"Una buona foto è se non la puoi dimenticare, se ti entra
dentro come un sentimento, da cui impari qualcosa e che
in qualche modo ti cambia e che ricordi per sempre.."
Da alcuni mesi
Palazzo Ducale di Genova ospita la mostra del fotografo contemporaneo di
fama internazionale Steve McCurry. Quello
fotografato è un mondo interiore che prende colore nei volti di un Oriente sgargiante
e pensieroso. Quelle
disposizioni d'animo che, inevitabilmente, facciamo nostre (passo dopo passo, foto
dopo foto). I soggetti sono per di più pastori nomadi dediti alla transumanza,
donne e ragazze di campi profughi afgani desolanti; questa desolazione la
cogliamo nei loro occhi. Beirut, la Cambogia, dal Kuwai all'ex Jugoslavia,
l'Afganistan, vissuti dal fotografo sempre in prima linea, rischiando la
vita per poter proseguire il suo lavoro e realizzare le foto.
Gli sguardi
fissi, rassegnati, soprattutto dei bambini, colpiscono molto perchè da questi
si evince la vita dura e vagabonda alla quale sono soggetti, costretti a
vivere in un mondo di adulti senza poter giocare.
Gli occhi dei soggetti
fotografati ti seguono a 360°, come se osservassero da tutte le angolature.Le pose delle
donne sono spontanee, delicate: sono femminili, curiose al contempo
intimorite da quello strumento, la macchina fotografica, che diventa filtro di due mondi sconosciuti, che si studiano. L'autore è la
firma del celebre
ritratto fatto nell’84 ad una ragazza afgana, dagli occhi verdi, destinata a
diventare icona del conflitto afgano, che ha reso celebre una copertina del
"National Geographic"; a distanza di 17 anni, nel 2002, dopo varie ricerche,
ritrova l'ormai donna, e riesce a rifare uno scatto a quegli stessi occhi, più
spenti però e segnati dalle sofferenze.
La mostra organizzata nelle sale genovesi è un percorso
emotivo curato da Peter Bottazzi, articolato in varie sezioni:
vertigine è una galleria degli orrori senza tempo, che ricorda di cosa siano stati
capaci (e purtroppo di cosa saranno ancora capaci) gli uomini; qui ogni foto che si
guarda voltandosi di scatto, è come una punzecchiata di un ago sulla pelle.
Alcune foto sono emblema della ricchezza e della povertà, contrapposte. Simmetricamente
opposta alla stanza precedente, è quella della poesia, ove si materializzano
i sogni; foto che permettono di perdersi in vite così lontane ed apparentamente
così diverse dalle nostre, che però, in realtà, si scoprono vicine come
esigenze, come necessità e come speranze. Poi c’è la stanza
dello stupore, quel sentimento tanto puro quanto troppo spesso sopito tra
gli adulti, che induce il visitatore a tornare innocente e curioso, a
guardare tutto con occhio vergine, attento a non perdersi neanche un sorriso; e poi
la stanza della memoria. Gli appassionati
potranno trovare all'interno della mostra anche le immagini che fanno parte
del progetto the last roll, ovvero l'ultimo rullino prodotto dalla Kodak,
baluardo di un'era ormai conclusa.
La pazienza è una
virtù necessaria per catturare l'hic et nunc, quell'attimo che è lo scatto
perfetto. Incisive come
l’acqua che scava la roccia, taglienti come una lama che ti sfiora la pelle e
fresche come un getto d’acqua in piena estate queste foto sono capaci di
toccare anche l’animo più impavido. Un viaggio intorno all'uomo
per l'uomo quindi.
Serena Cellotto
*link al sito dedicato alla mostra Steve McCurry: un viaggio intorno all'uomo.
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