La storia dell’evoluzione dell’uomo conserva ricordi di
momenti storici di grande rilievo, come lotte di classe, guerre ed eventi che
hanno segnato la cronaca mondiale. Oggi l’umanità è in una nuova fase di questo
processo, ovvero quella del digitale. In
merito a questo contesto si può notare come l’individuo non riesca a fare a
meno di porsi delle domande sulla questione, e per tale motivo viene definita
come ossessione dello studioso.
I media, così come sono
utilizzati ai giorni odierni, non sono nati da un netto passaggio da una fase
all’altra della storia, ma da un processo di creazione lento in un alternarsi
di progressi e regressi. Grazie alla linea temporale dei due autori del testo, Balbi
e Magaudda, si ha una chiara visione di quale sia stata la storia di tutti i
media digitali che ora appartengono all’intera popolazione mondiale. Inoltre, è
interessante sapere come nascono quelli che oggi sono considerati non più solo
degli aiutanti ma elementi indispensabili entrati nelle vite quotidiane di
molte persone.
Questo volume, attraverso dei macro-excursus divisi per
argomento, disegna una linea del tempo dei mezzi più utilizzati, presentando le
menti più brillanti della storia come Joseph – Marie Jacquard, Bill Gates, Steve Jobs e Steve
Wozniak, che sono a capo di quelle società che di volta in volta hanno idealizzato
il processo di comunicazione degli ultimi anni.
Tra le righe di
questo testo c’è una delle domande più frequenti e rilevanti che l’uomo si sia
mai posto e che ancora manca di risposta: “Quella
dell’epoca digitale è da considerare come una rivoluzione o una semplice
continuità dell’era analogica?”.
Non è semplice
rispondere ad un quesito di questo tipo, soprattutto, perché questo periodo di
passaggio non è ancora terminato, basti pensare alle continue evoluzioni di sistemi
tecnologici che sono sul mercato ogni anno, oppure alle questioni irrisolte di
alcuni paesi. La Cina, ad esempio, rifiuta un passaggio della radiofonia da
analogica a completamente digitale, mentre, altre nazioni utilizzano ancora
molti canali televisivi analogici. Guardando indietro alla nascita dei tre
pilastri dei media moderni, ovvero, alla storia del computer, di internet e
della telefonia mobile, è possibile
notare come non si possa parlare di una vera e propria rivoluzione. Il motivo è
legato all’aspetto decisionale politico ed economico delle aziende nello
scegliere non sempre la strada verso il successo, ma quella della conservazione,
come il caso dell’Ibm. Un altro
esempio è il ritorno di vecchie apparecchiature come il disco in vinile, il quale procede di pari passo con la musica on-line,
senza mai scomparire del tutto. Tutti questi elementi allontanano l’idea della digitalizzazione come un processo che
rappresenta un punto di svolta nella storia.
Ciononostante, anche se non è chiaro il risultato finale,
molti studiosi e scienziati hanno dedicato – e dedicano – la loro vita, nel creare
dei veri e propri contributi storici, si sono lanciati in dei salti nel vuoto.
Inoltre,
riflettendo in maniera oggettiva, queste tecnologie dell’attuale millennio,
probabilmente, non sarebbero potute nascere in tempi molto più brevi rispetto a
quelli che sono stati in realtà. Questo perché pur subendo dei rallentamenti, i
processi verso il digitale iniziati all’incirca dai primi decenni del Novecento,
hanno avuto una grande svolta in meno di mezzo secolo per molti media, come il caso del telefono
cellulare.
Pertanto, non si
può parlare di una vera rivoluzione ma nemmeno di una semplice conseguenza
dell’analogico. Non è sufficiente
ritrarre in un generico passo in avanti,
ciò che è accaduto alla comunicazione in questi anni, ed è riduttivo, infatti,
parlare di eventi a catena. Le innovazioni apportate, hanno creato un nuovo
mondo e una popolazione diversa: partendo dalla nascita nel 1945 del primo
computer Eniac, alla proposta di Apple
di un apparecchio da utilizzare in casa, fino alla decisione della Microsoft di
far valere i propri diritti di Software – importanti tanto quanto la componente
Hardware –, sono parti di un processo che intende comunicare un cambiamento non
soltanto nel percorso storico, ma nella mentalità umana.
Non è di certo la
prima volta che l’uomo pensa in grande per cercare di raggiungere qualcosa che
a prima vista sembra irraggiungibile. Difatti, basti notare che i primi strumenti
digitali, ovvero, il computer e internet sono entrambi nati come
strumenti prevalentemente militari: una delle maggiori fonti d’investimento per
un Paese è la sicurezza della propria terra e del posto che esso presiede
all’interno del sistema globale. Pertanto, è “naturale” che molti studiosi si
siano spinti ad un immaginario dove vi fossero delle importanti tecnologie.
Tuttavia, qualcosa
di rivoluzionario vi deve essere: gli autori, infatti, ritengono che i motivi
per considerare quello del digitale, un percorso di rivoluzione, siano vari. A
partire dal concetto di impatto globale, a quello di prosumer, parola coniata da A.
Toffler nel 1980 per esprimere la nuova visione di informazione. Essa
coinvolge attivamente i consumatori che, pertanto, iniziano anche ad essere
fonte di messaggi e non solo ricettori. Inoltre, è possibile andare anche oltre
la realtà odierna e immaginare una “grande
utopia della convergenza”. Quest'ultima, inclusa nella macchina Überbox, racchiuderebbe insieme tutti gli strumenti
sul mercato (Ipad, Ipod, mp3, computer e smartphone).
Pertanto,
alla domanda posta in precedenza, ovvero, se il digitale sia una rivoluzione o
un’evoluzione del digitale, la risposta potrebbe essere trovata attraverso due
esempi: il primo riguarda
Jacquard che nel 1801 decise di
modificare la struttura del telaio, introducendo delle componenti
hardware e software per creare un telaio
automatico. In proposito, questo tipo di tecnologia non era stata inventata
da lui, tuttavia, fu in grado di trovare per questi prodotti un altro utilizzo
in un settore completamente diverso.
Il secondo esempio, che
probabilmente sarà più chiarificante, è quello che ha dato origine alla casa di
produzione Apple. Steve Jobs e Steve
Wozniak non crearono il personal computer,
anzi, si basarono sulle macchine già create e collaudate da altri prima di
loro, ma ebbero l’idea rivoluzionaria,
di allargare il consumo di tale apparecchio, e di estenderlo a tutti i
consumatori. Questi due uomini, considerati hacker,
si resero conto che la macchina (il
computer) che era usata da pochi e limitata alle necessità burocratiche e
aziendali, poteva essere “alla portata di tutti”, e fu così che nacquero i
primi computer.
Naturalmente, una strategia
pubblicitaria e capacità di marketing favorirono l’azienda Apple, che per tale
ragione oggi è uno dei leader del settore. Tuttavia, questa parte della storia
vuole mandare un messaggio chiaro opposto a quello che Clayton Christensen definì
“dilemma dell’innovatore”. Ciò che è rivoluzionario nei media digitali, non
sono gli strumenti e lo sviluppo delle macchine ma è la “lampadina che si
accende” nella mente di qualcuno e nella forza di chi crede in se stesso, perché,
in fondo, una delle caratteristiche della parola rivoluzione è anche il coraggio.
Sara Esposito
G. Balbi – P. Magaudda,
Storia dei media digitali.
Rivoluzioni e continuità,
Laterza, Roma – Bari, 2019.
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