Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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24 settembre 2018

In libreria

Vanni Codeluppi
Il tramonto della realtà
 Come i media stanno trasformando le nostre vite

 Carocci, Roma, 2018, pp. 124.

Descrizione
Se ci guardiamo intorno, in qualsiasi città del mondo, ovunque vediamo persone con la testa bassa rivolta allo schermo di uno smartphone. Tuttavia abbiamo una scarsa consapevolezza dei cambiamenti che i media possono indurre nei nostri modi di pensare e di vivere la realtà. I media contemporanei, in particolare, devono gran parte del loro successo alla capacità di confezionare un mondo più piacevole e attraente di quello reale, privo di difetti e problemi. Per quanto tempo la realtà avrà ancora un senso per noi? Avremo ancora la necessità di vivere direttamente le nostre esperienze? Il libro descrive il ruolo sempre più invasivo dei media nella società contemporanea e il processo di progressiva fusione tra media e corpo umano, per farci riflettere sulle conseguenze di tali fenomeni per la nostra vita quotidiana.

Indice
Prologo
 1. I media e il “tramonto della realtà”
2. Entrare nello spettacolo
 3. Dai marziani di Orson Welles alla postverità
 4. Transtelevisione: lo spettatore va in scena
 5. Lo schermo e il tatto: fusione con i media
 6. Verso media biologici
 7. Vedersi nello schermo: fotografie liquide e selfie
 8. Dominare lo spazio: il mito della realtà aumentata
 9. Il tempo sospeso dei media
 10. Verso l’oblio digitale
 11. Vita da social
 12. Un capitale sociale virtuale
 13. Il potere della pubblicità sui media
 14. I media-zombi: fusione con il soprannaturale
 Epilogo
 Opere di riferimento
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23 settembre 2018

In libreria

Adriano Fabris
Etica per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione
Carocci, Roma, 2018, pp. 128.

 Descrizione
In che modo le tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno cambiando la nostra vita? Come possiamo interagire correttamente con i dispositivi che utilizziamo sempre di più? Come possiamo abitare in modo sano i mondi virtuali a cui tali dispositivi danno accesso? Per rispondere a queste domande, il libro approfondisce anzitutto i concetti di fondo che ci permettono di capire le varie tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Discute poi, in prospettiva deontologica ed etica, i problemi legati all’uso dei dispositivi più diffusi: i computer, gli smartphone, i sistemi automatizzati di comunicazione. Esplora infine gli ambienti virtuali a cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione danno accesso, con particolare riferimento a Internet. In sintesi, offre una bussola etica per navigare nel gran mare delle tecnologie comunicative, e per non annegarvi.

19 settembre 2018

Giornalisti letterati


Franco Zangrilli
La Favola dei fatti. Il giornalismo nello spazio creativo
Ares - Faretra, Milano, 2010, pp. 312.
Descrizione
Oltre un secolo di letteratura, dalla fine dell’Ottocento agli esordi del 2000, ha dialogato con la realtà dell’informazione giornalistica, sia facendo rivestire i panni del giornalista ai protagonisti di romanzi e racconti, sia vedendo gli autori stessi impegnati contemporaneamente sul fronte della letteratura e su quello giornalistico, come è il caso di Poe, Maupassant, Capuana, D’Annunzio, Matilde Serao, Sibilla Aleramo, Oriana Fallaci, Luce D’Eramo, Buzzati, Landolfi, Moravia, Palumbo, Piovene, Virgili, Doni, Pirandello, Prisco... Tutti autori indagati in queste pagine alla luce del dialogo e della contaminazione tra letteratura e giornalismo. L’afflato delle loro opere, anche quando si muove sulla falsariga di moduli realistici, riveste di surrealismo fatti ed eventi di attualità, di allegorismo la cronaca, di simbolismo la rappresentazione mediatica; opere quasi sempre inclini a tessere la favola della notizia, a discutere del giornalismo in uno spazio che si fa spesso significativamente fantastico

17 settembre 2018

In libreria

Paolo Schianchi
Visual Journalism
Franco Angeli, Milano, 2018, pp. 156.

