Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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27 luglio 2013

In libreria

Donatella Cherubini
Stampa periodica e Università nel Risorgimento.
Giornali e giornalisti a Siena
Milano, Franco Angeli , 2013, pp. 320
Descrizione

Nevralgica per l'opinione pubblica nazionale, la stampa periodica del Risorgimento ebbe a Siena caratteri al tempo stesso originali ed emblematici. L'antica tradizione dell'Ateneo trovò nell'impegno giornalistico un nuovo mezzo per diffondere le idee, il sapere e il confronto intellettuale coinvolgendo anche la comunità cittadina. Fermenti giacobini, dibattiti tra giuristi, cospirazioni, stampa clandestina alimentarono un periodo intenso e vivace. Studenti e docenti furono accomunati dagli ideali "liberali" culminati nella mobilitazione neoguelfa di Curtatone e Montanara, mantenendo l'opposizione al governo dopo il 1849.
 Si conferma così il ruolo della Toscana nell'unificazione, pur con il tormentato superamento della tradizione leopoldina fino alla scelta piemontese. L'Università era protagonista anche nella modernizzazione tipica del Risorgimento: sebbene legata al mito medievale della Repubblica, Siena visse il processo risorgimentale quale veicolo e sponda verso la modernità. Inoltre risulta in parte ridimensionata l'immagine di città legittimista, con il ceto borghese imprenditoriale che affiancò l'aristocrazia nella nuova classe dirigente, ma anche con una variegata presenza democratica. Già in contatto con intellettuali e giornalisti fiorentini, dopo la svolta riformista del 1847 i docenti senesi contribuirono alla nascita del "Popolo", periodico incisivo e capace di rispecchiare il '48 non solo locale. Il percorso di alcuni studenti, poi divenuti famosi giornalisti, consente infine di guardare alla costruzione dell'opinione pubblica nel Regno d'Italia. La nuova stampa senese si presentò allora ricca e articolata; mentre la tensione ideale del Risorgimento si andava comunque smorzando, a Siena restava la memoria di una vicenda che aveva segnato tutta la città.
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16 luglio 2013

In libreria

Fuori campo. Letteratura e giornalismo nell'Italia coloniale 1920-1940
a cura di Monica Venturini
Perugia, Morlacchi, 2013

Descrizione
«L’antologia che qui si presenta, dal quanto mai emblematico titolo di Fuori campo, indaga i modi e le forme della ricezione e dell’interpretazione del colonialismo italiano nel periodo che va dall’ascesa di Mussolini alla guerra d’Etiopia, agli anni immediatamente successivi. Alla base di questo lavoro c’è un complesso e articolato lavoro di reperimento, di catalogazione e di approfondimento storico-letterario di libri e scritti giornalistici dedicati alle vicende della politica coloniale italiana. Tra biblioteche pubbliche, collezioni private e mercato antiquario, è venuta alla luce una sorprendente e variegata quantità di materiale, finora rimosso e accantonato, di grande interesse e valore documentario sia per ricostruire le modalità della propaganda fascista nella costituzione di un impero coloniale e del relativo immaginario collettivo, sia per seguire la rielaborazione di precisi generi letterari, come il romanzo, il racconto, la memorialistica, il diario di viaggio, il reportage, la cronaca giornalistica, le corrispondenze di giornalisti-scrittori. […]. Questo volume antologico […] si presenta dunque come importante tappa di una maggiore conoscenza e comprensione e di una rinnovata diffusione della costruzione di un immaginario che è stato a lungo misconosciuto e rimosso, ma che ha continuato certamente ad agire, anche se in modo latente, nell’inconscio collettivo del nostro paese».

*link all'Indice e alla Prefazione

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13 luglio 2013

In libreria

Angelo Cimarosti
Te la do io la notizia!
Milano, Ugo Mursia Editore, 2013, 134 pp.

