Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



26 maggio 2019

“L'ho letto su internet”. L'informazione ai tempi del web


Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, nel saggio Liberi di crederci. Informazione internet e post-verità, ci spiegano che verità e internet non spesso vanno d'accordo.
L'avvento di internet, ma soprattutto dei social network, da un lato ha facilitato l'accesso a una grande massa di informazione senza mediazioni, con l'illusione che questo portasse a una maggiore conoscenza e al trionfo dell'uomo comune, che erode spazio all'élite tradizionale.
L'altra faccia della medaglia però è molto più oscura di quanto ci si aspettasse quando, all'inizio degli anni Novanta, si pensava all'internet come potente mezzo per la diffusione dell'informazione.
Come spiegano gli autori, il problema non sta tanto nel mezzo adoperato (internet e i social network), quanto nell'uso che se ne fa: tanti sono i riferimenti all'interno del testo a meccanismi psicologici e comportamentali con cui l'uomo regola l’assimilazione e la gestione delle informazioni, da sempre.
Si parla di bias (definizione di Martic Haselton, Daniel Nettle e Damian Murray) che guidano l'interpretazione di quello che circonda l'uomo in base alle informazioni che si possiedono.
Si parla di post-truth o pensiero illusorio, entrato nell'Oxford Dictonary nel 2016 e indicato come meccanismo mentale che è parte della natura dell'uomo.
Ma soprattutto si parla di disinformazione: un problema tanto grave al punto che già nel 2013 il World Economic Forum inserisce questo termine (e le sue conseguenze) tra le principali minacce globali.
In questo saggio non vengono raccontate cose nuove, bensì si trattano tematiche ancora oggi molto attuali, sebbene la pubblicazione sia del 2018 (a distanza di un anno la situazione pare essere sempre la stessa). Fake news, fact checking, cyber terrorismo, debunking, citizen journalism sono solo alcuni dei termini che si sentono citare ogni giorno, su tutti i media.
Interessante però come venga sottolineato un punto molto importante: quello che accade su internet è solo un riflesso, amplificato fino a distorcerlo, di ciò che in realtà avveniva già prima della nascita della rete.
I cosiddetti “bias cognitivi”, i pregiudizi che condizionano la nostra vita, accompagnano da sempre l'uomo, tutti i giorni, anche nelle scelte più banali.
Il nostro mondo attuale, fortemente iperconnesso, non fa altro che mettere in luce le debolezze e le potenzialità di un nuovo modo di accedere alle informazioni, un ambiente ricco di incendi digitali alimentati da un altro grave problema: l'analfabetismo funzionale.
Anche questo termine non è nuovo all'interno del “mondo web”: L'Espresso a tal proposito ha dedicato un articolo a questo dramma (non solo italiano) spiegando che “Gli analfabeti funzionali sono sì capaci di leggere e scrivere, ma hanno difficoltà a comprendere testi semplici e sono privi di molte competenze utili nella vita quotidiana. (...) Sono gli analfabeti funzionali, quegli italiani che non sono in grado di capire il libretto di istruzioni di un cellulare o che non sanno risalire a un numero di telefono contenuto in una pagina web se esso si trova in corrispondenza del link “Contattaci”
Molto interessante anche un altro tema che si collega ai bias, una naturale tendenza dell'uomo all'apparire e dare senso alle cose in base a come ci vedono gli altri.
I social network non solo danno spazio alla disinformazione, ma anche a derive narcisistiche e a una continua promozione personale, in cui la celebrità è alla portata di tutti e si ha l'illusione di una democrazia.
Un documento del 2013 della University of Michigan evidenzia che gli utenti sceglierebbero i media in base alle proprie esigenze narcisistiche: piacere, autopromozione, escamotage gratificanti sembrano guidare le stesse dinamiche della produzione e condivisione di informazioni attraverso i social network, spesso a scapito dei contenuti e dei fatti.
La smania di prendere posizione e commentare sul web non risparmia nemmeno i politici, che strumentalizzano i fatti per un ritorno personale, per avere sempre maggior consenso, disinteressati dalle implicazioni etiche e scientifiche che comportano, argomenti che inoltre con la politica c'entrano ben poco.
In un contesto come questo, in cui chiunque può veicolare informazioni, corrette o non corrette (non necessariamente in malafede), in cui tutti possono affermarsi e sfiduciare la figura dell'esperto: con l'avvento dei social la figura del giornalista entra in competizione con i blogger, gli opinion leader, gli youtuber, contendendosi l'attenzione degli utenti.
Il 51° rapporto CENSIS, sulla situazione sociale del paese nel 2017, rivela che gli italiani che leggono quotidianamente giornali cartacei per informarsi durante la settimana sono il 14,7%, mentre si informano su Facebook il 35%.
Non si può fare finta di niente, il mondo dell'informazione è cambiato. Nelle testate giornalistiche online funzionano i titoli “acchiappa click”. I profili ufficiali su Facebook e Twitter competono con alcune fanpage per avere l'interesse degli utenti, inseguendo i loro gusti.
Note testate di moda, benessere, cucina, nei loro spazi web lasciano ampio spazio a prodotti amatoriali o di citizen journalism, accanto al lavoro degli stessi giornalisti.
Questo modello di marketing ormai è parte dell'informazione, con notizie rapide, immediate e facilmente comprensibili. Catturata l'attenzione dell'utente, si passa alla condivisione e la diffusione dei contenuti in maniera quasi automatica, con la conseguenza di rendere virale un argomento, vero o falso che sia.
La lettura di questo saggio può darci un'idea abbastanza pessimistica dell'uso di internet e della dilagante disinformazione. Sembra di essere arrivati a un punto di non ritorno nella gestione delle fake news.
Al di là delle decisioni prese da Emmanuel Macron nel 2018 per creare una nuova legge per ostacolare la diffusione di false notizie su internet, o ancora una soluzione offerta da Mark Zuckerberg per arginare la questione e combattere una battaglia contro “forze oscure che si muovono attraverso la rete”, il lavoro di debunking, di ricerca, di studio, andrebbe attuato anche dal basso.
Sicuramente sarebbe utile per molti affrontare letture come questo saggio per chiarirsi le idee, e ognuno nel suo piccolo cercare di gestire al meglio la marea di informazioni che si incontra ogni giorno sui social.
In questo mondo di ignoranza, bisognerebbe portare avanti a testa alta la conoscenza e la “buona informazione”, anche se con un linguaggio diverso e più adatto al mezzo a cui ci appoggiamo.
Francesca Guglielmero



Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini
Liberi di crederci. Informazione, Internet e postverità

Codice Edizioni, Torino, 2018, 142 pp. 
____

Nessun commento:

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.