Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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18 dicembre 2014

La fede e l'orrore


Una mattina come tante. Sono le 7 e vado al lavoro. Intorno a me le solite facce di gente per bene che si affretta a prendere il treno. C’è chi pianifica le vacanze natalizie e chi bisbiglia di passioni pregresse. C’è chi si rimbocca il cappotto e chi ancora sogna qualcosa. Non c’è nessuno che legge il giornale. Nessuno che parla dell’orrore di Peshawar. Forse è ancora troppo presto per pensare. O troppo tardi per reagire. L’alibi del paese a noi lontano funziona ancora benissimo. Così come il “Non possiamo farci niente” o “I Taliban sono fanatici esaltati”. L’elenco delle ipocrisie di rito potrebbe durare a lungo. Di botto arriva il treno e schiaccia le frasi fatte sulla testa della gente. La fede e l’orrore si sono mischiate. Avere fiducia nella vita implica la speranza di non provare orrore. Sperimentare l’orrore ammutolisce ogni fede.Non sempre. A volte la fede diventa strumento per praticare l’orrore. Non solo quello dei Taliban contro bambini innocenti. Ma quello del mondo che sta a guardare. Menefreghista e impotente. Come chi conosce già il finale. Perché qualcuno sul pianeta sa bene cosa può capitare. Conosce ogni minimo dettaglio della prossima mattanza. La produzione del terrore è industria mondiale.Il terrorismo è una favola per lattanti. C’è qualcuno che decide dove andrà a cadere la bomba del dolore. Qualcuno che non si deve sapere e non si deve dire. Ma che c’è e non muore.
                                                                     Anna Scavuzzo

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16 dicembre 2014

In libreria

Stefano Cambi
Diplomazia di celluloide?

Hollywood dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra fredda
Milano, Franco Angeli, 2014, 192 pp.

Descrizione
Il sostegno internazionalmente garantito alle majors dalle autorità statunitensi è riconducibile a un mero "dovere istituzionale" nei confronti dell'imprenditoria americana o piuttosto alla convinzione di ottenere un ritorno in termini di condizionamento psicologico? Attraverso la consultazione di fonti governative, l'Autore tenta di chiarire se e come gli artefici della diplomazia culturale e della politica estera dell'informazione abbiano inteso sfruttare i film d'evasione quale mezzo per influenzare la mente (e quindi l'azione) degli spettatori stranieri durante gli anni nei quali il mondo transitò dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra fredda.
 Se a Washington l'esistenza di una "questione cinematografica" giunse infatti a un definitivo riconoscimento con la "guerra totale", la definizione di una "politica cinematografica" avrà luogo soltanto nel contesto segnato dalla "cortina di ferro", nel quale il caso della Germania, cuore della competizione bipolare, rappresentò un precedente per quanto riguarda l'impiego dei lungometraggi commerciali nel progetto (inizialmente legato al Piano Marshall) denominato Informational Media Guaranty Program. La ricostruzione storica dello sviluppo della tematica ha prodotto una narrazione, semplice ma allo stesso tempo rigorosa, di come il governo americano ha affrontato, con alterne fortune, il complesso problema dell'impatto di Hollywood sull'immaginario collettivo internazionale senza ledere il principio della libertà d'espressione nonché quello - considerato altrettanto sacro - della libera concorrenza.
Indice del libro
Introduzione
 Cinema americano e "guerra totale": un'arma a doppio taglio
 (Intrattenimento responsabile; Hollywood, 1945: missione incompiuta)
 Hollywood/Washington nel dopoguerra: una strana joint venture
 (La battaglia contro il protezionismo europeo dello schermo sullo sfondo del confronto bipolare; a ridosso della "cortina di ferro": promuovere per escludere)
 La politica cinematografica americana alla prova della Guerra fredda
 (Il difficile compromesso tra ragion di stato e logica del profitto; Limitazione del danno: una strategia globale?)
Conclusioni / Archivi / Bibliografia / Indice dei film / Indice dei nomi.

14 dicembre 2014

In libreria

Christian Salmon
La politica nell'era dello storytelling
Roma, Fazi, 2014, 180 pp.
Descrizione
Nel suo nuovo saggio, l’acclamato autore di Storytelling (2008) mette a fuoco le trasformazioni che interessano la sfera politica, specialmente nel campo della comunicazione, offrendo anche un’analisi della spettacolare campagna elettorale di Obama. L’homo politicus tradizionale è un animale in via di estinzione? Prima la rivoluzione neoliberista degli anni Ottanta, poi l’avvento della rete e della società della comunicazione: i politici sono ormai sottoposti alle ingerenze di entità esterne, come il mercato, e chiamati a dire la loro in continuazione, a mettere la faccia – e il corpo – a disposizione dei media. Il loro lavoro è sempre più una performance per catalizzare l’attenzione e suscitare emozioni intrattenendo un elettorato sempre più vorace. Non sarà che in questo nuovo circo politico-mediatico proprio i governanti finiscono vittime di un gioco sacrificale.