Descrizione
Nessuna redazione può avere decine di migliaia di corrispondenti da ogni città, quartiere, cortile. Negli ultimi anni però il giornalismo partecipativo ha reso possibile la moltiplicazione delle fonti delle notizie nel mondo. Videocamere e smartphone collegati al web, in mano ai cittadini, sono uno strumento potentissimo. Dopo pochi secondi un evento può essere diffuso in rete e ripreso dai media tradizionali. In Italia YouReporter.it, con 65.000 iscritti e 400.000 contributi nei primi cinque anni, è una finestra per capire chi sono i citizen journalist e cosa li spinge a raccontare le proprie storie. Terremoti, frane e alluvioni, incidenti e naufragi, manifestazioni e scontri di piazza, rifiuti in strada e monumenti abbandonati, tradizioni e qualche follia, tutto passa attraverso "file" inviati sul web. Dal telefonino ai media italiani e ai network internazionali, è l'epoca delle "news from you", le notizie fai da te. Con tutti i cambiamenti, i vantaggi e i rischi che questo comporta.

12 luglio 2013

Una donna alla Ville de Paris


 
Si profila una bella battaglia per la prossima corsa a Sindaco di Parigi, dove la "gauche" governa da 12 anni. Una campagna elettorale tutta "rosa" vedrà fronteggiarsi per la prima volta due donne particolarmente brillanti: Anne Hidalgo, candidata socialista, di origini spagnole (nata a Barcellona) e Nathalie Kosciusko-Morizet, quarantenne di origini polacche, ex ministra del governo Sarkozy. Una bella lezione anche per l’Italia.
La Hidalgo, delfina dell’attuale sindaco parigino Bertrand Delanoe, che è in carica da 14 anni ed ha rinunciato a presentarsi alle prossime elezioni amministrative del 2014, è iscritta al Partito Socialista dal 1994 ed è leggermente favorita nei sondaggi. Ha un carattere determinato e incuriosisce non solo i francesi. "El Pais" (Miguel Mora) ha fatto un bel ritratto di quella che ha definito la "orgullosa espanola". La Morizet viene da una famiglia borghese, cerca di presentarsi come rappresentante di una destra moderna e cosmopolita a caccia dei voti dei cosiddetti "bobos" (che sta per "bourgeois bohémien") di Parigi, è molto sensibile alle tematiche ambientali. Certo non le sarà facile l’impresa, ma potrebbe essere avvantaggiata dal quadro politico nazionale che in questa fase vede il premier Hollande in calo di consensi. Ma da qui al prossimo anno il barometro dei consensi per Hollande, soprattutto se la situazione economica migliorerà, potrebbe cambiare, tanto più che, a destra, l’UMP appare gravemente in crisi, lacerato dagli scandali, confuso e diviso dopo le ultime batoste elettorali. I duri dell’UMP, il movimento di estrema destra nazionalista "Bloc identitaire" non vedono di buon occhio la Morizet, infatti, durante le primarie per la candidatura alla Maire de Paris, hanno cercato di ostacolarla per il fatto che, alle recenti votazioni sulla legge sul matrimonio omossessuale, si è astenuta anziché votare contro. Chirac, che l’ha scoperta, la chiamava la "rompiscatole".
Anche la Hidalgo è una donna molto carismatica, che, non caso, il quotidiano di sinistra israeliano Haaretz ha definito "Una parigina per le masse". È figlia di immigrati sfuggiti al franchismo che si sono trasferiti a Lione nel 1961, quando lei aveva due anni. È femminista da sempre, ma contraria alle strumentalizzazioni della condizione femminile, tanto che a suo tempo non ha appoggiato la candidatura di Segolène Royal alle presidenziali. Poi per lei è arrivato l’importante appoggio ufficiale dell’attuale Sindaco Delanoë che la descrive come una "donna competente, autentica e determinata che sarà totalmente dedita a Parigi e ai Parigini e che possiede tutte le qualità per dirigere la Ville de Paris". Anne, alle prossime municipali, non potrà contare sull’appoggio del Partito comunista, che correrà stavolta da solo.
Insomma, quello tra Anne Hidalgo e Nathalie Morizet sarà un bel duello. C’è una cosa che francamente ti spiazza sentendole parlare: in Italia magari le troveremmo nello stesso partito, il PD! Eppure non è che la società civile francese sia, tutto sommato, tanto diversa da quella Italia o di altri paesi dell’Europa occidentale. Evidentemente, c’è una storia diversa, ma anche una società politica che funziona in modo molto differente.
Alessandra Panetta
 