Descrizione
In tempi di pervasività della cultura visiva il visual journalist non è più colui che semplicemente completa una notizia, ma la crea visivamente. Questo libro esplora i principi base su cui si fonda il visual journalism, definendone la grammatica, spaziando dagli immaginari alle immagini figurative, narrate e in movimento, dalle immagini parassita alle immaginarie, fino a giungere alle fake images e all'etica che ogni figurazione deve possedere. Il tutto per apprendere, attraverso risposte tecnico-operative, come scrivere visivamente un articolo in epoca post-web, nonché come funziona e si realizza un'immagine che è la notizia stessa. Un testo utile non solo ai giornalisti, ma a tutti i comunicatori, in quanto ognuno di noi diffonde informazioni e lo fa attraverso delle raffigurazioni, le stesse che pubblichiamo in quella rete che ci raggiunge ovunque. Il visual journalism cerca di comprendere, immagine dopo immagine, il cambiamento visivo in atto nel mondo della comunicazione. Si tratta di creare e decodificare una nuova grammatica visiva. Infatti, ognuno di noi si informa sempre più solo guardando, e questo libro spiega come farlo correttamente.
Indice del libro
Umberto Fontana, Prefazione
Introduzione
Un tuffo nel mondo del visual journalism
(Per un visual journalist l'immagine è il contenuto)
Visual journalism, introduzione agli immaginari
(L'evoluzione degli immaginari; Verso gli immaginari post-web; L'immaginario post-web approda al visual journalism; Il fotografo come giornalista del terzo millennio: Ken Schluchtmann)
Cosa raccontano le immagini
(I nuovi ordini delle raffigurazioni cambiano la percezione; Il tempo dell'attenzione: immagini figurative, narrate e in movimento; Le immagini parassita; Le immagini immaginarie; L'etica dell'immagine e del visual journalism: Mariagrazia Villa)
Creativita non e il contrario di notizia
(Le fake images; Visual journalism e social network; Verso un visual journalism autenticamente post-web; Il visual journalism sbarca nei blog: Christiane Bürklein)
Sei principi che un visual journalist deve saper maneggiare
(Dalla storia dell'arte alla visual culture; La tecnica di restituzione delle immagini; Distingui le tipologie di immagini e come funzionano; Muoviti nel web senza essere autoreferenziale; Interessati a quanto vedi; Esplora la tua creatività)
Bibliografia.
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15 settembre 2018

In libreria

 Francesco Pira - Andrea Altinier
 Giornalismi. La difficile convivenza con Fake News e Misiformation
Libreria Universitaria, Roma, 2018, pp.152.
Descrizione
Oggi la comunicazione è in costante evoluzione e questo cambiamento coinvolge anche il mondo dell’informazione e del giornalismo, che sempre più spesso si trovano a dover fronteggiare fake news e misinformation. Mai come oggi, quindi, è necessario riuscire a sviluppare nuovi strumenti, nuovi modelli e nuovi linguaggi che possano rispondere alle esigenze del lettore. Questo manuale, pensato per tutti gli operatori del settore comunicativo, offre un inquadramento teorico preciso dei mass media e un’attenta analisi del profilo dei lettori di oggi. In particolare, è presente un focus sui social network grazie al quale non solo è possibile delineare nuove forme di giornalismo, ma anche le modalità con cui affrontare i cambiamenti in atto, esaminando aspetti come post verità, fake news e misinformation. Nel volume, che vuole essere uno strumento di lavoro, sono presenti anche alcune case-history, in grado di tracciare percorsi comunicativi innovativi e sostenibili.
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12 settembre 2018

In libreria

Voci del verbo Avvenire.
I temi e le idee di un quotidiano cattolico. 1968-2018
a cura di Alessandro, Zaccuri
Vita e Pensiero, Milano, 2018, pp. 192.

