Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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01 marzo 2015

Assalto alla pace




Non c’è limite all’egoismo umano. Neppure a quello che si serve della propaganda di guerra per fare soldi. Come ha scritto su "Repubblica" del 7 febbraio Massimo Recalcati, “il culto pragmatico del denaro ha sostituito il culto fanatico dell’ideale.”   
Lo dimostra la notizia, riportata da "Il Venerdì di Repubblica" del 27 febbraio, secondo cui in Russia il costruttore di fucili d’assalto Kalashnikov, Aleksej Krivoruchko, l’anno scorso ha moltiplicato i suoi profitti con la vendita delle temibili armi. Il che non solo la dice lunga sulle bugie raccontate all’opinione pubblica in merito alla ricerca condivisa dalle grandi potenze mondiali per il mantenimento di equilibri di pace, ma fa chiaramente capire quanto il mercato delle armi sia in rapida espansione. Come se non bastasse, la nuova strategia che la società russa aspira a costruire, è un vero e proprio brand da diffondere nel mondo. Come la Apple o la Coca-Cola. A Mosca, in una recente conferenza stampa è stato presentato il nuovo logo dell’azienda: una K bianca (il colore della resa) impressa su un quadrato rosso (il colore del sangue), circondata da uno sfondo nero (il colore dei terroristi) con sottostante la parola KALASHNIKOV. Il  marchio apparirà non solo sulle armi ma anche sugli accessori e l’abbigliamento di una nuova linea di prodotti pensati per chi ama vivere all’aria aperta come cacciatori, sportivi o… guerriglieri. Un modo come un altro per diffondere nel mondo la filosofia del potere armato. Naturalmente a corredare l’operazione di costruzione del marchio non poteva mancare uno slogan forte e facile da ricordare. Così, il Kalashnikov viene ribattezzato con lo slogan “arma di pace”. Un ossimoro che fa venire i brividi. Un insulto per chi nella pace crede o per essa ha perso la vita.
Ma c’è di più. Creare un marchio che associa il concetto di guerra a quello di pace significa comunicare al mondo l’intenzione, più o meno velata, di perseguire progetti espansionistici militari con la contemporanea costruzione  e fondazione di un immaginario collettivo dove il valore della pace viene venduto assieme a quello dell’uomo che deve essere comunque armato.
Una spiccata propensione nel legittimare la guerra perpetua risulta quanto mai evidente.
Si vede che l’evoluzione delle capacità cognitive umane arriva a un punto di saturazione tale che comporta l’implosione delle stesse capacità nell’assidua ricerca dell’autodistruzione.  
Non che, in contrapposizione, si possa giustificare il fanatismo della pace. Qualsiasi fanatismo è deleterio perché manca di equilibrio. Piuttosto, è auspicabile il tentativo di riprendere quegli ideali che molta della classe dirigente che ci governa cerca di mandare in soffitta.
Ideali, come pace e giustizia, ormai considerati vetusti, sorpassati  perché si oppongono alle logiche dissennate del potere e del profitto. Ideali usati a piene mani solo come paravento nei discorsi dei talk show, per nascondere la totale mancanza di reali politiche sociali. Stili di vita e opinioni che necessitano dell’espansione del concetto di libertà e tolleranza per crescere, al posto dell’idea di armi e guerra. E mentre l’Isis diffonde sul web, anche in italiano, il manifesto di un sedicente stato islamico dove l’oggetto della religione sembra sia diventato il male, Mosca piange, attraverso la retorica di stato, il dissidente Nemtsov. Nel frattempo il kalashnikov, simbolo dell’assalto, della forza violenta, dell’imposizione coatta dei regimi totalitari, rivitalizza i valori ideali di difesa della patria dal nemico comune del futuro combattente-consumatore. La pace non è più una conquista della società civile, ma un’arma dura e spigolosa, come la lettera K che ne rappresenta il marchio, per giustificare guerre e genocidi nel mondo. Nell’immaginario collettivo del povero uomo comune, che crede ancora a una soluzione dei conflitti non violenta, il culto di un ideale di pace appare ancora molto lontano. Mentre il culto dell’unico dio professato è sempre più presente. Un dio che porta in una mano fiumi di denaro e nell’altra il kalashnikov.         

Anna Scavuzzo   

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