Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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28 maggio 2019

In libreria

Lucia D'Ambrosi
La comunicazione pubblica dell'Europa.  
Istituzioni, cittadini e media digitali
Carocci, Roma, 2019, pp. 160.
Descrizione
Comunicare l’Europa è un obiettivo strategico e sempre più funzionale a ridisegnare il futuro equilibrio della sfera sovranazionale, a fronte dell’emergere di sentimenti antieuropeisti e nuovi nazionalismi che minano le basi dell’identità europea. Come comunicano oggi le istituzioni europee? Che ruolo svolgono i media digitali? Con quali modalità si esprime la partecipazione dei cittadini nello spazio comunitario? Il volume risponde a queste domande, focalizzando la riflessione sull'accresciuto impatto della comunicazione dell’UE nei diversi e variabili flussi che traggono origine dall'attività istituzionale svolta dagli organi rappresentativi centrali e nazionali e dall'informazione prodotta dai media. Uno scenario contrassegnato da armonie e disarmonie, in cui la dimensione specifica della comunicazione pubblica si configura come parte essenziale del processo di costruzione della governance comunitaria. Il libro si propone come un utile strumento di approfondimento per studenti universitari, studiosi, esperti del settore e per quanti operano nell'ambito delle istituzioni nazionali ed europee per favorire la comunicazione dell’UE.
Link all' Indice del libro.

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26 maggio 2019

“L'ho letto su internet”. L'informazione ai tempi del web


Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, nel saggio Liberi di crederci. Informazione internet e post-verità, ci spiegano che verità e internet non spesso vanno d'accordo.
L'avvento di internet, ma soprattutto dei social network, da un lato ha facilitato l'accesso a una grande massa di informazione senza mediazioni, con l'illusione che questo portasse a una maggiore conoscenza e al trionfo dell'uomo comune, che erode spazio all'élite tradizionale.
L'altra faccia della medaglia però è molto più oscura di quanto ci si aspettasse quando, all'inizio degli anni Novanta, si pensava all'internet come potente mezzo per la diffusione dell'informazione.
Come spiegano gli autori, il problema non sta tanto nel mezzo adoperato (internet e i social network), quanto nell'uso che se ne fa: tanti sono i riferimenti all'interno del testo a meccanismi psicologici e comportamentali con cui l'uomo regola l’assimilazione e la gestione delle informazioni, da sempre.
Si parla di bias (definizione di Martic Haselton, Daniel Nettle e Damian Murray) che guidano l'interpretazione di quello che circonda l'uomo in base alle informazioni che si possiedono.
Si parla di post-truth o pensiero illusorio, entrato nell'Oxford Dictonary nel 2016 e indicato come meccanismo mentale che è parte della natura dell'uomo.
Ma soprattutto si parla di disinformazione: un problema tanto grave al punto che già nel 2013 il World Economic Forum inserisce questo termine (e le sue conseguenze) tra le principali minacce globali.
In questo saggio non vengono raccontate cose nuove, bensì si trattano tematiche ancora oggi molto attuali, sebbene la pubblicazione sia del 2018 (a distanza di un anno la situazione pare essere sempre la stessa). Fake news, fact checking, cyber terrorismo, debunking, citizen journalism sono solo alcuni dei termini che si sentono citare ogni giorno, su tutti i media.
Interessante però come venga sottolineato un punto molto importante: quello che accade su internet è solo un riflesso, amplificato fino a distorcerlo, di ciò che in realtà avveniva già prima della nascita della rete.
I cosiddetti “bias cognitivi”, i pregiudizi che condizionano la nostra vita, accompagnano da sempre l'uomo, tutti i giorni, anche nelle scelte più banali.
Il nostro mondo attuale, fortemente iperconnesso, non fa altro che mettere in luce le debolezze e le potenzialità di un nuovo modo di accedere alle informazioni, un ambiente ricco di incendi digitali alimentati da un altro grave problema: l'analfabetismo funzionale.
Anche questo termine non è nuovo all'interno del “mondo web”: L'Espresso a tal proposito ha dedicato un articolo a questo dramma (non solo italiano) spiegando che “Gli analfabeti funzionali sono sì capaci di leggere e scrivere, ma hanno difficoltà a comprendere testi semplici e sono privi di molte competenze utili nella vita quotidiana. (...) Sono gli analfabeti funzionali, quegli italiani che non sono in grado di capire il libretto di istruzioni di un cellulare o che non sanno risalire a un numero di telefono contenuto in una pagina web se esso si trova in corrispondenza del link “Contattaci”
Molto interessante anche un altro tema che si collega ai bias, una naturale tendenza dell'uomo all'apparire e dare senso alle cose in base a come ci vedono gli altri.
I social network non solo danno spazio alla disinformazione, ma anche a derive narcisistiche e a una continua promozione personale, in cui la celebrità è alla portata di tutti e si ha l'illusione di una democrazia.
Un documento del 2013 della University of Michigan evidenzia che gli utenti sceglierebbero i media in base alle proprie esigenze narcisistiche: piacere, autopromozione, escamotage gratificanti sembrano guidare le stesse dinamiche della produzione e condivisione di informazioni attraverso i social network, spesso a scapito dei contenuti e dei fatti.
La smania di prendere posizione e commentare sul web non risparmia nemmeno i politici, che strumentalizzano i fatti per un ritorno personale, per avere sempre maggior consenso, disinteressati dalle implicazioni etiche e scientifiche che comportano, argomenti che inoltre con la politica c'entrano ben poco.
In un contesto come questo, in cui chiunque può veicolare informazioni, corrette o non corrette (non necessariamente in malafede), in cui tutti possono affermarsi e sfiduciare la figura dell'esperto: con l'avvento dei social la figura del giornalista entra in competizione con i blogger, gli opinion leader, gli youtuber, contendendosi l'attenzione degli utenti.
Il 51° rapporto CENSIS, sulla situazione sociale del paese nel 2017, rivela che gli italiani che leggono quotidianamente giornali cartacei per informarsi durante la settimana sono il 14,7%, mentre si informano su Facebook il 35%.
Non si può fare finta di niente, il mondo dell'informazione è cambiato. Nelle testate giornalistiche online funzionano i titoli “acchiappa click”. I profili ufficiali su Facebook e Twitter competono con alcune fanpage per avere l'interesse degli utenti, inseguendo i loro gusti.
Note testate di moda, benessere, cucina, nei loro spazi web lasciano ampio spazio a prodotti amatoriali o di citizen journalism, accanto al lavoro degli stessi giornalisti.
Questo modello di marketing ormai è parte dell'informazione, con notizie rapide, immediate e facilmente comprensibili. Catturata l'attenzione dell'utente, si passa alla condivisione e la diffusione dei contenuti in maniera quasi automatica, con la conseguenza di rendere virale un argomento, vero o falso che sia.
La lettura di questo saggio può darci un'idea abbastanza pessimistica dell'uso di internet e della dilagante disinformazione. Sembra di essere arrivati a un punto di non ritorno nella gestione delle fake news.
Al di là delle decisioni prese da Emmanuel Macron nel 2018 per creare una nuova legge per ostacolare la diffusione di false notizie su internet, o ancora una soluzione offerta da Mark Zuckerberg per arginare la questione e combattere una battaglia contro “forze oscure che si muovono attraverso la rete”, il lavoro di debunking, di ricerca, di studio, andrebbe attuato anche dal basso.
Sicuramente sarebbe utile per molti affrontare letture come questo saggio per chiarirsi le idee, e ognuno nel suo piccolo cercare di gestire al meglio la marea di informazioni che si incontra ogni giorno sui social.
In questo mondo di ignoranza, bisognerebbe portare avanti a testa alta la conoscenza e la “buona informazione”, anche se con un linguaggio diverso e più adatto al mezzo a cui ci appoggiamo.
Francesca Guglielmero



Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini
Liberi di crederci. Informazione, Internet e postverità

Codice Edizioni, Torino, 2018, 142 pp. 
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22 maggio 2019

L'informazione tra reale e percepito


Nell'era digitale e dell'esplosione delle telecomunicazioni, anche le informazioni sbagliate o false viaggiano alla stessa velocità delle notizie vere e verificate. Questo è uno dei problemi principali che sta alla base della disinformazione contemporanea, e col termine “disinformazione” ci si riferisce alla “falsificazione intenzionale di dati e notizie al fine di manipolare le percezioni di un bersaglio, influenzarne le decisioni”. In questa definizione emerge subito la caratteristica che rende l'attività manipolatoria negativa e pericolosa: l'intenzione dietro all'azione. Dietro ad ogni azione che ha lo scopo di disinformare si nasconde la volontà di qualcuno (industriali, politici, poteri occulti come quello mafioso), che è la volontà di disinformare per i propri scopi personali. In quest'ottica la consapevolezza della presenza di campagne di disinformazione è fondamentale per distinguere fonti, giornali e notizie autorevoli da emittenti che trasmettono notizie false o fallaci. 
Le notizie, per disinformare, non devono essere necessariamente false. Anche notizie vere possono essere deformate o amplificate per modificare la percezione della realtà delle cose; e l'accumulo di notizie simili, non false ma neanche del tutto veritiere, può aggravare la percezione dei lettori creando un clima di sfiducia e di paura. Per evitare questo è importante la conoscenza di certi meccanismi mistificatori; solo con la comprensione di quanto sia facile fare disinformazione è possibile armarsi per contrastarla. 
Cosimo Angelini

Disinformazione e manipolazione delle percezioni. 
Una nuova minaccia al Sistema-paese 
a cura di Luigi Sergio Germani
Eurilink, Roma, 2017, pp. 154.


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16 maggio 2019

In libreria

Lodovica Braida
L'autore assente
L'anonimato nell'editoria italiana del Settecento

Laterza, Roma-Bari, 2019, pp. 224.

Descrizione
L’editoria europea conosce nel corso del Settecento una fase di straordinario fermento: accanto all’estensione del mercato del libro, cresce sempre più l’affermazione della personalità creativa degli autori, e non è un caso che in quegli anni si inizi a riconoscere, almeno in Inghilterra, il diritto d’autore. L’Italia partecipa a questa vivacità intellettuale, ma accanto all’esigenza degli scrittori di affermare la propria identità, si affianca un’altra tendenza, sempre esistita, di segno contrario: la scelta di far circolare le proprie opere in forma anonima. Quali le ragioni dell’anonimato? Il silenzio d’autore è certamente legato a una logica di controllo per i generi su cui pesa il giudizio negativo della censura ecclesiastica. Ma c’è di più: scrivere libri che potevano essere considerati di basso profilo culturale, come molti romanzi o altri libri di larga circolazione, poteva nuocere al buon nome dell’autore. Meglio dunque rifugiarsi nell’anonimato. Un capitolo fondamentale e fin qui poco studiato della storia dell’editoria italiana.
Link all' Indice del libro.

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08 maggio 2019

Disinformazione

"Ci siamo abituati a mangiare il pane duro della disinformazione e siamo finiti prigionieri del discredito, delle etichette e dell'infamia."
Papa Francesco


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