Descrizione
Nato nel 1968 su iniziativa di Paolo VI e nello spirito del Concilio Vaticano II, da mezzo secolo il quotidiano Avvenire è una presenza forte e riconoscibile nel dibattito pubblico del nostro Paese. Una presenza che, come sottolinea il cardinale Gualtiero Bassetti nella prefazione a questo volume, viene a coincidere con la vocazione stessa del cristiano nel mondo.
I contributi raccolti in "Voci del verbo Avvenire" non intendono celebrare il passato, ma si presentano come occasioni di riflessione e di approfondimento sui temi che, fin dall’inizio, hanno caratterizzato l’impegno del quotidiano cattolico. Dall’analisi degli avvenimenti internazionali al racconto della società italiana, dall’esigenza di giustizia alla necessità di confrontarsi con i progressi della scienza, dal ruolo che la Chiesa è chiamata ad assumere nell’attuale «cambiamento d’epoca» agli sviluppi del confronto culturale, Avvenire si pone e intende continuare a porsi come strumento di dialogo tra posizioni differenti e, nello stesso tempo, come punto di riferimento per una comprensione consapevole e informata dei “segni dei tempi”. L’obiettivo è fornire «una testimonianza corale», come la definisce il direttore Marco Tarquinio, che renda conto della bellezza di dire e fare «il futuro ogni giorno». 

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10 settembre 2018

In libreria

Gianluca Costantini,
Fedele alla linea. Il mondo raccontato dal Graphic Journalism
 BeccoGiallo, Padova, 2018, pp. 312.
Descrizione
Sappiamo ricordare il presente? Sembra che tutto passi, senza lasciare neanche una traccia. E per non perdersi nel bosco del passato prossimo, che è anche artefice del nostro futuro, Gianluca Costantini traccia linee che raccontano il reale. Si tratta di Graphic Journalism, che spazia dal reportage all’articolo di commento su argomenti nazionali e internazionali. Dalla zanzara Zika a Putin, dall’ascesa dei grillini a Parma agli attentatori di Charlie Hebdo, la matita di Costantini cartografa in modo puntuale e senza interferenze gli eventi. Una geografia delle vite, che è appunto una scienza che nasce disegnando il mondo. Pubblicate in riviste internazionali, quotidiani, blog, condivise dagli attivisti per i diritti umani, le storie del disegnatore e attivista ci permettono di ricomporre un mosaico frantumato, rimanendo appunto “fedeli alla linea”.

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07 settembre 2018

In libreria

Carola Frediani
Guerre di Rete
Laterza, Bari-Roma, 2018, pp.  184  (II edizione).

Descrizione
Nove storie vere – tra hacking di Stato, spionaggio, ricercatori a caccia di software malevoli, gruppi parastatali o schiettamente criminali, persone comuni e inconsapevoli coinvolte – che ci raccontano come la Rete si stia trasformando in un vero e proprio campo di battaglia. La fotografia densa di
un presente inquietante e contraddittorio che potrebbe trasformarsi a breve
in un futuro distopico. Dai retroscena sulla prima ‘arma digitale’ usata da hacker al soldo dei governi per sabotare un impianto industriale ai ricercatori di cyber-sicurezza finiti al centro di intrighi internazionali degni di James Bond; dai virus informatici usati per le estorsioni di massa fino al mercato sotterraneo dei dati personali degli utenti. Guerre di Rete racconta come Internet stia diventando sempre di più un luogo nel quale governi, agenzie, broker di attacchi informatici e cyber-criminali ora si contrappongono, ora si rimescolano in uno sfuggente gioco delle parti. A farne le spese sono soprattutto gli utenti normali – anche quelli che dicono «non ho nulla da nascondere» –, carne da cannone di un crescente scenario di (in)sicurezza informatica dove ai primi virus artigianali si sono sostituite
articolate filiere cyber-criminali in continua ricerca di modelli di business e vittime da spolpare. In questo contesto emergono costantemente nuove domande. La crittografia è davvero un problema per l’antiterrorismo? Quali sono le frontiere della sorveglianza statale? Esiste davvero una contrapposizione tra privacy e sicurezza? Carola Frediani scava in alcune delle storie più significative di questo mondo nascosto, intervistando ricercatori, attivisti, hacker, cyber-criminali, incontrandoli nei loro raduni fisici e nelle loro chat.

A che cosa servono i critici?”


