Paolo
Pagliaro, giornalista e voce nota della tv - dal 2008 cura l’editoriale Il Punto di Paolo Pagliaro nella
trasmissione Otto e mezzo in onda su
La7 -dallo stile riconoscibilissimo per freschezza e lucidità.
Questo
libro prende le mosse dalle riflessioni del giornalista sul declino
dell’informazione. Con uno sguardo partecipe e analitico Pagliaro pone di
fronte al lettore una serie di problematicità che sembrano ormai un tutt’uno
con l’informazione stessa: il sensazionalismo a tutti i costi, la manomissione
delle parole, l’infobesità e, soprattutto, le fake news nell’epoca della post-verità (dove “post” sta per dopo, ma anche oltre).
“In
un periodo d’inflazione di informazioni” - scrive Pagliaro - “per catturare
l’attenzione non serve approfondire, verificare, filtrare, sistematizzare.
Spesso basta proporre un pensiero semplificato, non importa se labile o
bugiardo”. Così torna in essere un abuso che sembrava scomparso da tempo,
quello della credibilità popolare, perché, seppur paradossale che sia,
“sappiamo sempre di più, ma capiamo sempre di meno”. I dati della classifica OCSE
sull’analfabetismo funzionale parlano tristemente chiaro in questo senso: 8
italiani su 10 hanno difficoltà a utilizzare quello che ricavano da un testo
scritto, 7 su 10 hanno difficoltà abbastanza gravi nella comprensione e 5
milioni di persone hanno completa incapacità di lettura;preoccupanti anche i
dati sulla circolazione delle bufale,
dato che il fatto di non capire cosa si stia leggendo non implica che venga
evitato di condividerlo sui social.
Gli
Stati Uniti d’America meritano una digressione particolare sul versante delle fake news, dato che “la madre di tutte
le bufale” è nata proprio negli USA: il fatto che il regime iracheno di Saddam
Hussein possedesse armi di distruzione di massa, semplicemente, non era vero, ma
fu un fondamento necessario per l’invasione e la distruzione dell’Iraq. È
interessante notare, come fa Pagliaro, anche il fenomeno Donald Trump per la
quantità di false notizie che sono circolate in rete durante la campagna
elettorale del 2016, la quantità di bugie dette dal candidato stesso e l’incapacità
della stampa americana di capire e prevedere il cambiamento politico in atto
nel paese. Per questa analisi è fondamentale la decisione dell’Huffington Post
di trattare la candidatura di Trump nella sezione intrattenimento e non in
quella politica. Questa scelta, esaminata sul sito dell’European Journalism Observatory,
è stata vista come specchio dell’omogeneità dei lavoratori di spicco dei media
statunitensi: uomini bianchi, liberali e tendenzialmente benestanti, che vivono
in quelle parti di paese in cui l’avversario politico di Trump, Hillary
Clinton, ha preso percentuali che vanno dal 70% al 98%, persone che vivono e
lavorano in una bolla evidentemente distante dalla realtà.
Come
nella celebre opera del 1968 di Mario Merz riecheggia, stavolta non in una
pentola vuota, ma in quel mare magnum che è Internet la domanda “Che fare?”. Innanzi
tutto investire nell’informazione di qualità, andare a ingrossare le file dei debunkers, la più funzionale difesa
contro le fake news, puntare sulle breaking news e sulle inchieste; ma i
singoli giornalisti cosa possono fare? Due parole: autoregolamentazione
volontaria. Idee esposte dal giurista Cass R. Sunstein già più di quindici anni
fa, teorizzando un accordo tra produttori per impedire che i notiziari siano una
continuazione delle fiction, il prevalere di sensazionalismo e di opinioni
rispetto a notizie e fatti. In assenza di questa autoregolamentazione secondo
Sunstein è doveroso l’intervento della legge.
Secondo
Pagliaro i giornalisti dovrebbero attenersi alle regole d’oro del mestiere:
controllare i fatti, essere onesti e avere passione.
Tutto
qui?
Sì,
tutto qui: questo è il Punto.
Paolo Pagliaro
Punto. Fermiamo il declino dell’informazione
Il Mulino,
Bologna, 2017, pp. 128.
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