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09 luglio 2013

Genova in libreria

Franco Monteverde
Sono Franco. Pagine di cultura a Genova dall'Istituto Gramsci a oggi
Genova,  Red@zione, 2013, pp. 249.
Descrizione
Questo libro è contemporaneamente la documentazione sull’attività svolta dall’Istituto Gramsci nella Genova degli anni Ottanta-Novanta del XIX secolo e – forse, soprattutto – un “discorso” sulla cultura e sulla cultura plitica in Liguria da quel periodo a oggi. Franco Monteverde, che del Gramsci (fondato nel 1973) fu direttore per quasi dieci anni, utilizza le molte informazioni conservate sugli incontri e le iniziative pubbliche dell’Istituto Gramsci per svolgere una serie di ragionamenti su Genova e su tutta la regione. La prima notazione è come, in buona parte, l’attività culturale di quel periodo (non solo del Gramsci, ma anche del Circolo Turati, del Gallo, di alcune riviste oggi scomparse) trovasse un radicamento nel dibattito sulla trasformazione della città. Di come discutere su temi urbanistici, giuridici, filosofici, politici, ma anche sull’arte, fosse molto spesso un modo per approfondire e presentare temi di attualità – o che avrebbero dovuto essere di attualità – per realizzare una “cultura del fare”. Ma questro libro è anche molto di più. Partendo dai temi discussi al Gramsci, Monteverde propone una propria visione di Genova che, partendo dalla storia, analizza il recente passato e giunge all’attualità, entrando tra le quinte delle trasformazioni, ma anche delle occasioni perdute, e guardando alle possibili sfide che ancora oggi si presentano ai genovesi. Dagli anni Ottanta del Novecento, il panorama cittadino e regionale è profondamento mutato sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico e politico. Quello che emerge in modo netto è come si sia in buona parte disperso, assieme alla voglia di discutere e di provare a realizzare un futuro, anche un significativo gruppo di uomini di cultura che volevano incontrarsi per ragionare assieme. Si è assistito a uno “sfrangiamento”, a un’atomizzazione che non favorisce né il dibattito né la ricerca di soluzioni utili a costruire un futuro. Monteverde, in una ricostruzione che è anche analisi e ricordo di tante persone in buona parte scomparse, prova a proporre di tornare a parlare, a discutere. E avanza anche alcune proposte per la Genova di domani.
Franco Monteverde (Genova 1933) studioso di eventi politici e sociali, è stato dirigente politico e amministratore del Comune di Genova e direttore dell'Istituto Gramsci Ligure. Ha pubblicato “La città mutante. Demografia e risorse di Genova” (Sagep 1984); “Le dinamiche demografiche in storia d'Italia. Le ragioni dall'unità ad oggi” (Einaudi 1995); “I liguri. Un'etnia tra Italia e Mediterraneo” (Vallecchi, 1995); “Sovranità e autonomie mediterranee. Genova e la Liguria” (Vallecchi, 1997); “Liguria Sovrana” (De Ferrari, 1999); “L'oltregiogo. Una terra strategica per l'Italia” (De Ferrari, 2006); “Il Limonte” (De Ferrari, 2009). In questa collana ha pubblicato “Volo libero sul 30 giugno 1960 a Genova” (2011). Dal 1998 è direttore del Centro internazionale di Cultura La Maona.

07 luglio 2013

In libreria

Adolfo Ceretti - Roberto Cornelli
Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e politica
Milano, Feltrinelli, 2013, 256 pp.