“Qual è lo scopo della critica? A che cosa servono i critici?”
Il lavoro di Anthony O. Scott, giornalista a capo della sezione critica del New York Times, si apre su questi interrogativi. La ricerca della risposta passa tanto dalla rievocazione di episodi vissuti in prima persona dall’autore, quanto dall’analisi di fatti storici o di attualità in qualche modo legati all’ambito dell’arte e, quindi, della critica. Scott ritiene infatti che arte e critica intrattengano tra loro un rapporto tanto complicato quanto inestinguibile: all’apparenza opposte l’una all’altra, vivono in realtà in simbiosi, come due diverse facce di una stessa medaglia.

È inevitabile, dunque, che nel parlare della critica, un lungo discorso venga fatto anche sull’arte. Arte in tutte le sue forme, ma con una particolare attenzione all’arte visiva contemporanea, alle performance artistiche e al senso di stupore e confusione che sono in grado di suscitare nello spettatore. Basta un breve passo per finire nel vasto e periglioso territorio del gusto, nello scontro-incontro tra le passioni individuali e il “soggettivo universale”, i condizionamenti del contesto. Di nuovo, un passo avanti per inquadrare uno dei compiti della critica, cioè indirizzare gli entusiasmi e stuzzicare l’interesse. Per attendere a questo compito è necessario che il critico svolga il proprio lavoro senza indulgere in immotivate cattiverie o inutili gentilezze, destreggiandosi con i maggiori distacco e obiettivitàpossibili intorno all’opera in esame, senza dimenticare che la base della critica è un genuino interesse per ciò che di questa è oggetto.
La trattazione tocca ancora diversi punti rilevanti, in particolare la percezione pubblica del critico come di qualcuno che svolge un non-lavoro, che vive di una attività che “potrebbe fare chiunque” e perciò inutile – indubbiamente un altro punto in comune con l’arte contemporanea. Non solo, un intero capitolo è dedicato all’errore, alla fallibilità del critico, come chiunque esposto al rischio di sbagliare, di sottovalutare o non cogliere il reale valore di un’opera. Anzi, il critico più di chiunque corre il rischio di essere smentito dal passare del tempo, a causa di punto di vista troppo ravvicinato, che può celare potenzialità o far luccicare cose che oro non sono.
Il saggio richiede una lettura attenta e una grande attenzione per districarsi nella giungla di nomi (artisti, critici, opere) che lo popolano, ma risulta piacevole grazie al sottile umorismo dell’autore, che riesce a snocciolare conoscenze colte e pop in una vertiginosa alternanza, senza mai risultare arrogante o spocchioso. L’importante è non fare l’errore di credere che si arriverà in fondo con delle risposte -alcune di sicuro non mancheranno, ma il lascito più importante di questa lettura sono le domande. Non è infatti casuale la scelta di alternare capitoli argomentativi e capitoli strutturati come un dialogo, con una voce intervistante che diventa sempre più stringente. È a questa sorta di voce narrante che viene affidato il compito di “fare il punto della situazione”, di sottolineare cosa è emerso nel tratteggiare essenza e compiti della critica, ma allo stesso tempo di puntare il dito contro gli aspetti ancora nebulosi e non chiariti. Un esempio lampante di questo doppio ruolo e, allo stesso tempo, dell’approccio dell’autore alla definizione della critica è l’incipit del capitolo conclusivo:

D: Hai detto parecchie cose a proposito della critica – che è una forma d’arte a sé stante; che esiste per esaltare le altre forme artistiche; che è un’attività impossibile; che è vitale e necessaria all’umanità per riuscire a comprendersi; che non potrà mai morire; che è in continuo pericolo di estinzione – e, in maniera più diffusa, hai anche parlato di cosa non è la critica.[…] Ma, a essere sinceri, non sono tuttora sicuro di sapere cosa sia la critica, a meno che non la si intenda come qualsiasi cosa faccia un critico. E in tal caso, cos’è un critico?
R: hai messo il dito nella piaga! La critica è al contempo paradossale e tautologica. È qualunque cosa faccia un critico: tenendo presente che un critico è chiunque, in un dato momento, stia esercitando la critica.”
 Francesca Bosco

 

Anthony O. Scott
Elogio della critica. Imparare a comprendere l’arte, riconoscere la bellezza e sopravvivere al mondo contemporaneo
Il Saggiatore, Milano 2017, pp. 255.

