È questa la domanda a cui i professionisti intervenuti al Glocal di
Varese 2017 hanno cercato di dare una risposta, quest’anno. E di ritorno da una
delle più importanti iniziative giornalistiche italiane, proviamo a fare un
riassunto delle tematiche che sono state affrontate.
Che il settore del giornalismo sia cambiato è indubbio: che ci si sia
allontanati dal giornalismo classico, anche. Si ha l’impressione che ci sia
stata un’accelerazione improvvisa che nessuno si aspettava. Il problema del tempo è
fondamentale: la rapidità e la facilità della condivisione hanno provocato una
modifica importante nel rapporto tra giornalismo e lettori, perché al di là
della fortuita casualità, è pressochè impossibile che un reporter si trovi sul
luogo della notizia prima della persona che vive lì, ad esempio, o che lavora
nel palazzo di fronte, o che passa per quella strada ogni giorno, e che ha a
disposizione uno smartphone con cui fare un video. Nell’arco di pochi secondi,
la notizia è online: spesso, la notizia è online in diretta. E il giornalismo
rimane indietro. Ma il tempo influisce sull’attività giornalistica anche in un
altro modo: le persone oggi digitano le proprie domande, e Google ha abituato
il suo pubblico ad una risposta immediata. Nessuno attende i giornali del
mattino, nessuno attende più nemmeno i telegiornali della sera: e così i
giornalisti per rimanere sul “pezzo”, hanno smesso di approfondire gli
argomenti, e invece di portare a sé il progresso, e dunque i lettori, gli sono
andati incontro, senza modificare il mezzo, ma spostandolo così com’era sulla
piattaforma online.
È dunque internet il nemico del giornalismo? Internet ha introdotto
mezzi nuovi, a cui i media hanno opposto resistenza, proprio come le grandi
testate avevano opposto resistenza alla televisione negli anni cinquanta del
novecento. Non conoscere internet e i suoi algoritmi significa divenirne
vittime, certo: sono mezzi straordinari, che bisogna saper usare in relazione
al proprio apporto personale, e non certo a discapito dello stesso. Istruendoli
a lavorare per noi, non a sottometterci. Ma cos’è un algoritmo, nella
pratica? Un codice, che ci permette di creare un BOT virtuale:
in sostanza un’intelligenza artificiale che è in grado di operare al posto del
redattore stesso, facendo più rapidamente lavori che abitualmente erano
considerati manuali, per esempio una traduzione, o una ricerca dati. La
rapidità di internet viene accusata di aver compromesso quello che definiamo slow journalism,
il giornalismo lento, della ricerca e della qualità: ma in verità (e ne abbiamo
numerosissimi esempi, a partire dal docu-film “Un unico destino” prodotto da L’Espresso, Repubblica e
42° parallelo) questo esiste ancora, e quel nuovo grande media che
è internet può aiutarlo a migliorarsi, trasmettendo un messaggio alle persone
con una nuova straordinaria modalità: il video, la diretta, la testimonianza
visiva di coloro che erano presenti.
Quali sono, appurato questo, i due grossi problemi che permangono?
- La carta stampata mantiene la sua nomea di “informatore affidabile”, ma le persone sono meno disposte a pagare per avere una notizia, perché sanno di poterne disporre “gratis” sulla rete;
- La privacy diventa un lusso che nessuno si può permettere.
Le conseguenze sono la nascita del brand journalism ovvero di
quel giornalismo che assume la funzione di “influencer” pagato, per cui in
sostanza un giornalista diventa impiegato di un’azienda, per la quale fa
comunicazione pubblicitaria; e l’assenza totale di intimità, nella vita di
tutti i giorni: il discorso sulla privacy è spesso sottovalutato dal pubblico, banalmente
perché non è a conoscenza di quanto effettivamente sia controllato. Non solo
tramite il cellulare o il pc: le telecamere, gli elettrodomestici intelligenti,
le carte di credito, le tessere fedeltà… il progresso ha reso più liberi ma la
libertà, paradossalmente, rischia di rendere il mondo schiavo delle grandi
compagnie, quelle che hanno accumulato così tanti “numeri” da fare ormai parte
di ogni ambito della vita professionale e personale di ognuno, sconvolgendo
così anche il mondo dei media. Primi fra tutti, naturalmente, Google e Facebook (ma
anche Amazon e Netflix).
In conclusione: il giornalismo è cambiato, è in continua evoluzione, perché è una materia sociale che viaggia di pari passo con le persone, non solo con quelle che la fanno, ma anche con quelle che ne divengono parte. La figura del giornalista è nuova: si è giornalisti senza giornale, senza scrivania, è necessario tornare indietro, scendere per strada a parlare con la gente, ma farlo con gli strumenti del presente, imparando a governarli. Bisogna costruirsela, la “cassetta degli attrezzi”: sviluppare una propria attenta capacità critica e pensare, riflettere, senza rifiutare il progresso, ma imparando a interpretare questa nuova realtà senza tentare di farlo con griglie passate che non possono dare alcun buon risultato.
Micaela Ferraro
___
Nessun commento:
Posta un commento