Descrizione
A fronte delle continue proposte di aumentare le pene, di incrementare la presenza e la visibilità delle forze di polizia e di adottare una politica di rigore nei confronti del degrado e delle inciviltà, di cui gli stranieri sarebbero i principali portatori, la sensazione per chi studia la “questione criminale” è che pochi opinion leader possiedano una conoscenza approfondita del campo penale, vale a dire di quella rete di istituzioni (tribunali, carceri, ospedali psichiatrici giudiziari, servizi sociali, case di lavoro, case di rieducazione, riformatori giudiziari ecc.) e di varie forme di relazioni supportate da agenzie, ideologie, pratiche discorsive, tra cui i saperi criminologici, sociologici, psichiatrico-forensi. Il dibattito pubblico si sviluppa infatti attorno a espressioni – come tolleranza zero, certezza della pena, lotta all’immigrazione – che, sebbene richieste dal codice politico bipartisan e invocate dalle proteste di piazza (mediatica), non sono in grado nemmeno di cogliere quali siano i problemi di insicurezza, convivenza e ordine caratteristici della vita nelle città. Questo libro intende contrastare la tendenza diffusa ad adagiarsi su soluzioni preconfezionate in un dibattito pubblico sclerotizzato, fornendo in modo semplice e chiaro alcuni spunti di riflessione sulla dimensione penale che possono essere utili come armamentario argomentativo per chi si interessa di politica. È un saggio di “criminologia politica”, che non discute quale politica del diritto, sociale, penitenziaria e del controllo sia più opportuno adottare per obiettivi specifici; approfondisce invece i fondamenti delle attuali politiche di sicurezza allo scopo di orientarle in senso democratico, in funzione di un progetto di società civile e aperta che sappia andare oltre la dimensione della paura nella convivenza.
 
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04 luglio 2013

In libreria

Nigel Warburton
 Libertà di parola
Milano, Raffaello Cortina Editore, 2013, 144 pp.

Descrizione
“Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.” Questa frase, attribuita a Voltaire, è spesso citata dai sostenitori della libertà di parola. Eppure è raro trovare qualcuno pronto a difendere ogni espressione in ogni circostanza. Quali ne sono, dunque, i limiti? Nigel Warburton offre una guida concisa a questioni importanti che sfidano la società moderna sul valore della libertà di parola: dove dovrebbe tracciare la linea di confine una società civilizzata? Dovremmo essere liberi di offendere la religione di altre persone? Ci sono buone ragioni per censurare la pornografia? Internet ha cambiato tutto? Questa breve introduzione è un’analisi provocatoria, chiara e aggiornata dell’assunto liberale secondo cui è opportuno proteggere la libertà di parola a ogni costo.
 
