La
lettura del saggio La Fabbrica delle
Verità offre una chiave di lettura fondamentale per comprendere la storia
della società italiana tramite il suo “riflesso” più importante, i media. Nel libro di Fabio Martini, inviato de La
Stampa, ritroviamo un’ampia visione
storica del panorama de “L’Italia immaginaria della propaganda da Mussolini a
Grillo” coprendo per tanto quasi un secolo di avvenimenti. L’obbiettivo del
conseguimento del conseguimento e del mantenimento del potere in Italia è stato
raggiunto in diversi modi.
Ogni
volta che una delle forze raggiunge e consolida a lungo il proprio potere si
pone il problema di come indirizzare la popolazione verso gli obbiettivi che si
vogliono raggiungere, giustificare i tagli e le decisioni negative, mostrare
un’immagine più compiacente della realtà alla società e in generale creare una
unità di intenti tra il popolo e la classe dirigente. Strumento fondamentale
per permettere questo passaggio è quello di padroneggiare (se non
monopolizzare) i media e ancor di più comprendere le potenzialità dei nuovi
media che di volta in volta si presentano e coglierne subito i vantaggi. Allo
stesso tempo il racconto dimostra come, inevitabilmente, il consenso sia
momentaneo e di come ogni input avvii il rigetto del modello della classe
dominante e la conquista del potere da parte di nuove forze.
Analizzando
l’evoluzione storica della propaganda e del consenso il libro prende come punto
di partenza il regime di Benito Mussolini. Giornalista (politico) tra i più
affermati prima e durante la Grande Guerra, il Duce una volta al potere pose
subito la carta stampata sotto il suo controllo diretto imponendo le “veline”
ai giornali (modelli e direttive se non articoli già preparati inviati a tutti
i periodici). Si creò così un’immagine del paese finta, ogni notizia di cronaca
nera, avvenimenti e persino bollettini atmosferici venivano nascosti al
pubblico, presentando una immagine ottimistica dell’Italia. Fondamentali per
unire le masse all’unisono col loro “condottiero” anche gli altri media vennero
asserviti alla causa della propaganda. Il teatro, la radio e il cinema furono
monopolizzati e usati per affermare l’immagine del paese. Ma il disincanto
della guerra abbattè il fascismo. Disfattismo e paura ora aleggiavano nella
società, una sfida che i partiti antifascisti dovettero affrontare ma a cui
solo la Democrazia Cristiana saprà gestire.
La
nuova classe dirigente non ricercava un ottimismo a tutti i costi ma puntava
all’alimentazione della paura (specie verso i comunisti e l’Unione Sovietica)
vilipendio del nemico e critica alla decadenza dei costumi, una narcosi della
rappresentazione di tutto ciò che era troppo pessimistico o veritiero. Davanti
alla voglia iniziale di evasione dopo il crollo del regime e di metabolizzare
la realtà povera e vitale della nazione immortalata da grandi registi, la DC
riuscì ad imporre i suoi valori e modellare la società, anche grazie alla
monopolizzazione di un nuovo efficace strumento, la televisione. Proprio la
televisione fu fondamentale per colmare il bisogno di evasione e distrazione
degli italiani ma mantenendola entro i rigidi limiti della cultura
democristiana.
In
seguito le grandi trasformazioni mondiali, dal disgelo ai moti di protesta,
dagli Anni di Piombo alla domanda di maggiore pluralismo nell’informazione
intaccarono il sistema. I politici della “prima repubblica” cominciarono ad
entrare sullo schermo, ma spesso apparendo goffi. La stessa televisione,
anzitutto servizio pubblico, era chiusa in rigidi schemi comportamentali e
sociali che non permettevano grandi libertà di espressione. Una sfida che le
televisioni private sono state pronte ad accogliere e soprattutto il
protagonista per antonomasia del panorama politico e comunicativo dell’Italia a
cavallo del millennio, Silvio Berlusconi.
“Ottimismo
Milanese” contro “Disfattismo Comunista”, in estrema sintesi la “seconda
repubblica” è stata caratterizzata dallo scontro tra il presidente
Fininvest-Mediaset e gli avversari, in uno scontro aperto a colpi di share su
vari canali, tg e talk show, con protagonisti nuovi giornalisti-conduttori
d’inchiesta. Ma l’invasione della politica su tutti canali ha generato in
seguito un rigetto che ha portato infine all’arrivo di leader “freddi” quali
Monti e Letta. Tuttavia ancora una volta il bisogno di cambiamento e il rigetto
ha stravolto le carte, aprendo così da un lato la strada a Matteo Renzi col suo
ottimismo e orgoglio nazionale e dall’altra all’imporsi di movimenti di
protesta e “populismo”, fomentati grazie al nuovo media, il web, abilmente
maneggiato da Beppe Grillo e il suo movimento.
Alla
fine di questa esposizione è chiaro che la propaganda - nella prospettiva dall’autore - può avere differenti modalità.
La propaganda non è solo quella delle grandi parate, dei grandi eventi, delle
grandi sceneggiature o delle urla verso il nemico, ma è anche quella più
insidiosa e sottile della manipolazione della vita quotidiana, direttamente a
livello dell’inconscio.
Personalmente
ho trovato molto utile questo libro che mi ha aiutato ulteriormente a
comprendere la realtà del nostro paese e soprattutto quella che ho vissuto nel
nuovo Millennio, aiutandomi a comprendere che ciò che ho visto è frutto di una
lunga evoluzione e che comunque è il popolo, facendosi condurre di volta in
volta, a consegnare il potere a chi avrà saputo meglio raccogliere la sfida,
creare una storia e cavalcare il consenso, sino al primo
errore che inevitabilmente e ciclicamente colpisce ogni leader. Il libro è
esposto in modo chiaro e scorrevole, facilmente comprensibile e molto
dettagliato senza risultare troppo pomposo.
Alessandro Vinai
Fabio
Martini
La Fabbrica della Verità.
L’Italia immaginaria della propaganda da
Mussolini a Grillo
Marsilio.
Venezia, 2017.
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