Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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14 gennaio 2015

In libreria



Richard Rooke
 European Media in the Digital Age: Analysis and Approaches 
Routledge,  2013, 288 pp.
Descrizione



This introductory textbook for Media and Communication Studies students is designed to encourage observation and evaluation of the European media in the digital age, enabling students to grasp key concepts and gain a broad and clear overview of the area. It also introduces the principal debates, developments (legislative, commercial, political and technological) and issues shaping the European media today, and examines in depth the mass media, digital media, the internet and new media policy. Understanding today’s media scene from print to audiovisual needs a wider view and this book helps make comprehensible the European media within a broader global media landscape.
The text is pedagogically rich and explores a variety of approaches to help the reader gain a better understanding of the European media world. Students are encouraged to start thinking about statistics, relating this to economics, analysing regulations, and combining media theories with theories of European Union integration.  The book also includes the use of case studies, illustrations, summaries, critical reflections and directions to wider reading. The European Media in the Digital Age is recommended for all Media Studies students and is also of key interest to students of Politics and Policy, Business Studies, International Studies and European Studies. 

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12 gennaio 2015

In libreria

Umberto Eco
Numero Zero
Bompiani, Milano, 2015, pp. 224.

Descrizione
Una redazione raccogliticcia che prepara un quotidiano destinato, più che all’informazione, al ricatto, alla macchina del fango, a bassi servizi per il suo editore. Un redattore paranoico che, aggirandosi per una Milano allucinata (o allucinato per una Milano normale), ricostruisce la storia di cinquant’anni sullo sfondo di un piano sulfureo costruito intorno al cadavere putrefatto di uno pseudo Mussolini. E nell’ombra Gladio, la P2, l’assassinio di papa Luciani, il colpo di stato di Junio Valerio Borghese, la Cia, i terroristi rossi manovrati dagli uffici affari riservati, vent’ anni di stragi e di depistaggi, un insieme di fatti inspiegabili che paiono inventati sino a che una trasmissione della BBC non prova che sono veri, o almeno che sono ormai confessati dai loro autori. E poi un cadavere che entra in scena all’improvviso nella più stretta e malfamata via di Milano. Un’esile storia d’amore tra due protagonisti perdenti per natura, un ghost writer fallito e una ragazza inquietante che per aiutare la famiglia ha abbandonato l’università e si è specializzata nel gossip su affettuose amicizie, ma ancora piange sul secondo movimento della Settima di Beethoven. Un perfetto manuale per il cattivo giornalismo che il lettore via via non sa se inventato o semplicemente ripreso dal vivo. Una storia che si svolge nel 1992 in cui si prefigurano tanti misteri e follie del ventennio successivo, proprio mentre i due protagonisti pensano che l’incubo sia finito. Una vicenda amara e grottesca che si svolge in Europa dalla fine della guerra ai giorni nostri.
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10 gennaio 2015