Dello stesso autore:
C. Salmon, Storytelling, Roma, Fazi, 2008, 179 pp.
Descrizione
L’arte di raccontare storie è nata quasi in contemporanea con la comparsa dell’uomo sulla terra e ha costituito un importante strumento di condivisione dei valori sociali. Ma a partire dagli anni Novanta del Novecento, negli usa come in Europa, questa capacità narrativa è stata trasformata dai meccanismi dell’industria dei media e dal capitalismo globalizzato nel concetto di storytelling: una potentissima arma di persuasione nelle mani dei guru del marketing, del management, della comunicazione politica per plasmare le opinioni dei consumatori e dei cittadini. Dietro le più importanti campagne pubblicitarie – ancor più dietro quelle elettorali vincenti (da Bush a Sarkozy) – si celano proprio le sofisticate tecniche dello storytelling management o del digital storytelling. Questo è l’incredibile inganno ai danni dell’immaginario collettivo svelato da Christian Salmon nel libro, frutto di una lunga inchiesta dedicata alle numerose applicazioni del fenomeno: il marketing conta più sulla storia dei brand che sulla loro immagine, i manager si servono di aneddoti per motivare i propri dipendenti, i soldati in Iraq si allenano su videogiochi progettati da Hollywood, gli spin doctor descrivono la vita politica dei loro clienti come in un racconto. L’autore ci mostra gli ingranaggi della grande “macchina narrante” che ha rimpiazzato il ragionamento razionale, ben più pervasiva dell’iconografia orwelliana della società totalitaria. Ma questo nuovo ordine narrativo non è un semplice linguaggio mediatico: il soggetto che vuole influenzare è un individuo immerso in un universo fittizio che ne filtra le percezioni, ne stimola le sensazioni, ne inquadra i comportamenti e le idee.

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13 dicembre 2014

In libreria


Carlo Levi
Buongiorno, Oriente. Reportages dall'India e dalla Cina
Roma, Donzelli, 2014, 250 pp.
Descrizione
A distanza di pochi anni, tra il 1957 e il 1959, Carlo Levi compì un viaggio nel subcontinente indiano e uno in Cina, come inviato per il quotidiano «La Stampa». I suoi reportages, usciti a puntate e qui raccolti in volume, appartengono a un giornalismo che non c’è più, un giornalismo non ancora saturato, e in un certo senso usurato, dall’urgenza della notizia e dall’eccesso del culto dell’immagine: un mondo in cui l’informazione viaggiava lenta e aveva il tempo di sedimentare. I resoconti di viaggio di Levi commuovono come poesie: la narrazione è parte integrante di quell’esperienza in una realtà apparentemente «altra» di cui lo scrittore si appropria per ritrovarvisi come in uno specchio. E insieme, per ritrovare in quella civiltà, lontana ed esotica, le radici profonde della nostra civiltà e della nostra storia. Reportages che sono fotografie, affreschi della società indiana e cinese, che lo scrittore torinese sa penetrare con rispetto e riserbo, e al tempo stesso con apertura e disponibilità a un nuovo che gli desta stupore e curiosità inesauribili. Trapela tutta l’esigenza del viaggiatore di divenire faticosamente e lentamente «una spugna asciutta e vuota», che può riempirsi delle acque in cui è immersa e farne poi dono agli altri che lo aspettano e che, in fondo, hanno viaggiato un po’ con lui. Sul continuo alternarsi di quadri d’insieme coerenti e di squarci dalla possente suggestione lirica, aleggia impalpabile una sorta di presagio di ciò che verrà. Ne sortisce un libro che è un’istantanea preziosa per cogliere nel loro farsi due ormai conclamate potenze mondiali, alle prese con il loro primo impatto con la modernità.

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11 dicembre 2014

Reportage siriano



«Una cosa è certa. Qualsiasi piega prendano gli eventi, la Siria non sarà più quella di prima. Ho vissuto un cambiamento epocale. Ho visto, ogni giorno, cambiare Damasco. Ho sentito a pelle gli umori, i timori, le speranze e le ansie di chi, magari senza volerlo, si trova coinvolto nei cambiamenti della Storia».  

