Una mattina come tante. Sono le 7
e vado al lavoro. Intorno a me le solite facce di gente per bene che si
affretta a prendere il treno. C’è chi pianifica le vacanze natalizie e chi
bisbiglia di passioni pregresse. C’è chi si rimbocca il cappotto e chi ancora
sogna qualcosa. Non c’è nessuno che legge il giornale. Nessuno che parla
dell’orrore di Peshawar. Forse è ancora troppo presto per pensare. O troppo
tardi per reagire. L’alibi del paese a noi lontano
funziona ancora benissimo. Così come il “Non possiamo farci niente” o “I
Taliban sono fanatici esaltati”. L’elenco delle ipocrisie di rito potrebbe
durare a lungo. Di botto arriva il treno e schiaccia le frasi fatte sulla testa
della gente. La fede e l’orrore si sono
mischiate. Avere fiducia nella vita implica la speranza di non provare orrore.
Sperimentare l’orrore ammutolisce ogni fede.Non sempre. A volte la fede
diventa strumento per praticare l’orrore. Non solo quello dei Taliban contro
bambini innocenti. Ma quello del mondo che sta a guardare. Menefreghista e
impotente. Come chi conosce già il finale. Perché qualcuno sul pianeta sa
bene cosa può capitare. Conosce ogni minimo dettaglio della prossima mattanza.
La produzione del terrore è industria mondiale.Il terrorismo è una favola per
lattanti. C’è qualcuno che decide dove andrà a cadere la bomba del dolore.
Qualcuno che non si deve sapere e non si deve dire. Ma che c’è e non muore.
Anna
Scavuzzo
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