La storia racconta che
sono stati innumerevoli i momenti di “passaggio” che il giornalismo ha dovuto
affrontare: dalla parola scritta alla radio, dalla radio alla televisione,
dalla televisione al web, l’informazione è costretta ad ogni passaggio a
re-inventarsi, esplodere e ricominciare (quasi) dall’inizio. Ma che giornalismo
stiamo vivendo, oggi?
È questa la domanda che è stata oggetto del primo panel al Glocal news di Varese 2017. E per dare una
risposta, sono intervenute varie personalità del mondo dell’informazione:
Alessandro Galimberti, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia,
Raffaele Fiengo, giornalista storico del Corriere della Sera, Annalisa Monfreda, direttrice Donna
Moderna, Luca Sofri, direttore IlPost.it e infine Michele Vitiello,
ingegnere informatico forense.
La grossa evoluzione del giornalismo moderno è che l’informazione è diventata pubblica: diffondere una notizia non è più prerogativa dei grandi quotidiani, chiunque può comunicare
qualunque cosa desideri usando il web. La rete ha permesso la globalizzazione,
e ha condizionato una sempre maggiore rapidità. L’avvento dei social network ha
estremizzato questa realtà, fino al verificarsi delle due grosse conseguenze
con le quali il giornalista deve oggi confrontarsi: il fenomeno delle “fake
news” e la perdita della privacy.
Le notizie false sono all’ordine del giorno, e sono sicuramente il risvolto della medaglia
dell’informazione “pubblica”: in assenza di mediatori, e con la libertà che
concede la rete, chiunque può scrivere e mettere in circolazione qualunque
informazione, con il risultato che per vincere questa sfida contro la rapidità
nasce il “giornalismo del sentito dire” ma soprattutto il cyber-terrorismo: sia
esso posto in essere per campagne pericolose contro i vaccini per esempio,
oppure per condizionare campagne elettorali come avvenuto negli USA con
l’elezione di Donald Trump.
Per quanto riguarda la privacy, non è contemplata dal web: “Ciò che
pubblichiamo non è più nostro, nel momento stesso in cui lo diffondiamo su
Facebook”, spiega Vitiello, illustrando i modi in cui è possibile oggi tener
traccia dei movimenti di una persona utilizzando la tecnologia di cui è
circondata, dallo smartphone agli elettrodomestici intelligenti. Il paradosso,
come sottolinea Galimberti, è che la privacy si difende nelle situazioni in cui
non andrebbe difesa: e cioè quando si desiderino ottenere dei dati che
determinati brand, per esempio Apple, non concedono nemmeno agli organi di
stato maggiori.
Ma in questa giungla di
finta informazione e numeri che fanno da padroni a discapito della sicurezza,
come deve muoversi, il giornalista, per uscire dalla crisi in cui il settore
sembra vertere?
“Occorre aumentare la
comunicazione con più giornalismo di qualità. I singoli devono investire sulla
propria dignità, aderendo al giornalismo deontologico, e le istituzioni devono
tutelare i professionisti in quanto tali” dice Raffaele Fiengo. Allontanarsi
dunque dalla moda del “brand journalism”, per non divenire “influencer a
pagamento”, come sempre più spesso accade, e tornare alla qualità. Evitando di
far diventare il pubblico “dittatore”: “I giornali dipendono troppo dai
lettori, sono plagiati da ciò che il lettore vuole leggere”, spiega Luca Sofri,
IlPost. “La tecnologia e internet non sono il nemico”. Rincara la dose la
dottoressa Monfreda: “il giornalismo deve essere responsabile”. E per
responsabilità si intende che deve essere approfondito, trasparente con il
lettore: dare al pubblico ciò di cui ha bisogno, non ciò che “di pancia” pensa
di desiderare.
Bisogna tornare, insomma,
al journalism first. Ma senza fare
del progresso il capro espiatorio di ogni male.
Micaela Ferraro
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