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05 settembre 2018

In libreria


Ambrogio Borsani. 
L' arte di governare la carta. Follia e disciplina nelle biblioteche di casa, 
La Bibliografica, Milano, 2017, pp. 151. 
Descrizione
I libri hanno conosciuto molti spazi abitativi nel corso della storia: gli scaffali delle tavolette di Ebla, gli armari dei rotoli romani, i bauli degli arabi, la grotta di san Girolamo, l'utopica biblioteca di Warburg, le garçonnière per sola carta, le oasi nel deserto della Mauritania... In queste pagine Ambrogio Borsani ripercorre le abitudini, le regole e le follie legate al mondo del libro. Come riuscivano Rabelais e Hemingway a portarsi dietro una biblioteca in viaggio? Come erano sistemati i 50.000 libri di Umberto Eco e in cosa consiste l’ordine geologico di Roberto Calasso? Ma racconta anche cosa succede quando ci si porta in casa 350.000 libri in un colpo, come ha fatto la signora Shaunna Raycraft. E nella letteratura come vengono usate le biblioteche? Thomas Mann, Stendhal, Elias Canetti, Alessandro Manzoni, Jean Paul, Rudolph Töpffer, Robert Musil, Georges Perec, Luigi Pirandello e molti altri scrittori hanno creato straordinarie pagine di letteratura ambientate nelle biblioteche. Ci sono stati inoltre teorici come Melvil Dewey che hanno inventato sistemi per ordinare i libri nelle biblioteche pubbliche. Ma per quelle di casa? Ripercorrendo la storia dell'ordine e del disordine, L’arte di governare la carta indica alcuni criteri per rendere più armonica la convivenza con i libri, soprattutto quando i volumi che chiedono cittadinanza nel nostro appartamento sono troppi.
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02 settembre 2018

Il giornalismo globale di Kapuściński


“Conclusioni? Per fortuna, nessuna: partecipiamo tutti a un processo storico tuttora in atto […]. Non riesco a immaginare che si possa scrivere un libro per cercare di racchiudere il mondo odierno in una formula fatta e finita”.

Con queste parole termina il libro di Kapuściński, il cui unico difetto può forse trovarsi in un eccesso di umiltà da parte dell’autore. Nel turbine della storia, infatti, si presenta come un chiaro e nitido dipinto della situazione storica, ma soprattutto socio-politica, vissuta e documentata dal giornalista originario di Pinks (nell’attuale Bielorussia).
Un capitolo dopo l’altro vengono affrontate le tappe di uno sviluppo globale ma disuguale dei grandi Paesi, e spesso di interi continenti, non soltanto per narrarne le vicende contemporanee, bensì indagando i problemi attuali nei conflitti e nei nodi del passato, e in particolar modo interrogandosi sul futuro.
La lunga esperienza da reporter di Kapuściński certo si riflette nello stile di questo libro ma, come fa notare Krystyna Strączek nell’introduzione all’edizione Feltrinelli del 2009, l’autore non veste i panni ‘semplicemente’ dello scrittore, del cacciatore e narratore di notizie, ma invita anche a riflessioni che trascendono i fatti, proprio riguardo le prospettive future.
È lui stesso a ricordare, nelle prime pagine, che il compito del giornalista non può e non deve essere quello di riportare le notizie senza una personale intromissione. Oltre a risultare impossibile, sarebbe addirittura inutile.
Tuttavia, Kapuściński trova un sorprendente equilibrio proprio tra le maggiori insidie della sua professione: il libro è più di un reportage giornalistico, più di un manuale storico, un po’ meno rispetto a un diario di viaggio ma non asettico, non privo di analisi; analisi che non cede mai alla netta presa di posizione o alla tentazione della stereotipizzazione.
L’Europa dunque, in questo quadro, non è soltanto il vecchio mondo in declino, ma anche un insieme di nazioni ricche di culture e tradizioni che possono trainare il futuro; Russia non è più sinonimo di comunismo, è un immenso stato che sente la necessità di entrare nella discussione globale; gli Stati Uniti vengono messi di fronte a tutte le loro contraddizioni, fatte di bassezze e bellezze; il cosiddetto Terzo Mondo non è un calderone di stati indistinti, caratterizzati da miseria, ostacoli naturali e sfruttamento, bensì conserva importanti risorse e antiche tradizioni, e una forte dignità che tenta di resistere agli attacchi esterni.
Il linguaggio è asciutto ed estremamente scorrevole, il testo non soltanto è diviso in capitoli concisi ma in tanti brevissimi paragrafi, come uno stream of consciousness con la punteggiatura e la lucidità di un giornalista: tutti questi elementi non sottraggono, anzi aggiungono spessore alle riflessioni di Kapuściński.
Infine, è sorprendente la lettura in prospettiva che lo scrittore offre dopo la narrazione degli eventi. Ancor di più è impressionante leggere nel 2018 un libro che è in grado di predire un futuro ancora tormentato per certi continenti, ad esempio per l’Africa, che comprende già lo sviluppo di paesi quali la Cina, o l’India; soprattutto, un libro che vuole mettere in guardia l’Europa circa la pericolosità di combattere, anziché accettare, il multiculturalismo. Questo, infatti, era già evidente per Kapuściński che non potrà essere arginato, o fermato, al contrario, sarà sempre più pregnante nelle società del futuro.
Lucrezia Naso

