Domenica pomeriggio in una tranquilla cittadina di provincia. Una manciata di ragazzini gioca nel cortile sotto casa. Questo è normale. Giocano alla guerra. Anche questo è abbastanza usuale. All’improvviso uno di loro grida: “Bruciamolo! Bruciamolo!” E questo è meno banale. Ai ragazzi chiedo perché vogliono bruciare quel loro amico. La risposta è lacerante: “Perché è nostro prigioniero! Perché noi siamo i più forti come quelli vestiti di nero che abbiamo visto in tv!”.
L’emulazione è
prodotto pericoloso, capace di dissesto mentale anche in tenera età. Questi non
sono ragazzi di strada. Sono figli di gente perbene. Vanno a scuola, fanno i
compiti, vanno in vacanza, praticano sport. Ragazzi normali. Ma nella loro
mente esiste qualcosa che si prende gioco dei loro sentimenti come della loro
ingenuità. È la voglia di imitare il racconto del mondo visto attraverso la
televisione o internet. Il mondo degli adulti. Di quegli adulti che molto
spesso li parcheggiano davanti a tv e web senza la dovuta attenzione. Così i
ragazzi raccontano storie di torture. Inventano scenari di guerra. Provano armi
su palcoscenici virtuali. Fino a quando costruiscono il loro film. Che passa
dal loro immaginario al mondo reale con la rapidità di un tweet.
Basta poco per
imprimere nella loro memoria scene di orrore. Talmente poco che la torcia umana
chiusa in una gabbia del pilota giordano arso vivo dall’Isis, ora visibile da
chiunque su internet, è già diventata oggetto di gioco. Certamente svago poco
creativo.
Comunicare gli
orrori delle guerre è un dovere dell’informazione. Fare vedere certe immagini
di quegli stessi orrori è scelta mediatica, non culturale. Se si deve
raccontare di un uomo arso vivo, non servono foto o video per immaginare
l’efferatezza di quell’azione. Non si aggiunge niente al raccapriccio facendolo
vedere. Anzi, si toglie qualcosa. La possibilità di immaginare che non sia
vero, la speranza che l’uomo non sia capace di essere proprio così bestiale. Ma
la legge dell’audience e del video “più-cliccato” fanno della
video-documentazione un pretesto per aumentare il fatturato. Se è apprezzabile
la scelta di Mentana nel tg La7 di non mostrare quel filmato, non si capisce
come nella stessa rete, in prima serata, Servizio Pubblico di Santoro sceglie
di annunciare che il video integrale è reperibile sul web. Per prendere
coscienza delle atrocità della guerra e dei mostri che la combattono è forse
indispensabile fare vedere il corpo carbonizzato di un uomo e sentire le sue urla
mentre brucia vivo? Non si rischia di fare un favore alla propaganda dell’Isis
divulgando immagini così terribili? Dietro la libera fruizione
dell’informazione non si annida il gusto estremo per un sadismo perverso? Eh,
già! Un film dell’orrore fa molti più incassi se tratto da una storia vera. Ma
non è solo questo.
“Se avesse potuto comunicare così oggi che
mondo sarebbe?” è lo slogan di un bellissimo spot di dieci anni fa per la
Telecom. Lo spot è ricordato per le parole e la voce originale di Gandhi che
dalla sua povera capanna, attraverso l’occhio di una webcam, proietta la sua
idea di pace tra i popoli in tutto il mondo, finendo sullo schermo di un
computer, sul video di un cellulare, sul maxischermo di Time Square a Londra e
della Piazza Rossa a Mosca. Chissà se Spike Lee, mentre girava lo spot, avrebbe
immaginato cosa, dopo dieci anni, sui maxischermi che, nella sua idea, volevano
sembrare fondamentali per cambiare il corso della storia, si sarebbe
proiettato. Siamo a Raqqa, in Siria, dove all’agghiacciante spot del pilota
giordano Moaz al-Kasasbeh arso vivo, assiste una folla di sostenitori dell’Isis
che applaudono festanti mentre le fiamme lo inghiottono. Un’esecuzione in
diretta. Ora visibile anche on demand
sul computer di casa. Al macabro spettacolo assistono anche bambini. Uno di
essi, di soli sei anni, dichiara: “voglio catturare i piloti e bruciarli”. Come
i ragazzi nel cortile sotto casa la domenica pomeriggio.
Comunicare la
guerra, purtroppo, si deve. Comunicare l’orrore, per fortuna, si può evitare. È
ora che anche l’informazione ne diventi consapevole.
La propaganda
di guerra è una macchina terribile. Una volta messa in moto non si ferma più. Nemmeno
davanti agli occhi dei bambini. Così, ad essere bruciata non è solo la vita di
un uomo, ma è l’anima di quei bambini che guardano la follia omicida degli
adulti scambiandola per forza. Bambini che sentono le urla di dolore di chi
arde vivo ma non il puzzo fetido della viltà di chi li indottrina. Bambini che
vanno a dormire senza favole e senza sogni. Con la morte negli occhi.
Anna
Scavuzzo
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