Nel libro La cronaca
nera in Italia. I perché della sua spettacolarizzazione Davide Bagnoli cerca
di riflettere sulle origini della spettacolarizzazione mediatica in Italia.
L’autore analizza cinque casi eclatanti di cronaca nera: l’incidente di
Vermicino del 1981, il caso Cogne del 2002, il rapimento di Tommaso Onofri nel
2006, l’omicidio di Meredith Kercher del 2007 e quello di Avetrana del 2010.
Secondo l’autore questi snodi principali rappresentano altrettante tappe di uno
sviluppo dell’interesse morboso dell’opinione pubblica verso i casi di cronaca.
Parallelamente è aumentato anche l’interesse e la spettacolarizzazione messa in
atto dai media per informare – e spesso per intrattenere – i propri utenti su
questi avvenimenti. Questi meccanismi vengono favoriti grazie a un’empatia
dovuta all’attenzione che gli esseri umani hanno verso le situazioni di
pericolo, da cui vogliono sfuggire. Proprio in questo duplice rapporto nasce il
paradosso delineato da Bagnoli: il pubblico è portato ad avvicinarsi a questi
avvenimenti da cui non vorrebbe essere colpito. Si tratta di una scelta
difficile ma resa necessaria dall’esigenza umana di restare al sicuro.
Dal lato del
consumatore di notizie gli effetti di tale scelta sono tra i più vari:
attrazione e assuefazione all’orrore, semplificazione della realtà con arbitrarie
indicazioni dicotomiche (bene o male; colpevole o innocente) e
interiorizzazione di fatti macabri. Contemporaneamente i media scoprono la
possibilità di manipolare il pubblico tramite le emozioni, finendo –
volontariamente o meno – per: favorire l’accanimento dell’opinione pubblica nei
confronti delle persone coinvolte nei casi di cronaca nera; acuire sempre di
più il fenomeno del turismo nei luoghi in cui questi fatti si sono consumati;
rendere le persone pericolosamente abituate alla rappresentazione della
violenza.
Il dolore privato
assume una dimensione sociale e virale e in alcuni casi si fissa nella memoria
collettiva; in altri si perde nell’oceano di informazioni quotidiane. Sebbene
il confine tra informazione e spettacolarizzazione sia labile, la seconda ha
iniziato a prevalere sulla prima a partire da giovedì 11 giugno 1981, con la
trasmissione della voce di Alfredo Rampi nell’edizione delle 13 del Tg2. Da
quel momento e in modo graduale il racconto di queste vicende si è trasformato
in una prova di forza dei media, capaci di destare un interesse morboso delle
persone verso la cronaca nera. Così media e pubblico si sono trovati
all’interno di un ciclo focalizzato sulla crescita della spettacolarizzazione a
discapito della prassi giudiziaria.
Negli anni il problema
si è ulteriormente accentuato. L’emergere delle tecnologie e delle piattaforme
digitali hanno moltiplicato il numero delle fonti e attribuito agli utenti una
maggiore possibilità di partecipazione. L’immediatezza e la velocità di pubblicazione
della notizia sono essenziali per il funzionamento di una redazione
giornalistica nel nuovo ambiente online; d’altra parte passano in secondo piano
la verifica delle fonti, la precisione e l’accuratezza della notizia. Con
Internet i fenomeni analizzati prima producono infinite imprecisioni sui casi
di cronaca nera. Il pubblico si trova inserito in questi processi di
disinformazione; le redazioni sono costrette al difficile compito di mantenere
un equilibrio tra velocità e correttezza dell’informazione. In questi contesti
vi è una spettacolarizzazione superiore e aggiuntiva rispetto a quella
esistente nei media tradizionali.
Solo abbandonando le logiche della rapidità in favore di quelle sull’approfondimento e sulla riflessione è possibile contrastare gli effetti
aggiuntivi della spettacolarizzazione sul web.
Gabriele Altea
Davide
Bagnoli
La cronaca nera in Italia.
I perché della sua
spettacolarizzazione
Temperino Rosso Edizioni, Brescia 2016.
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