dell'epoca, Amintore Fanfani, affinché venisse costituita una Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno mafioso. La risposta della mafia all'avvio dell'inchiesta non si fa attendere: alle 4:52 del 19 ottobre 1958 la storica sede del quotidiano sita in piazzetta Francesco Napoli 5 venne devastata dall'esplosione di una carica di 5 chili di tritolo, che danneggia parte delle rotative. Il 20 ottobre il giornale è di nuovo in edicola con un titolo di testa a nove colonne in caratteri cubitali: "La mafia ci minaccia, l'inchiesta continua". L'attentato infatti, lungi dall'ottenere il suo obiettivo intimidatorio, aveva invece portato la coraggiosa iniziativa del giornale alla ribalta dell'opinione pubblica nazionale, e persino l'interesse della stampa estera sulle ramificazioni del fenomeno mafioso, rivelandosi per i malavitosi un clamoroso "boomerang". In seguito lo stesso Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat dichiarerà in Parlamento: «Ci voleva l'attentato all'Ora per scoprire che in Sicilia c'è la mafia».
Nel luglio del 1960 vi furono in tutta Italia manifestazioni di protesta contro il governo presieduto da Fernando Tambroni, e sostenuto dai voti del MSI, che furono represse con la violenza dalle forze dell'ordine. In Sicilia si contarono sei morti, di cui quattro nella sola Palermo. Il quotidiano L'Ora documentò con dovizia di particolari le violenze della polizia e dei Carabinieri contro la folla inerme dei manifestanti, fatti segno a colpi di arma da fuoco. A causa di queste cronache il giornale diventa protagonista di un clamoroso caso giudiziario: nel gennaio del 1961, per la prima volta nella storia della Repubblica, un quotidiano viene processato su iniziativa di un Procuratore della Repubblica e deve rispondere in Corte d'Assise dell'imputazione di "vilipendio del governo e delle forze di polizia"Il giornale prosegue nell'opera di documentazione dei fatti di cronaca, degli abusi e dei misfatti della pubblica amministrazione e delle gesta sempre più efferate dei malavitosi. I casi più rilevanti della cronaca siciliana, dalla strage di Ciaculli del 1963, al terremoto del Belice del 1968, al massacro mafioso di viale Lazio del 1969, trovano ampio risalto e documentati approfondimenti sulle pagine dell'Ora, che nel 1972 apre una seconda redazione a Catania. La rinomanza del giornale non è solo dovuta alle inchieste sulla mafia, ma anche alle numerose collaborazioni con giornalisti, artisti e scrittori del calibro di Renato Guttuso, Leonardo Sciascia, Salvatore Quasimodo, Felice Chilanti e Giuliana Saladino. Negli anni sessanta e settanta il giornale seppe gestire un incessante attività critico-culturale che culminò nelle battaglie civili ingaggiate dai suoi giornalisti, nonostante le minacce e gli attentati della mafia che giunse ad assassinare tre suoi cronisti: Cosimo Cristina (ucciso il 5 maggio del 1960), Giovanni Spampinato (ucciso il 27 ottobre del 1972) e Mauro De Mauro, quest'ultimo scomparso misteriosamente mentre stava lavorando ad un'indagine sul caso Mattei.
Il quotidiano cessò definitivamente le pubblicazioni il 9 maggio del 1992 salutando i propri lettori con un "Arrivederci" in prima pagina.
Melania Scrofani


*cfr. Giuliana Saladino, Chissà come chiameremo questi anni, a cura di Giovanna Fiume, Sellerio, Palermo, 2010, pp. 580.
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02 febbraio 2013

In libreria


Umberto Lisiero
News(paper) Revolution.

L’informazione online al tempo dei social network
Milano, Lupetti editore, 2012, 205 pp.

Descrizione
News(paper) Revolution è un saggio sulle modalità di approccio dei quotidiani alla Rete, su alcuni dei tratti distintivi del Web (multimedialità, ipertestualità, interattività…) e sul modo con il quale questi vengano sfruttati per diffondere le notizie. Nessuna ambizione di riuscire a “imbrigliare” un mondo – quello online – sempre in continuo mutamento e sviluppo, quanto piuttosto una riflessione sullo scenario attuale e su come sia cambiato il modo di comunicare, sulle odierne sfide e sui nuovi strumenti a disposizione. Il volume risponde alle esigenze sia dei professionisti del settore (giornalisti, docenti, responsabili PR e comunicazione) sia a quelle di studenti universitari e semplici lettori che vogliano approfondire e comprendere appieno le potenzialità della comunicazione online. Il libro, frutto di uno studio dell’autore iniziato nel 2006, concilia la teoria con la pratica, per delineare i tratti della comunicazione online e chiarire le caratteristiche essenziali della Rete. Il volume, con prefazione di Angelo Perrino (fondatore e direttore Affaritaliani.it), è strutturato in cinque sezioni. La prima è una breve introduzione sulle nuove tecnologie della comunicazione, la seconda è la cronistoria del giornalismo online, la terza sintetizza i cambiamenti del ruolo del giornalista, dell’editore e della redazione. La quarta sezione espone le caratteristiche salienti del quotidiano online mentre l’ultima analizza gli sviluppi futuribili del “quarto potere”. Chiudono il libro, come appendice, le considerazioni di Mario Tedeschini Lalli, (vicedirettore, direzione Innovazione e Sviluppo, Gruppo Editoriale L'Espresso).
Umberto Lisiero, nato a Padova, laureato in Scienze della Comunicazione indirizzo Giornalismo, Master in Comunicazione e Marketing Web & Nuovi Media, è co-founder di Promodigital, società acquistata nel 2010 da Ebuzzing, gruppo francese specializzato nella diffusione di video online. Giornalista pubblicista, è incuriosito da tutto ciò che concerne dinamiche e implicazioni della comunicazione con i nuovi strumenti digitali. È tra i co-autori di Buzz Marketing nei Social Media del 2009 e di Viral Video del 2012, entrambi editi da Fausto Lupetti Editore.

01 febbraio 2013

“Il Gallo” canta ancora

Il Centro Studi Antonio Balletto in collaborazione con
ASSOCIAZIONE IL GALLO,
GRUPPO NOTAMilano
CIRCOLO CULTURALE ALDO MORO,
GRUPPO PICCAPIETRA,
CENTRO EMMANUEL MOUNIER,
CENTRO LA MAONA
con il patrocinio di
Comune di Genova e Università degli Studi di Genova
promuove la giornata di studi
“Il Gallo” canta ancora (1946-2013)
Genova, sabato 2 febbraio 2013
Palazzo Ducale, Sala del Camino
*Link al Programma
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*Sarà presente Paolo Zanini, autore del libro La rivista «Il Gallo». Dalla tradizione al dialogo (1946-1965), Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2012.

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