Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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10 giugno 2014

Un manuale per capire i media

Il primo pensiero che attraversa la mente di chi legge il manuale di Giuseppe Tipaldo, L’analisi del contenuto e i mass media, è quello di trovarsi di fronte a una lettura complessa e adatta ai ricercatori.
E, in fin dei conti, non sarebbe un errore pensarlo.
La struttura del testo di Tipaldo è suddivisa in due parti ben distinte che sviscerano l’argomento dell’analisi dei media.
Nella prima, si discute in maniera più generale dell’analisi del contenuto nella ricerca sociale mentre nella seconda, che occupa solamente un quinto dell’intero manuale, Tipaldo si occupa di come fare concretamente un analisi del contenuto sui mass media.
La prima parte si presenta divisa in tre capitoli, come la seconda.
Sin dal principio del manuale, si evince l’attenzione che Tipaldo intende dare alla parte teorica e metodologica sul lavoro dei media e sulla ricerca storico-sociale. L’autore cita Topolski, che viene in suo aiuto per risolvere “la disputa intorno al fatto storico”. I fatti si possono intendere in maniera ontologica, ovvero nella loro concretezza e oggettività: indipendentemente dal soggetto che li apprende, essi esistono; oppure possono essere interpretati in maniera epistemologica, ovvero come una costruzione scientifica. Con Topolski, Tipaldo unisce queste due “visioni storiche” in una sola, che riconosce contemporaneamente l’esistenza della realtà storica come oggetto della ricerca e del ruolo conoscitivo dell’intelletto storico.
Il manuale fornisce anche una tassonomia dei documenti naturali che possono essere analizzati per quanto riguarda i media. Essi sono divisi in “documenti artificiali” e “documenti naturali”. Questi ultimi possono essere testi scritti, iconici, orali, audiovisivi o ipertesti e fanno parte dei processi di comunicazione, mentre i manufatti e le tracce sono processi di significazione e non vengono considerati testi dal sociologo, al contrario del semiologo.
Il manuale non può esimersi dallo spiegare che cosa si intenda per “analisi del contenuto”.
L’autore la definisce citando il lavoro della studiosa Amaturo (2013) come “una tecnica controversa” e distingue tra componenti interne al testo, proprietà della fonte di un testo e dato emergente del processo di analisi. Una delle definizioni date dal manuale su “analisi del contenuto”, che mi pare essere la più interessante, è quella della già citata Amaturo: “L’analisi del contenuto è una tecnica per la scomposizione di qualunque tipo di messaggio –generalmente proveniente dai mezzi di comunicazione di massa- in elementi costitutivi più semplici, di cui è possibile calcolare la ricorrenza per ulteriori elaborazioni e dopo procedimenti di classificazione in categorie” (Amaturo, 1993).
In vista di un’analisi del contenuto e dei metodi per fare ricerca nel campo dei mass media, Tipaldo ci ricorda come, citando Goffman in Cardano (2012), “gli interlocutori si preoccupano innanzitutto di salare la faccia, lasciando a noi il compito di leggere tra le righe”.
Questa citazione ci ricorda che gli attori in scena nei media sono sempre (o almeno, quelli più “allenati” a farlo) inclini a parlare “a favore di camera”: ogni loro discussione, intervista o intervento parte da una conoscenza dei meccanismi della media logic. Sta al ricercatore capire che cosa c’è “tra le righe”.
L’autore porta poi il lettore a interrogarsi su cosa possa servire l’analisi del contenuto. “A cosa serve?” è una domanda assolutamente legittima in tutti i campi ma soprattutto nei media studies. Per rispondere, basterebbe sapere che nei dodici anni della scuola primaria e secondaria, 11.000 ore sono passate dagli adolescenti nelle aule scolastiche, a fronte delle 15.000 ore trascorse guardando la TV e delle 10.500 impiegate nell’ascolto della popular music.