L’ombra si fa guerra


È guerra. Totale. Mondiale. Ora lo sappiamo.
Gli attentati di Parigi e i massacri in Nigeria non sono più solo l’ombra di un sospetto.
Che l’Europa e il mondo intero siano attaccati nei simboli e nei valori più profondi di libertà e democrazia non è una possibilità. È una realtà. Concreta e tangibile.
La violenza terrorista si è fatta stato. La religione ideologia. Pretesti ingiustificabili per imporre l’ombra di un nuovo regime totalitario. Per scatenare un conflitto dalla portata mondiale.
Per perpetuare i profitti dell’industria della guerra. Per avvilire le opinioni nella paura della ritorsione.
Non possiamo più fare finta di niente. Ci siamo dentro tutti. Europei e non.     Quella che vediamo è la cima di una montagna. Non quella di Maometto. Non quella che vorremmo scalare. Ma quella che sta per crollarci addosso con il suo enorme peso di responsabilità.  La montagna rozza e dura, pericolosa e violenta, brutale e assurda di un potere vigliacco che cerca di scatenare un conflitto diffuso. Vigliacco perché non si mostra. Vigliacco perché usa religioni che non gli appartengono per giustificare azioni terroristiche.
È inutile girarsi dall’altra parte. Siamo in guerra.
Una guerra di pensiero prima che di armi. Perché le nostre giornate sono ormai scandite da parole di guerra. Killer, mitra, kalashnikov , attacco, assedio, bliz, sangue, ostaggi, morti…
In televisione sentiamo il crepitio delle sparatorie, udiamo le urla di chi fugge terrorizzato, vediamo il fumo delle esplosioni, i filmati girati da chi si mette in salvo sui tetti, poliziotti e militari che corrono dietro scudi antiproiettile. Vediamo un poliziotto musulmano ferito che implora pietà prima di essere freddato senza traccia di quella stessa pietà.
Sui giornali appaiono immagini che sembrano tratte da un libro di storia. Invece no, sono di oggi. I titoli fanno venire ansia. Il nostro spirito è pieno di sgomento, rabbia, angoscia, paura.
Basterà la grande “manifestazione repubblicana” di domani a Parigi per ridare fiducia e sicurezza ai cittadini francesi? Basterà l’enorme folla planetaria, che dalle piazze europee e del web grida a gran voce “Je suis Charlie”, a rimuovere le violenze? Certo, sono segnali di una reazione. Ma non basta più indignarsi, manifestare, protestare.
Ci sono decisioni urgenti e difficili da prendere. Prima che il virus della jihad contagi ogni nazione figlia di una democrazia vitale. Come un cancro che sparpaglia in un gigantesco starnuto cellule impazzite in grado di aggredire dietro istruzione. Non più uomini, ma macchine addestrate a uccidere gli altri e se stessi. Corpi e menti malate che trovano nella propagazione di ogni forma di violenza lo scopo della loro miserabile esistenza.
Bisogna trovare il modo di difendere il nostro pensiero di libertà e democrazia. Non si deve cadere nella trappola del panico, dell’islamismo-fobia, della nevrosi da attacco terroristico, della psicosi da omo-blindato, del sospetto permanente. Faremmo il gioco di chi ci attacca.
Lucidità e fermezza diventano qualità fondamentali per assicurarci almeno una cosa: la forza della maggioranza. Quella a cui il terrorismo e la guerra fanno schifo. Una maggioranza pacifica e tollerante che esiste. C’è. Si vede e si sente.
Se una manciata di terroristi ha tenuto e tiene sotto scacco una nazione come la Francia, possibile che il popolo europeo della maggioranza nonviolenta, sensibile all’integrazione, multi etnica e multi culturale non riesca a dare scacco matto a una manciata di terroristi?
Se davvero esiste questa idea di Europa unita, ora è il momento che i politici che la rappresentano la facciano vedere e sentire. Certo, le parole della guerra fanno impressione a chi la guerra non l’ha mai fatta. Così come fanno paura a chi ne è stato sfiorato ed è sopravvissuto.
Ma democrazia e libertà non sono parole di guerra. Sono concetti del pensiero. Un pensiero che non può permettersi di essere debole e destabilizzato da una forza oscura e minore: la violenza.
Si sa che un popolo impaurito e insicuro è più facile preda dei regimi totalitari che sottomettono prima i valori delle persone.
Ecco, è arrivato il momento che alle parole della guerra è necessario contrapporre le parole della libertà. La politica già lo sa.
La difesa non è nella sopraffazione, ma nell’eliminazione delle cause.
Lo “stato di guerra” non si neutralizza con la corsa agli armamenti, con i raid aerei, le cosiddette forze di pace. Lo “stato di pace” si conquista con la volontà di cancellare dal pianeta il profitto dell’industria bellica. La volontà di tutti i popoli e le nazioni. La volontà della maggioranza. Di tutti. Ma proprio di tutti. Insieme. E questa si che sarebbe una grande risposta  e una grande forza. Quella che all’aggettivo mondiale non potrà più abbinare l’ombra del sostantivo guerra, ma soltanto la luce della parola libertà.    
Anna Scavuzzo

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05 gennaio 2015

In libreria

William Hazlitt
L'ignoranza delle persone colte
Fazi, Roma, 2015, pp. 180.
Descrizione
Diretto, paradossale, provocatorio: così appare Hazlitt nel suo saggio sull’ignoranza delle persone colte, un gioiello nell’arte dell’essay, di argomento filosofico, morale, letterario o legato all’esperienza quotidiana, il cui modello riconosciuto e tuttora inarrivabile è Montaigne. In questo libro dello scrittore e critico inglese, amico di Stendhal e dei maggiori poeti del suo tempo, sono raccolti sette dei numerosi saggi appartenenti a Table-Talk, la rubrica che l’autore tenne sul «London Magazine» dal giugno 1820 al dicembre dell’anno successivo: tutti testi di sconcertante attualità e caratterizzati da un’alta dose di humour, specie se letti oggi, alla luce del presente. Oltre alla riflessione Sull’ignoranza delle persone colte, intervento argutamente eccentrico, che dà il titolo al volume, tanti sono gli aspetti della vita affrontati dal saggista-filosofo: dall’analisi del genio incompreso (contrapposto all’uomo d’azione e quindi di successo) al ritratto dello scrittore elegante (e perciò “effeminato”), dalla critica ai gruppi di potere (tra cui i consigli comunali e le università) agli svantaggi della superiorità intellettuale (sulla raffinatezza d’animo che si scontra puntualmente con un mondo ignorante), fino al tema universale della paura della morte e ai suoi risvolti tragicomici con i lasciti testamentari.
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