Chiamami, se vuoi, profugo o clandestino. Migrante o
richiedente asilo.
Ma io sono solo una Persona. Impaurita. Disperata. Alla
vitale ricerca della propria libertà.
Ho strappato alla guerra un sogno. Era sospeso sul mare,
mentre scivolavo piano su una barca e lasciavo che la mia terra venisse sepolta
nei ricordi. Mi trascino dietro tutti i pianti e il dolore della mia gente.
Pesante bagaglio pescato tra la puzza e il fango di un campo dove il mio corpo
randagio ha perso ogni dignità.
Già, la dignità. Quella che per voi europei è divenuta
banale merce di scambio. Barattata al miglior offerente per qualche scambio
commerciale in più. Mentre voi capi di stato vi riunite a più riprese in
eleganti palazzi, io traghetto la mia vita invisibile dentro a questo fradicio
campo. Qui, la solitudine affoga nella melma. Qualcuno la chiama accoglienza.
Per mesi ho amato il mio avanzare lento ma ostinato, prima
sull’onda, poi sulla zolla. Ho ascoltato pulsare il vostro cuore europeo
nell’attesa di un qualsiasi segnale. Ho aspettato. Ho sperato. Ho pregato. Ho
implorato. Fino a capire di non essere approdato a nessun porto. Fino a non
chiedermi più dove sono. Perché ora, per voi, più non sono profugo. Nemmeno
migrante. Nemmeno europeo. Nemmeno persona. Sono solo un problema. Argomento
preferito dei talk-show. Narrazione quotidiana nei giornali. Qualche volta,
sembro persino essere importante per la campagna elettorale del politico di
turno.
Tu non sai quanto ho frugato in quella perenne linea d’ombra
che mi separa dall’essere come te. Parte di te. Futuro con te. Ma in quella
oscurità dell’anima non c’è luce e tu non mi hai riconosciuto. Mi hai perso
mentre ti tendevo la mano, nell’intermittenza di una breve illusione. Come se
Europa fosse una parola solo intuita e mai finita. E all’improvviso sono
rimasto fuori dal vento, con un pensiero fisso e vagante. Essere cittadino
dello stesso stato. Come te.
Così, mio malgrado, ho scelto fuga e sopravvivenza come
estremità della stessa strada. Senza immaginare che ora, su quella strada, tu
europeo ci passi con la ruspa. Per allontanarmi o escludermi.
Ora sono in bilico sull’orlo di un muro di filo spinato. Ho
la febbre della paura. Sono sfinito. Non ho più sogni e non spero più in un
miracolo.
Ora, Europa, sono il tuo schiavo preferito. Venduto.
Sfruttato. Denigrato. Perseguitato. Rimpatriato. Deportato.
Posso solo affondare nella magica eloquenza dei tuoi
discorsi che hanno il sapore delle libertà negate. Delle canzoni un po’stonate
cantate da un dio senza più voce. Afono di idee e di pace.
Attento, caro europeo. Potresti inciampare in un popolo che
vuole ancora capire e pensare. Potresti cadere nello stesso fango dove per anni
ho alloggiato io. Potresti provare il freddo e la fame sotto una tenda piena di
indifferenza. Anche il mio sguardo, allungato dietro la scia di una barca che
aspetta, potrebbe darti noia e ricordarti che un giorno anche tu sei partito o
potresti partire.
Forse l’apparire sui media a tratti, tra incroci di vuoti e
pieni, ti fa sentire quel senso di vaghezza che fa sembrare ogni cosa migliore.
Persino più giusta. Come giustificare la guerra. Inutile boa per rimanere a
galla quando ci si dimentica di essere tutti persone e si crede di diventare
eroi ricostruendo muri e frontiere.
Sai, caro europeo, vorrei avvolgere tutto in un estremo
silenzio affinché tu possa avvertire ogni mio tormento, ascoltare ogni pianto
di bambino, percepire ogni sussurrato lamento, vedere ogni donna partorire e
ogni anziano, da solo, morire.
Chissà se questo ti farà consumare il piacere di una
scoperta. Solcando il limite dell’ombra. Con le vele alzate e le braccia tese.
Aperte verso di noi. Persone come te.
Condannati a migrare tra l’inferno della guerra e un’Europa
che non c’è.
Se solo tu riuscissi a guardare là dove la luce rimbalza
sull’acqua e illumina la parte più amara dell’essere umano. Con la volontà di
rovistare ancora nel respiro di questo abisso, alla ricerca del tuo essere
fratello. Carne e sangue dello stesso continente.
Prova a rimanere immobile mentre il tuono dell’onda sale
dentro al cervello. Senza la paura di cadere trascinato da quella grande forza
che è la libertà. Prova a cogliere la sfumatura del mio stesso sogno di vita.
Sarai il pulsare continuo di un gioco luminoso che resiste ad ogni tempo, ad
ogni strazio, ad ogni infamia.
Sarai Persona. Come me.
Anna Scavuzzo
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