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01 luglio 2013

Media per la società polifonica

Viviamo, per nascita contemporaneamente in due mondi, due comunità: nel cosmo (la natura) e nella polis (la città/stato). L’individuo è radicato in un cosmo, ma vive in città diverse, in territori diversi, diversi etnicità, gerarchie, nazioni e religioni. Ciò non genera esclusione, piuttosto produce una forma di appartenenza plurale inclusiva. Pertanto, tutti gli esseri umani sono uguali, ma appartengono a diversi stati, organizzati ed unità territoriali (polis). Nonostante questa pluralità, esiste un tabù mediatico che si impegna nel deferenziare l’uomo in orientale o occidentale, buono o cattivo, ricco e povero, io e l’altro. L’essere umano deve essere capito in una gamma di chiaroscuri e nello sfumature di colori. Per questo si ha bisogno d’informazione, sensibilità culturale, contesto sociale, politico, ecc. per potere canalizzare e riuscire a fare una critica ed una opinione con responsabilità.
A questo si riferisce Roger Silverstone quando racconta la storia di un fabbro afgano; un racconto molto illustrativo che fa capire il significato d’ un tabù mediatico fra la definizione dell’"altro". La vita, il pensiero, le abitudini, la cultura, l'educazione, la lingua, le tradizioni, ecc. Ogni essere umano è uguale a me, però  con tutte le sue differenze.
Oggi, nel mondo globalizzato e grazie ai media (i giornali, la radio, la televisione e il web) é possibile guardare lontano. Cosa significa questo? Significa che guardiamo attraverso un telescopio moderno (i media) il mondo ed a gli altri. Una mescola di culture polifoniche: il termine polifonia si definisce in musica uno stile compositivo che combina 2 o più voci (vocali e/o strumentali) indipendenti, mantenendosi differenti l’una dall’altra sia dal punto di vista melodico che ritmico, pur essendo regolate da principi armonici. Questo concetto descrive perfettamente il termino culture polifoniche, che osserviamo da lontano, dove ogni una si combina in voce, "la rappresenta" a livello internazionale, oppure "la esclude", al non essere presente in quel momento, in una scena globale.
Attualmente, è molto frequente questa ultima tendenza a escludere, criticare, etichettare, classificare, sub estimare all’ altro, attraverso lo che si vede e sente, però senza etica e responsabilità di stare veramente informato. Così, si prende con molto leggerezza una notizia e le informazione sull’altro. E responsabile tanto chi trasmette, tanto chi riceve la notizia (giornalisti, registi, narratori, produttori di immagini, i propri soggetti, spettatori ed ascoltatori) indagare sulle fonte più genuine della informazione.
Per altra parte, si può parlare dell’esistenza di’ una enorme disuguaglianza. Disuguaglianza di acceso alla informazione, a la educazione, ad essere partecipe e portavoce culturale delle minoranze(che tante volte non hanno acceso ai media locali come un radio o televisione, di meno si può pretendere a parlare dei media globali). Dove il potere di sua voce resta nascosto, ignorato, sub estimato, per il fatto che se no è visibile in media, si può credere che non esiste.
Come interferisce questo potere in media e cosa è il potere? Il concetto di potere per Machiavelli, è stato la capacità che ha un governante (Il Principe) di vincere a suoi avversai. Dominare sui sudditi e perpetuarsi in quello stato di potere, dove, per potere arrivare a questi obiettivi, qualsiasi mezzi sono stati giustificati. Così, in una frase, Machiavelli diceva: che il fine giustifica i mezzi. Quindi, il Potere dei media è un arma a doppia lama, perché può essere vincolo di unione e allo stesso un indicatore di separazione fra le culture, le minoranze e il uomo. Cosi, come può alzare la voce e dare a conoscere una cultura sconosciuta, uno stilo di vita: le tribù persi come la Zoè (comunità primitiva del Brasile), condannare una tribù urbana de delinquenti come Los Salvatruchas (originari d’ El Salvador, presente in Guatemala, Honduras, Messico e gli Stati Uniti). Può esibire o cancellare una identità. Si a questo, aggiungiamo che il potere e immerso in una riviera d’ interessi politici che favoriscono ai particolari, non è veramente genuino lo che a volte si può trasmettere e ricevere noi gli espettori (si anche siamo apatici, passivi a cercare diverse fonti d’ informazione), quindi attraverso i media che usano la notizia, si può arrivare a disinformare, manipolazione, ingannare, usufruire ed creare uno spazio d’ ignoranza in un popolo che non ha la responsabilità d’ indagare, leggere, investigare, sostentare quello che li arriva in forma di notizia.I mass media, come internet, contribuisce alla diffusione delle arene di attività politica e culturale, spingendole anche verso i margini e le periferie. Può significare la medicina o il veleno.
Insomma, il principale ruolo culturale dei mezzi di comunicazione di massa consiste in questo: una media-zione infinita tra deferenza e uguaglianza. Media è uguale allo spazio del apparire, della apertura d’una finestra alla comunicazione col mondo, con gli altri, con la cultura polifonica, con la pluralità oppure la disuguaglianza. Una volta che i mezzi di comunicazione hanno aperto una finestra sul mondo, non possiamo certo fare finta che là fuori non ci sia niente.
Per concludere: é vitale, svolgere una responsabilità verso quello che si vede e si ascolta. E la semplice visione di certe immagini non significa certo che ci crediamo in condizionalmente né che le comprendiamo appieno, per capire non basta guardare.
Dovemmo indagare, mettere in dubbio quello si vede, che si sente in nostra società e ‘vita pubblica’.
Sandra Nelly Flores Ugarte
 
 
Roger Silverstone
Mediapolis. La responsabilità dei media nella civiltà globale.
Milano, Vita e Pensiero, 2009, pp. 311.

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