Un mese dopo la marcia su Roma, un giovane torinese di 21 anni, pubblicava su una rivista da lui stesso fondata un programma morale dall'attualità disarmante:
"Non possiamo star neutrali, non possiamo rimanere in benevola attesa, neanche un istante. Mai come oggi c'è stato bisogno di critica libera e coraggiosa. "La Rivoluzione Liberale" uscì l'altra settimana mentre ancora non si sapeva se chi parlava aperto sarebbe stato perseguitato e condannato. Uscì parlando aperto. E' diventata da allora un simbolo. Siamo rimasti quasi soli ad avere la responsabilità della formazione delle nostre classi dirigenti. Sentiamo la delicatezza, la gravità del compito.
Fra tanti ciechi siamo condannati a vedere; fra tanti illusi dobbiamo essere consci di tutta un'esperienza storica e attuale. Non è lecito guardare con fiducia esperimenti che la storia ci addita dannosi, e far credito a uomini che tutti sappiamo impreparati e incapaci di costruire in Italia una coscienza moderna.
Sentiamo le difficoltà quasi insuperabili che la nuovissima tirannide impone al nostro lavoro. I partiti di massa si sono dimostrati inferiori alle loro funzioni. Gli uomini politici sono stati tutti liquidati. La salvezza verrà dal movimento autonomo che gli operai contrapporranno alla presente tirannide. In mezzo alle orge dei vittoriosi riaffermiamo che lo spirito della rivoluzione e della libertà non si potrà uccidere. Si possono bruciare le Camere del lavoro: non si distrugge un movimento operaio che è nato insieme col Risorgimento nazionale". - Piero Gobetti
*dal numero 33 della rivista "La Rivoluzione Liberale" (novembre 1922).
Simona Tarzia
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