Il nuovo libro di Giorgio Zanchini in
apertura si propone come un percorso
di nascita, evoluzione e decadenza del giornalismo culturale. Scritto con
immediatezza e semplicità nei primi capitoli affronta la spinosa
definizione di cultura, che risulta attualmente essere definita sia come la “sfera delle attività artistiche e
intellettuali che presuppongono ingegno”, sia come “l’insieme di atteggiamenti,
norme, valori, credenze, rappresentazioni di collettività umane presente in
tutti i gruppi e gli strati sociali”.
L’esauriente chiarimento della
materia trattata è seguito da un dettagliato e avvincente sunto storico che
evidenzia in modo mirato le tappe più significative dell’evoluzione del
giornalismo, compreso quello culturale, individuando nel Settecento la culla
della stampa popolare con le prime riviste femminili e i periodici di
intrattenimento. Viene poi affrontato capillarmente il periodo del XIX secolo
in cui il boom della penny press americana e delle gazzette inglesi lancia un
nuovo modo di fare giornalismo. Nello stesso periodo ricorda, con dovizia di
particolari, l’ascesa delle riviste di settore e soprattutto il cambio di
mentalità degli editori per i quali la stampa diviene una fonte di guadagno non
indifferente viste le nuove generazioni alfabetizzate e assetate di notizie a
cui risponde l’innovazione tecnologica.
Grande importanza viene
data alla nascita della terza pagina in Italia, vera e propria incubatrice
dell’articolo culturale. Sul Giornale
d’Italia infatti viene riservata la terza pagina, delle sei che comprendeva,
ad articoli legati alla critica artistica e letteraria. Se in un primo momento
è servito un po’ di assestamento, una volta preso l’avvio questa iniziativa
diviene fiore all’occhiello di un giornalismo nazionale fin troppo fossilizzato
sull’educazione politica. Alle terze pagine dei vari quotidiani ottocenteschi partecipano le grandi
firme della letteratura come Grazia Deledda e Gabriele D’Annunzio; ciò porta anche alla luce la
scarsa considerazione che essi provavano per la professione giornalistica.
Arrivati a questo punto
della lettura si percepisce un cambiamento di atmosfera. Dalla rincorsa
attraverso i secoli fino all’apice della stampa culturale si giunge ad un
momento di impasse, caratterizzato dall’appiattimento degli articoli culturali,
sempre meno esclusivi e stilisticamente distinti, per poi riprendere il ritmo
in una discesa che pare senza freni.
Dalla seconda metà del
Novecento, causa i mutamenti politici e
culturali avvenuti globalmente, lo spazio dedicato alla cultura cambia. Tra
polemiche e frigidi ritorni al passato gli anni Cinquanta segnano un punto di non ritorno per
l’elzeviro e tutto il novero di
articoli di cultura.
Scompaiono le recensioni
dei libri, sostituite dai supplementi che vengono venduti insieme ai quotidiani
nei giorni festivi, latitano le critiche musicali e teatrali che compaiono
sporadicamente in qualche trafiletto di riempimento, per non parlare dei
reportage di viaggio che già molto prima hanno attirato l’attenzione solo
grazie alla loro assenza.
Zanchini qui si sofferma,
come a prendere fiato dopo la discesa a rotta di collo, sulle possibili cause
della “morte della terza pagina”. La rivalità tra scrittori e giornalisti è
sempre stata un punto caldo nelle redazioni proprio a causa della
partecipazione dei primi alla stesura degli articoli che figuravano in terza
pagina affiancati ai diari di viaggio di reporter sparsi per il globo in quella
che può essere definita un’avventura collettiva. L’autore però non crede, come
me peraltro, che la causa del
mutamento/decadimento del giornalismo culturale sia da riconoscere nella sana
rivalità tra scrittori puri e giornalisti ma piuttosto nell’avvento delle
televisioni, delle radio e infine, nell’ultimo decennio, di internet. Nell’arco
di una quarantina di anni lo scenario della comunicazione è completamente
cambiato.
