“L’appello alle emozioni e alle
convinzioni personali, il tutto condito da abili menzogne, è una pratica
antica. Antica come la caccia al consenso. Antica come l’istinto
propagandistico. […] Saper emozionare e suggestionare, è sempre stata la via
maestra di chiunque abbia dovuto convincere una folla.”
C’è
sempre stata una netta differenza tra la realtà politica e sociale dell’Italia,
e l’immagine che del paese è stata data agli elettori: per questo si parla di
Italia “immaginaria”, un paese artificioso, ricostruito, in qualche modo
riletto secondo gli intenti e i voleri del politico di turno che nella sua
caccia al consenso sceglie come vittime sacrificali talvolta quella
rappresentazione del vero, talvolta quell’altra, a seconda del momento storico.
E’ questo argomento, fatto di trame politiche e di manipolazione della realtà,
che Fabio Martini affronta nel suo “La fabbrica delle verità. l’Italia
immaginaria della propaganda da Mussolini a Grillo”, con il tono critico e il
linguaggio chiaro del giornalista che vuole condannare e allontanarsi dai
termini difficili e insidiosi del “politichese”, come egli stesso lo definisce.
Muovendosi
con accurati passi nel passato più difficile del nostro paese, Martini torna
all’epoca dell’instaurazione del fascismo, mettendo in luce il modo in cui
Benito Mussolini -un giornalista militante, dunque un uomo ben consapevole
dell’influenza che la stampa poteva avere sul popolo- abbia ben operato per far
sì di avere la prima e anche l’ultima parola su ogni singola informazione che
venisse pubblicata su qualunque giornale non solo italiano, ma spesso, per
quanto possibile, anche estero. Usare la stampa come strumento di propaganda
per creare il mito intorno alla propria persona era stato il primo obiettivo di
Mussolini: consapevole che solo con il favore del popolo avrebbe potuto
ultimare la sua opera di fascistizzazione dell’Italia. Propaganda, dunque, e
non certo veritiera: ma efficace, perché gli esseri umani sono sensibili ai
messaggi che ricevono, devono essere in grado di decodificarli per
comprenderli, ma se gli unici strumenti che ricevono sono unidirezionali,
chiaramente la folla viene portata a scegliere il Barabba del momento.
I
nuovi media hanno esasperato e messo maggiormente in luce questo processo, che
oggi viene definito con il termine post-truth,
ovvero post-verità: quella propaganda, quei messaggi codificati, che mirano
ad emozionare, a suggestionare, a “prendere di pancia” gli elettori per
condizionarne le scelte, in un circolo che si ripete oggi come si è ripetuto in
passato.
Nel
suo libro che si pone come stile a metà strada tra un ricco approfondimento
giornalistico e una critica illuminata alla società moderna, Martini mette in
luce la tendenza dei governi a rispolverare antiche tendenze propagandistiche
sfruttando i media maggiormente influenti nell’immaginario collettivo del
momento: con il governo della DC dopo le elezioni del 1948, nel pieno del
secondo dopoguerra segnato da un disfattismo eclatante e da un rigore morale
incredibilmente condizionato dalla chiesa, alle veline di epoca mussoliniana
erano stati sostituiti nuovi decreti con i quali i governi si riservavano di
intervenire sulle pellicole cinematografiche che mostravano troppi lati “veri”
e scomodi di un’Italia da rifare.
Ma
l’avvento della televisione produce anche un altro effetto: durante gli anni
del terrorismo dopo la strage di piazza Fontana a Milano, la realtà irrompe
sulla televisione, e la nuova faccia della politica sarà determinata proprio da
coloro che sapranno cogliere questa innovazione e non avranno timore di utilizzarla.
I
talk show televisivi nel ventesimo secolo sono ciò che la radio e il cinema
erano stati per Mussolini nel ventennio fascista: e Berlusconi cavalca l’onda
delle televisioni private ottenendone un successo che richiama coloro che prima
di lui avevano saputo sfruttare la tecnologia del momento.
I media subiscono un “circolo” che si ripropone sempre
all’alba delle nuove “rivoluzioni” tecnologiche e l’avvento di Grillo e dei
Cinque Stelle ai giorni nostri sono l’ennesima dimostrazione, ci dice Martini,
della veridicità di questo processo. I sistemi di propaganda, la tentazione di
puntare sull’indignazione, sui sentimenti più profondi del popolo, sono sempre
gli stessi: cambiano i mezzi con cui questi stessi procedimenti si mettono in
moto, ma le persone, e il sistema di informazione nel suo complesso, sono
sempre egualmente condizionati da queste verità “costruite” macchinalmente,
perché la propaganda più efficace, chiarisce l’autore, “agisce in modo occulto,
e parla all’inconscio.
Micaela Ferraro
Fabio Martini
La fabbrica delle verità
La fabbrica delle verità
L’Italia immaginaria della propaganda da Mussolini a Grillo
Marsilio editori, Venezia, 2017.
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