Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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15 maggio 2015

Benvenuto deportato


Caro naufrago,
tu sei il nostro mistero: lo sarai sempre.
Che tu sia profugo o clandestino poco importa, sarai sempre l’ombra silenziosa delle ore nascoste, deluse, stanche, passate in un centro di “accoglienza” in attesa dell’identificazione e del conseguente smistamento. Se sei fortunato ti chiameranno profugo, altrimenti l’etichetta da clandestino non te la leverai più di dosso. Come la polvere che hai respirato nel deserto prima di raggiungere una certa spiaggia. O come la salsedine che ti ha seccato la gola durante la burrascosa traversata su un barcone. Tu sarai un implacabile punto interrogativo.
Non sappiamo come accoglierti, ma nemmeno come respingerti. Non sappiamo chi sei, ma di te abbiamo paura. Non sappiamo come integrarti, ma intanto ti mandiamo via.
Tu che, forse, saresti un semplice uomo pago di vivere, capace di soffrire per la conquista della tua dignità, destinato a graffiare appena il palcoscenico del mondo. Tu che ti accontenti di essere riconosciuto come essere umano, in fuga dalla fame e dalla guerra. Ancora non sai dei talk show in tuo onore. Non conosci la forza mediatica che la tua tragedia è capace di generare. Neppure immagini il peso politico che riscontri nei sondaggi e in campagna elettorale.
Tu che sei disperato, sarai per sempre un deportato.
Noi che siamo civili ed evoluti ti abbiamo ucciso prima che i tuoi occhi vedessero i fondali delle nostre coste. Senza neppure voler conoscere il dono che ci avresti portato, il messaggio che ci avresti trasmesso, il futuro che avresti determinato. È una responsabilità sociale immensa che non si scarica semplicemente con una finta “operazione umanitaria”.
Tu sei scappato dal tuo paese, sei rimbalzato sulle nostre coste, hai vagato un po’ ovunque, rimpallato e sballottato durante un gioco di parole. Un gioco che è meno di un dono, meno di un progetto. È qualcosa di leggero, di superficiale, neppure divertente. Soprattutto un gioco che esula da qualsiasi responsabilità. Quindi non conta. Perché tu non conti.
Ma si può salvare una vita e lanciarla nella dimensione della deportazione solo per gioco?
I naufraghi che ci vantiamo di salvare in mare sono molto spesso vittime dei nostri giochi di parole. O di potere. O di razzismo. Perché l’accoglienza, quella vera, è anche responsabile e generosa. E il profugo diventa dono, risorsa culturale, prolungamento sociale oltre i confini di una nazione. Non un peso, un inciampo, un pericolo, un’emergenza comunitaria o, peggio, una disgrazia umanitaria.
Lo sai? Tu che sei un fastidio devi sparire. Dalle nostre città, dalle nostre coscienze. Non ci vuole molto. Basta un tragico incidente, un rimpatrio veloce, una scrollata di spalle, un rimorso soffocato. Ognuno si sceglie la propria vita. E la nostra è stata scelta al prezzo della tua morte o della tua deportazione perenne.
Certo. Il problema esiste, è intricato, di non facile soluzione.
Ma la morte o la continua deportazione può forse diventare una soluzione positiva, dignitosa, umana? Cerchiamo altre soluzioni perché altre ne esistono. La nostra follia è di non sapere come compensare i nostri saperi con quelli degli altri popoli. Siamo degli insensati.
Così uccidiamo il futuro dell’umanità, dell’Europa, dell’Italia. Dov’è stata gettata quella civiltà in divenire? In un bombardamento di un presunto barcone? Nell’arresto di una manciata di disperati sul treno che porta all’estero? Nei giochi retorici del marketing televisivo? Nelle false polemiche politiche? In una discarica per rifiuti tossici? La civiltà, gettata. Come un rifiuto pericoloso.
E tu, caro profugo, che sei un condensato di energie, un’esplosione di vita, un miracolo della speranza, una promessa di futuro, solo per il fatto di avere avuto il coraggio e la determinazione di soffrire -non sapremo mai quanto- per arrivare fino a noi, ti accogliamo in un campo, in attesa di organizzare la tua umiliazione di esiliato, perseguitato, rifugiato, clandestino. Tu che sei brivido di vita che passa per le mani di chi la vita la comanda, devi sapere come si salvano i poteri. La politica dei Grandi è spesso diametralmente opposta e sideralmente lontana dalla tua.
Hai coraggio da vendere? Opponiti al nostro presente. Diventa un difensore del diritto alla vita.
Benvenuto, caro deportato.  

 Anna Scavuzzo

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