Nel libro Il giornalismo americano l’autore, Fabrizio Tonello, professore di Scienza dell’opinione pubblica presso
l’Università di Padova (e VisitingFellow alla Columbia University di New York),
ripercorre l’evoluzione storica del giornalismo a “stelle e strisce”.
Dalla nascita ai giorni nostri, ciò che viene messo in luce sono le
trasformazioni tecnologiche e ovviamente economiche che la stampa americana ha
dovuto non solo affrontare, ma anche subire.
Tonello si sofferma sul netto
cambiamento emerso a partire dagli anni 70’, periodo storico in cui nasce
quello che lui definisce “giornalismo interpretativo”, che si trasformerà, più
avanti, in “frammentario”.
Si assiste all’abbandono di pilastri quali “verità” e “credibilità”, da sempre
elementi ritenuti imprescindibili e valori su cui la stampa, da sempre, ha
fondato la propria identità, messi da parte e sostituiti in nome del nuovo
format che si andava affermando: l’informazione-intrattenimento o, per dirla
all’americana, infotainment.
Finisce l’era dei giornalisti come Pulitzer e Hearst, anche se restano tutte le
novità introdotte, a livello grafico, i grandi titoli su tutti, per far posto
ad un giornalismo investigativo davvero “pesante” e “profondo” i cui fautori
vengono definiti muckrakers, dove la precisione e l’ispirazione politica
ispiratrice degli anni 70’ cessa di esistere.
Con il progresso tecnologico che porta ad una drastica riduzione di prezzi di
vendita e di stampa aumenta il peso e la presenza della pubblicità. A farne le
spese non sono più solo i giornali, e quindi la carta stampata, ma anche i
nuovi mezzi che si stanno diffondendo: la radio e la televisione.
Non importa come i mezzi di comunicazione fossero utilizzati, negli Stati Uniti
fino alla guerra del Vietnam, questi ricoprono un ruolo quasi sacro.
L’obiettivo era uno solo: difendere i valori americani.
Ed è proprio il Vietnam, insieme anche allo scandalo del caso Watergate, che si
sviluppa durante gli anni della guerra, a lasciare un segno indelebile sul mondo
del giornalismo statunitense. Anche se, forse, si è trattato più di una
vittoria della magistratura e del Congresso rispetto a quella della stampa.
Con lo sviluppo dell’infotainment gli standard tipici della TV iniziano ad
imporsi anche alla carta stampata. È l’era delle soft news, della
personalizzazione delle notizie e delle storie-spazzatura che avevano il solo
obiettivo di accrescere gli introiti. Quello del caso Watergate fu anche un
periodo in cui maturarono nuovi strumenti come la tv via cavo o il McPaper, un
quotidiano “facile e veloce da consumare come un hamburger”. Successivamente
nacquero Cnn nel 1980 e Usa Today nel 1982. Tonello afferma che lo scandalo
dell’hotel divenne un mito proprio nel momento in cui i fattori strutturali
della crisi successiva della crisi americana iniziavano a manifestarsi.
Interessante anche la spiegazione data da Tonello sulle proposte di John Edgar
Hoover, capo dell’Fbi pronto a tutto pur di eliminare Martin Luther King dalla
scena politica. Il direttore del Bureau of Investigation fece preparare un
dossier in cui venivano provate le scappatelle di
King, con tanto di rumore dei rapporti sessuali. L’Fbi offrì il materiale a
varie testate nazionali tra cui il Times. Tutti i giornali contattati si
rifiutarono di pubblicarlo. Tonello sostiene una tesi alla base di questa
scelta: “L’unica spiegazione possibile è che il giornalismo di allora
considerava la politica come una cosa seria, un campo i cui temi (un conflitto
nucleare o un’esplosione di violenza razziale che finisse in una guerra civile)
apparivano così importanti a chiunque da relegare le storie di adulterio al di
fuori del perimetro delle notizie pubblicabili.” Notizie di infedeltà
matrimoniali erano impubblicabili anche per John Kennedy, ma non, di fatto per
Bill Clinton, che ha dovuto affrontare lo scandalo Lewinsky, lanciato non da un
medium tradizionale, ma da un sito “pettegolo”, Drudge Report. Sulla testata
online di Matt Drudgevenne detto che Newsweek era incerto se pubblicare o no la
storia. La mattina dopo il Washington Post
dedicò la prima pagina all’episodio.
Anche la politica
viene trasformata in spettacolo, le sorti del paese ora sono messe in secondo
piano, tutto ruota attorno alla figura del politico a cui, per ottener
consensi, viene richiesta più una buona dote da oratore rispetto a vere e
proprie competenze in materia. Tonello si sofferma, in particolare, su una
caratteristica dell’opinione pubblica americana nei confronti dei giornalisti:
il legame tra media e patria. O, ancora meglio, tra media e amore per la
patria. Una buona metà degli americani – afferma Tonello – vuole dei media
patriottici ed è disposta a considerarli credibili e professionali solo quando
lo sono, rispecchiando così un tratto sociale della realtà americana.
Guglielmo Mazzola
Fabrizio Tonello
Il giornalismo americano
Carocci, Roma, 2005, 144 pp.
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