Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



05 aprile 2016

Ciao, Europeo


Chiamami, se vuoi, profugo o clandestino. Migrante o richiedente asilo.
Ma io sono solo una Persona. Impaurita. Disperata. Alla vitale ricerca della propria libertà.
Ho strappato alla guerra un sogno. Era sospeso sul mare, mentre scivolavo piano su una barca e lasciavo che la mia terra venisse sepolta nei ricordi. Mi trascino dietro tutti i pianti e il dolore della mia gente. Pesante bagaglio pescato tra la puzza e il fango di un campo dove il mio corpo randagio ha perso ogni dignità.
Già, la dignità. Quella che per voi europei è divenuta banale merce di scambio. Barattata al miglior offerente per qualche scambio commerciale in più. Mentre voi capi di stato vi riunite a più riprese in eleganti palazzi, io traghetto la mia vita invisibile dentro a questo fradicio campo. Qui, la solitudine affoga nella melma. Qualcuno la chiama accoglienza.
Per mesi ho amato il mio avanzare lento ma ostinato, prima sull’onda, poi sulla zolla. Ho ascoltato pulsare il vostro cuore europeo nell’attesa di un qualsiasi segnale. Ho aspettato. Ho sperato. Ho pregato. Ho implorato. Fino a capire di non essere approdato a nessun porto. Fino a non chiedermi più dove sono. Perché ora, per voi, più non sono profugo. Nemmeno migrante. Nemmeno europeo. Nemmeno persona. Sono solo un problema. Argomento preferito dei talk-show. Narrazione quotidiana nei giornali. Qualche volta, sembro persino essere importante per la campagna elettorale del politico di turno.
Tu non sai quanto ho frugato in quella perenne linea d’ombra che mi separa dall’essere come te. Parte di te. Futuro con te. Ma in quella oscurità dell’anima non c’è luce e tu non mi hai riconosciuto. Mi hai perso mentre ti tendevo la mano, nell’intermittenza di una breve illusione. Come se Europa fosse una parola solo intuita e mai finita. E all’improvviso sono rimasto fuori dal vento, con un pensiero fisso e vagante. Essere cittadino dello stesso stato. Come te.  
Così, mio malgrado, ho scelto fuga e sopravvivenza come estremità della stessa strada. Senza immaginare che ora, su quella strada, tu europeo ci passi con la ruspa. Per allontanarmi o escludermi.
Ora sono in bilico sull’orlo di un muro di filo spinato. Ho la febbre della paura. Sono sfinito. Non ho più sogni e non spero più in un miracolo.
Ora, Europa, sono il tuo schiavo preferito. Venduto. Sfruttato. Denigrato. Perseguitato. Rimpatriato. Deportato.
Posso solo affondare nella magica eloquenza dei tuoi discorsi che hanno il sapore delle libertà negate. Delle canzoni un po’stonate cantate da un dio senza più voce. Afono di idee e di pace.
Attento, caro europeo. Potresti inciampare in un popolo che vuole ancora capire e pensare. Potresti cadere nello stesso fango dove per anni ho alloggiato io. Potresti provare il freddo e la fame sotto una tenda piena di indifferenza. Anche il mio sguardo, allungato dietro la scia di una barca che aspetta, potrebbe darti noia e ricordarti che un giorno anche tu sei partito o potresti partire.
Forse l’apparire sui media a tratti, tra incroci di vuoti e pieni, ti fa sentire quel senso di vaghezza che fa sembrare ogni cosa migliore. Persino più giusta. Come giustificare la guerra. Inutile boa per rimanere a galla quando ci si dimentica di essere tutti persone e si crede di diventare eroi ricostruendo muri e frontiere.
Sai, caro europeo, vorrei avvolgere tutto in un estremo silenzio affinché tu possa avvertire ogni mio tormento, ascoltare ogni pianto di bambino, percepire ogni sussurrato lamento, vedere ogni donna partorire e ogni anziano, da solo, morire.
Chissà se questo ti farà consumare il piacere di una scoperta. Solcando il limite dell’ombra. Con le vele alzate e le braccia tese. Aperte verso di noi. Persone come te.
Condannati a migrare tra l’inferno della guerra e un’Europa che non c’è.
Se solo tu riuscissi a guardare là dove la luce rimbalza sull’acqua e illumina la parte più amara dell’essere umano. Con la volontà di rovistare ancora nel respiro di questo abisso, alla ricerca del tuo essere fratello. Carne e sangue dello stesso continente.
Prova a rimanere immobile mentre il tuono dell’onda sale dentro al cervello. Senza la paura di cadere trascinato da quella grande forza che è la libertà. Prova a cogliere la sfumatura del mio stesso sogno di vita. Sarai il pulsare continuo di un gioco luminoso che resiste ad ogni tempo, ad ogni strazio, ad ogni infamia.
Sarai Persona. Come me.

 Anna Scavuzzo

____

Nessun commento:

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.