Kyszard Kapuscinski  
Nel turbine della storia. Riflessioni sul XXI secolo
Feltrinelli, Milano 2015, pp. 191 (Prima edizione 2009).
 

01 settembre 2018

Affrontare l'odio della rete



“Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti” affermò Einstein.
Una profezia ieri, un dato di fatto di oggi.
Viviamo nell’epoca delle chat, delle applicazioni di ogni tipo e per ogni necessità ma soprattutto dei social network, potentissimi mezzi i quali, si potrebbe azzardare, sono diventati essenziali per ognuno di noi, poiché consentono di mantenere contatti e amicizie anche dall’altra parte del globo – anche se incidono molto su quelli vicini: non “essere” su Facebook o Whatsapp significa spesso essere esclusi dal giro quotidiano degli amici.
Ma l’uomo è davvero capace di gestire questa overdose di tecnologia?
Ecco dunque il fulcro dell’analisi di Giovanni Ziccardi nel suo libro L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete; l’analisi dell’altro “lato della medaglia” della potenza digitale, ovvero di come l’avvento di internet abbia modificato la manifestazione dell’odio.
La diffusione della rete, ha reso possibile un dialogo globale e continuativo grazie alle chat, ai blog, ai forum ai quali si può sempre e ovunque accedere tramite gli smartphone. Le persone apprezzano appieno la natura smisurata della rete, poiché si sentono libere di esprimere opinioni e pensieri con una quantità smisurata di interlocutori. Tuttavia questa libertà di comunicazione ha comportato che la rete si costellasse di espressioni di odio, offese di ogni genere, comportamenti ossessivi nei confronti di altri, molestie, bullismo e altre forme di violenza.
Nella sua analisi, l’autore inizia distinguendo in modo netto l’odio online dall’odio tradizionale, facendo riferimento a quattro sostanziali differenze: l’amplificazione, la persistenza, la percezione dell’anonimato di chi odia e l’assuefazione nei confronti dell’odio.
L'amplificazione è l'aspetto più evidente. Usufruendo della rete, il più potente mezzo comunicativo che l’umanità abbia mai avuto, si dilata la diffusione di odio senza averne sempre la consapevolezza. Tantissimi casi riportati dai media riguardanti attacchi “social” sono sfociati, con l’esasperazione delle azioni, nell’ossessività e in vere e proprie persecuzioni anche da parte di gruppi di utenti contro un solo individuo.
All’amplificazione si collega la persistenza. Un’espressione di odio online permane e arreca danni enormi al diretto interessato poiché è molto difficile, una volta pubblicata in rete, cancellarla. Il punto è che prima quando il bullo prendeva di mira il compagno di scuola, tutto cessava nel momento in cui il bambino usciva dalla classe. Al giorno d’oggi invece, con la potenza dei social media, si è perennemente online e alla mercé di un numero potenzialmente infinito di utenti.
La maschera dell'anonimato peggiora la situazione . Nascoste dietro il monitor del computer o lo schermo del telefonino, le persone più insospettabili – civili, educate, rispettose – si sentono “libere” di manifestare un odio che difficilmente esprimerebbero se la propria identità fosse pubblica.
Infine l'assuefazione, ossia il cambiamento che è avvenuto nella concezione di questo sentimento. Prima dell'avvento di internet l'odio, e la sua manifestazione, erano riservati a temi e questioni importanti; oggi invece, perfino gli argomenti più banali riescono a sollevarlo.
La rete quindi risulta essere un mezzo ambiguo, perché permette il contatto tra gli utenti che la utilizzano ma basta poco a farla divenire ambiente di scontro e di inimicizia o, cosa ancora più grave, un contesto per scopi peggiori.