Tipaldo, tuttavia, fornisce ancora altre motivazioni: dalla critica delle fonti alla definizione dei profili sociografici degli individui, dall’analisi delle tecnologie a quelle sugli effetti dei media, con attenzione variabile ore all’emittente, ora al canale, ora al destinatario.
La successiva descrizione dell’analisi del contenuto vera e propria, di come essa è teoricamente intesa, fornisce ampio respiro alle possibili ricerche e ce ne svela la complessità.
Chi pensava di aver di fronte a sé un manuale che parla prettamente di studi già svolti, arrivato a questo punto, capirà di aver sbagliato. Oltre metà del testo, infatti, e già dalla prima parte, propone non soltanto i diversi metodi di ricerca, ma entra nello specifico di ciascuno esponendo formule e modus operandi statistici.
Si spazia dall’analisi del contenuto tradizionale (semantica quantitativa) alle analisi delle corrispondenze lessicali, fino all’analisi proposizionale del discorso. In ogni tipologia di analisi vengono spiegati i metodi e le formule utilizzate, ad esempio, per comprendere la dispersione delle parole chiave (ovvero quanto si somigliano parti di diversi testi), oppure nell’analizzare le proposizioni in ogni loro parte (verbi, congiunzioni, complementi) in modo da comprendere le strutture dei discorsi.
In tutto ciò, è la statistica a fare da collante. In tutto il manuale sono presenti le formule necessarie al lavoro sul testo (o sui manufatti, o sulle tracce).
Tipaldo non risparmia un’occhiata al blog di Beppe Grillo quando cita l’analisi automatica dei testi. Tramite i software che compongono matrici ed elaborano dati, è possibile, anche qui con le adeguate formule, esaminare i temi trattati in maniera grafica ma anche, e soprattutto, analizzare le specificità.
Ciò significa comprendere quali sono le parole che, in un testo, variano rispetto “alla routine” di tutti i giorni diventando parole chiave da tenere sotto controllo.
Nella seconda e ultima parte del manuale, Tipaldo ci presenta alcuni casi di analisi realmente effettuate, in modo da rendere più “reale” l’analisi del contenuto sui media.
Ad esempio, viene riportata una ricerca su 144 articoli di principali quotidiani di Torino e Trento sulle faccende legate alla costruzione di un inceneritore, analizzando quanto spesso fosse presente una story prominence o vi fosse invece una modalità retorica-persuasiva, il tutto facendo attenzione al luogo fisico, all’interno del giornale, dove ciò avviene.
Non mancano gli esempi su TV e web, anche se nel caso di quest’ultimo il manuale sottolinea la complicatezza di eventuali analisi.
Vengono proposti diversi algoritmi di ricerca da utilizzare sui dati audiovisivi della televisione, oltre a sottolineare l’importanza del social media Twitter: tramite gli hastags e i trend, infatti, la ricerca e l’analisi sul contenuto diventa più facile per il ricercatore, anche se, al contempo, vengono fatte notare le difficoltà di accesso allo storehose, ovvero all’insieme di tutti i tweet “cinguettati” in passato.
Il manuale si conclude con un’interessante ricerca sulle elezioni italiane del 2013, dove Tipaldo mostra alcuni diagrammi e coefficienti di associazione al lemma “paura”, possibilità di frequenza che a una certa parola ne segua o ne preceda un’altra, la quantità di parole chiave durante le diverse fasce orarie. Termini importanti per una ricerca seria sono, per Tipaldo, sono l’attendibilità, la validità, la stabilità e la riproducibilità dei risultati.
Alla luce di quanto scritto, sicuramente il manuale di Giuseppe Tipaldo non può essere considerato un “manuale soprammobile”. Esso è infatti un libro che vuole essere una guida per eventuali ricerche nel campo dei media, o per aprire una porta verso i media studies e la media education.
Uno scritto che prevede una sua utilizzazione attiva, sul campo, che promette di essere un ottimo apripista per futuri ricercatori.
Matteo Rinaldi



Giuseppe Tipaldo

L’analisi del contenuto e i mass media
Il Mulino, Bologna, 2014

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