Sono queste le parole con cui Antonella Appiano, giornalista esperta di Medio Oriente e Islam, conclude, affidandolo alle pagine del libro Clandestina a Damasco, il racconto dei tre mesi trascorsi in Siria, dai primi di marzo alla fine di maggio 2011, all’inizio delle contestazioni contro la dittatura di Bashar al-Assad. In un Paese agitato dalle rivolte, che non rilascia accrediti-stampa per i giornalisti stranieri, la Appiano si muove in un periodo storico complesso e in un Paese ostile, con l’ausilio di documenti falsi e la copertura di un gruppo di manifestanti anti-regime, di cui raccoglie testimonianze e storie. Conosciamo così, attraverso la fessura del niqab, il velo che le copre il viso lasciando scoperti solo gli occhi, l’ingegnere Ammar, il tassista Khaled, l’avvocato Siham, la commessa Fatima, l’architetto Hisham, l’artista Rami e molte altre anime, voci e volti che animano il mosaico della città di Damasco, nel momento forse più difficile della sua storia civile. Il racconto, schietto, sincero e mai partigiano, procede con l’andatura di un diario, con l’urgenza di una testimonianza e uno stile minimalista, attento alla descrizione dei dettagli. Puntualmente un’interruzione ‘occidentale’, la trascrizione delle mail che la Appiano si scambia con i colleghi italiani, che aprono un ulteriore punto di vista: quello di chi, qui da noi, apprende quanto accade e prova darsi e dare una spiegazione. L’autrice, rischiando ogni giorno della sua permanenza, costretta a cambiare molto spesso identità e facendo i salti mortali per non mettere in pericolo le persone che la aiutano, riesce a dare un resoconto puntuale ed emozionante di un momento complesso e a tratti incomprensibile, per il mondo Occidentale, come la crisi siriana. Un lavoro da inviata vera, in cui la professione giornalistica si fonde con la pietas che accomuna coloro che lottano per la libertà. Un libro profondo, in cui si respira la polvere delle strade, l’odore delle spezie e la forza di una popolazione.
Antonella Appiano ha collaborato dalla Siria per "Lettera43", "Il Mattino", Radio24, Uno Mattina e "L’Espresso". Nel 2013 ha pubblicato per la casa editrice Quintadicopertina l’e-book Qui Siria. Clandestina ritorna a Damasco, il diario dei suoi viaggi da Damasco ad Aleppo, per capire quali siano le forze in gioco, dove sia nata questa rivolta e chi ne muova più o meno occultamente le fila. L'ebook include fotografie inedite scattate dall'autrice , i collegamenti ai video YouTube che le inviano gli amici siriani, oltre a glossari, schede di approfondimento e timeline interattive che permettono di navigare il testo e muoversi tra il racconto e i materiali di studio inclusi nel testo.
Valentina Merlo

Antonella Appiano
Clandestina a Damasco.
Cronache da un Paese sull’orlo della guerra civile
Roma, Castelvecchi, 2011

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07 dicembre 2014

Genova in libreria

Maria Paola Comolli
Qui Viazzi ... a voi studio
Genova, Erga, 2014, 120 pp.

Descrizione
Cinquant’anni di storia dell’informazione italiana scritta e parlata: dal periodo d’oro della radio alla sperimentazione della terza rete televisiva RAI, dalle esperienze dell’inviato speciale alla riorganizzazione di alcune sedi regionale dell’Azienda secondo le esigenze della comunicazione moderna. Varie svolte significative del giornalismo radiotelevisivo sono state vissute nell’arco dell’attività professionale di Cesare Viazzi, un signore con il microfono, che ha poi trasmesso la sua esperienza ai giovani nei primi corsi universitari di giornalismo.  Nel libro ci sono varie testimonianze di coloro che furono accanto a Viazzi in quegli anni o lo videro all’opera, da giornalisti quali Giorgio Bubba, Emanuele Dotto, Mario Rigoni e Moreno Cerquetelli a personaggi pubblici come Mario Sossi, Giuliano Montaldo, Tullio Solenghi e Vito Molinari.
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05 dicembre 2014

Le parole sono pietre

"Noi che scriviamo, qualunque sia la nostra idea del mondo e delle cose politiche, siamo tenuti ad avere un’alta concezione della parola, del suo valore, della sua potenza."
Michele Serra




"Repubblica", 8.11.2014.

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