Come comportarsi dunque, di fronte a questo quadro di odio?
L’autore risponde al quesito facendo riferimento principalmente a strumenti extra giuridici, perché non è facile parlare dal punto di vista legislativo su un aspetto preciso ma volatile come l’odio; bisogna inoltre tenere conto che non esiste un ente supervisore incaricato di gestire internet, e quindi non è possibile identificare un’istanza suprema di controllo sull’enorme flusso di dati che lo attraversano. Ne consegue che ogni utente finisce per essere chiamato ad assumersi le proprie responsabilità.
La soluzione dunque sarebbe la conciliazione di tre aspetti fondamentali: l’educazione, la tecnologia e il diritto.
Prima di tutto occorre iniziare ad istruire le nuove generazioni a contrastare le espressioni offensive con il dialogo e la ‘controparola’, abbassando la tolleranza nei confronti di determinati termini.
La tecnologia può poi venire in aiuto: già molto viene fatto per mitigare la violenza online, ma non basta. Non bisogna tuttavia criminalizzare internet, ma perfezionare algoritmi semantici capaci di individuare e trattare le espressioni d’odio, perché non solo questi strumenti automatizzati non sono ancora così sofisticati da poter essere implementati a largo spettro, ma risentono anche della difficoltà di analizzare quelle espressioni di odio non facilmente riconoscibili poiché sottintese o veicolate tramite termini apparentemente non aggressivi.
Infine, il diritto dovrebbe cercare di adeguarsi equilibratamente all’evoluzione tecnologica, senza essere né liberticida, e quindi soffocare la possibilità degli utenti di esprimere le proprie opinioni, né troppo permissivo. A tal proposito è rilevante la differenza, trattata dal Prof. Ziccardi, tra la normativa Europea e la normativa Americana, che permane tutt’oggi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale incominciarono le procedure di ricostruzione del tessuto normativo europeo: in Europa ogni Stato si interrogò sulla possibilità di emanare una legislazione che potesse proibire le espressioni di odio politico, religioso e razziale. Paesi come Stati Uniti e Francia si opposero, perché normalizzare l’ambito dello hate speech avrebbe potuto creare leggi a scapito della libertà di espressione.
 L’analisi di Ziccardi tocca uno degli aspetti più importanti della vita quotidiana dell’uomo: la comunicazione. Questa è stata indubbiamente potenziata e facilitata da internet, influendo significativamente nella gestione dei rapporti umani. La società è profondamente ma soprattutto velocemente cambiata, poiché l’avvento dei social media è stato repentino e non ha dato il tempo di sviluppare dovuti strumenti culturali per usufruirne con responsabilità e cognizione di causa. Purtroppo il binomio irresponsabilità-vigliaccheria caratterizza una grossa percentuale degli utenti, convinti di non essere facilmente tracciabili e individuabili.
Internet si potrebbe definire un mondo a sé che non può essere controllato esclusivamente con la legge. È chiaro come sia necessario qualcosa di più, qualcosa di etico che parta dal profondo di ognuno di noi. Ogni qualvolta ci si immette nella rete si ha la possibilità di usufruire di un potente strumento che può ferire più di una lama, se usato in malo modo; per questo Internet, a parere di chi scrive, è il mezzo che più di tutti mette alla prova il senso di rispetto e responsabilità dell’uomo.
Eugenia Greco

Giovanni Ziccardi
L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016.

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