Con la televisione i
programmi di intrattenimento surclassano la stampa culturale, l’ascesa delle
radio e dei programmi radiofonici dedicati al teatro e alla musica ruba un’altra
importante fetta di informazione al giornalismo da terza pagina che, privato dei
suoi cavalli di battaglia, si adagia in tiepidi articoli che spesso vengono
bellamente ignorati dai lettori più interessati alle inchieste e alla politica.
La crisi della carta
stampata è frutto della nascita dell’infotainment, che attraverso radio e
televisioni surclassa in immediatezza e
coinvolgimento i quotidiani e i periodici.
L’avvento di internet ha
definitivamente cambiato il modo di fare giornalismo e di vivere la
trasmissione di notizie perché se attraverso i media del Novecento la
circolazione di dati era prevalentemente unilaterale, adesso il rapporto tra
media e fruitori si è trasformato in un rapporto simbiotico di interscambio.
I giornali hanno fatto un
salto qualitativo trasferendo parte degli investimenti della redazione in una
conquista di spazi web per interagire con la quasi totalità dei visitatori
della rete. Qui Zanchini evidenzia l’attività di consulta e monitoraggio che i
deskisti effettuano sui blog aperti e aggiornati da comuni cittadini.
Se nell’Ottocento i luoghi
di cultura e dibattito sulle novità erano i Caffè o i circoli privati e durante
il Novecento l’unilateralità della Terza Pagina ha in qualche modo sopito lo
scambio di idee tra i lettori, ecco che nel XXI secolo rinascono i dibattiti
tra privati cittadini, stavolta non nei caffè o nei salotti, ma sul web, dove è
possibile trasmettere le proprie opinioni ad un pubblico esponenzialmente più
vasto. Ad un pubblico globale.
In tutto questo
travagliato cambiamento, il giornalismo culturale ha cambiato maschere, vesti,
forme ed espressione fino a giungere ai giorni nostri completamente diverso
rispetto alla nascita.
Adesso non esiste più
l’articolo culturale o l’elzeviro, adesso la cultura permea l’intero
quotidiano, l’intera macchina dell’informazione: dall’impaginazione dei
giornali, alla gerarchizzazione delle notizie; dall’agenda setting al
linguaggio usato in radio o in
tv, dalle fotonotizie in prima pagina ai filmati dei giornali web.
Cultura non è più solo
critica o scoperta o prodotto dell’ingegno umano, è tutto ciò che attira
l’interesse del pubblico perché parla del pubblico e per il pubblico.
Nelle sue conclusioni, un
poco frettolose Zanchini riconosce che la professione di giornalista culturale,
un tempo ben definita e con incarichi precisi, adesso è invece una
macrocategoria che comprende quasi l’intero entourage della redazione che però
non è più caratterizzato dalla specializzazione personale.
Esiste ancora il
giornalismo culturale in senso stretto? L’autore lo individua talvolta nelle riviste,
nei periodici, spesso in radio e nell’ultimo biennio anche in televisione ma la
terza pagina del quotidiano, scivolata nel tempo sempre più indietro, si può
dire quasi perduta e sicuramente priva di quell’originalità e dello spessore
artistico che la designavano punta di diamante del giornalismo culturale
europeo.
Nel complesso Zanchini
riesce a mantenere un linguaggio semplice e fresco affrontando i vari argomenti
con semplicità riuscendo ad attirare l’attenzione sui punti essenziali della
trattazione.
Ho trovato stimolante sia
lo stile sia la semplicità di questo piccolo trattato, nato, a detta
dell’autore, più per fare chiarezza tra i “non addetti ai lavori” che tra i
giornalisti.
Marta Gaggero
Giorgio Zanchini
Il
giornalismo culturale
Roma, Carrocci, 2013,
160 pp. (nuova edizione)
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