Pino Corrias
Vanity Fair, 10 luglio 2008
Tolti i pregiudicati, due sole categorie di persone dovranno depositare in un archivio le proprie impronte digitali: i bambini Rom, secondo i voleri del ministro degli interni Bobo Maroni che li vuole schedare per il loro bene e il nostro; e i deputati della Repubblica, come ha appena stabilito il loro presidente Gianfranco Fini.Esiste dunque almeno una equivalenza tra questi due gruppi di cittadini, i bimbi Rom e i deputati, almeno secondo i nuovi cupi standard dell’Italia berlusconiana. E non sarà facile stabilire chi dei due si sentirà più offeso: se i futuri “uomini in sé”, che intendono vivere come nomadi senza territorio, o se i politici di professione che intendono vivere stanziali come “onorevoli in sé” nei territori ben remunerativi dei collegi elettorali.La ragione che li accomuna è con tutta evidenza un torto: il furto. Per essere precisi: il furto di identità. Gli zingarelli perché ne rifilano sempre una nuova (e inventata) ogni volta che vengono pizzicati sui marciapiedi a mendicare. E i deputati perché se le moltiplicano (le identità) quando al momento del voto in aula si improvvisano pianisti e votano due, tre volte, pigiando illegalmente i pulsanti dei vicini assenti. In capo a qualche mese il nuovo sistema di votazione a Montecitorio identificherà ogni singolo polpastrello, impedendo i brogli con le repliche. Da quel giorno in poi non ci sarà più il dubbio di un errore quando ognuno di loro voterà l’altra legge sulle impronte. La prima costerà più o meno 400 mila euro in nuovi macchinari ad alta tecnologia. La seconda infinitamente di più per colpa di quel veleno sociale già messo in circolo una volta, con le leggi razziali del 1938, in piena Italia fascista, quando si avviò la schedatura degli ebrei. Anche allora dicendo che era per il loro bene e il nostro.
Tolti i pregiudicati, due sole categorie di persone dovranno depositare in un archivio le proprie impronte digitali: i bambini Rom, secondo i voleri del ministro degli interni Bobo Maroni che li vuole schedare per il loro bene e il nostro; e i deputati della Repubblica, come ha appena stabilito il loro presidente Gianfranco Fini.Esiste dunque almeno una equivalenza tra questi due gruppi di cittadini, i bimbi Rom e i deputati, almeno secondo i nuovi cupi standard dell’Italia berlusconiana. E non sarà facile stabilire chi dei due si sentirà più offeso: se i futuri “uomini in sé”, che intendono vivere come nomadi senza territorio, o se i politici di professione che intendono vivere stanziali come “onorevoli in sé” nei territori ben remunerativi dei collegi elettorali.La ragione che li accomuna è con tutta evidenza un torto: il furto. Per essere precisi: il furto di identità. Gli zingarelli perché ne rifilano sempre una nuova (e inventata) ogni volta che vengono pizzicati sui marciapiedi a mendicare. E i deputati perché se le moltiplicano (le identità) quando al momento del voto in aula si improvvisano pianisti e votano due, tre volte, pigiando illegalmente i pulsanti dei vicini assenti. In capo a qualche mese il nuovo sistema di votazione a Montecitorio identificherà ogni singolo polpastrello, impedendo i brogli con le repliche. Da quel giorno in poi non ci sarà più il dubbio di un errore quando ognuno di loro voterà l’altra legge sulle impronte. La prima costerà più o meno 400 mila euro in nuovi macchinari ad alta tecnologia. La seconda infinitamente di più per colpa di quel veleno sociale già messo in circolo una volta, con le leggi razziali del 1938, in piena Italia fascista, quando si avviò la schedatura degli ebrei. Anche allora dicendo che era per il loro bene e il nostro.
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