Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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13 gennaio 2009

Il potere rivoluzionario

In questi giorni sto leggendo un libro abbastanza conosciuto che si intitola "La Deriva Americana", il suo autore, Paul Krugman, economista e columnist del New York Times, in Italia si legge su Repubblica. Questo libro, quasi un Best Seller, raccoglie in forma organica gli articoli scritti per il quotidiano newyorkese dal 2000 al 2003 e per questo fatto non si dovrebbe considerarlo propriamente aggiornato, tuttavia per chi come me ostenta un'ignoranza quasi imbarazzante, costituisce pur sempre un buon viatico in vista di un breve tour negli Stati Uniti. Sfortunatamente il pretesto che mi induce a scrivere è un fatto tutto Italiano e riguarda la fiducia posta dal Governo sul Dl "anticrisi". I fatti in questione sono cronaca delle ultime ore e non è difficile trovarne sintesi sufficienti sui principali organi di informazione nazionale. La connessione tra il libro in questione e l'attualità politica mi è stata offerta dal Presidente della Camera. Se anche Fini, eletto a garante del parlamento dalla maggioranza, sente il bisogno di esternare così platealmente il proprio disappunto nei confronti del comportamento "anti-parlamentare" del Governo, mi viene automatico pensare immediatamente alla definizione di "potere rivoluzionario" che Krugman da. Senza andar troppo lontano è nell'introduzione al suo libro che l'autore, nel tentativo di descrivere il governo dell'attuale presidente degli Stati Uniti George W. Bush fa ricorso ad "un vecchio libro sulla diplomazia del Diciannovesimo secolo scritto [...] da Henry Kissinger."

Un potere rivoluzionario
Nel lontano 1957, Henry Kissinger - allora giovane studioso ad Harvard brillante e iconoclasta, la cui carriera futura di cinico manipolatore politico e, in seguito, capitalista e faccendiere era ancora molto di là da venire - pubblicò la propria tesi di dottorato, A World Restored. Non viene da pensare che un libro sugli sforzi diplomatici di Metternich e Castlereagh sia rilevante per la politica statunitense nel Ventunesimo secolo. Eppure le prime tre pagine del libro di Kissinger ancora mi fanno venire i brividi lungo la schiena, perché sembrano fin troppo significative rispetto agli eventi attuali.

In queste poche pagine, Kissinger descrive i problemi con cui doveva confrontarsi un allora stabile sistema diplomatico quando si trovava di fronte ad un «potere rivoluzionario» - un potere che non accetta la legittimità del sistema. Dal momento che il libro è sulla ricostruzione dopo la battaglia di Waterloo e il potere rivoluzionario a cui alludeva era la Francia di Robespierre e Napoleone, chiaramente anche se implicitamente vi sono tracciati dei parallelismi con il fallimento della diplomazia che deve confrontarsi effettivamente con i regimi totalitari negli anni trenta. (Nota: tracciare dei parallelismi non significa delineare un'equivalenza morale.) Mi sembra chiaro che si dovrebbe guardare al movimento della destra americana - che oggi controlla in effetti l'Amministrazione, le due Camere del Congresso, gran parte del sistema giudiziario e una buona fetta dei media - come potere rivoluzionario nel senso dato da Kissinger. Cioè, si tratta di un movimento i cui capi non accettano la legittimità del nostro attuale sistema politico.


Non vi viene in mente niente? Non cogliete anche voi uno spaventoso "parallelismo" che qui invece si che delinea preoccupanti equivalenze morali?

- Di fatto vi sono abbondanti prove che gli elementi fondamentali della coalizione oggi alla guida del Paese credono che delle istituzioni sociali e politiche americane di lunga tradizione non dovrebbero, in linea di principio, esistere - e non accettano le regole che il resto di noi da per scontate.


Successivamente Krugman, temendo di essere preso per un allarmista si spende in una serie di esempi per i quali non è difficile cogliere altrettanto preoccupanti parallelismi con la situazione sociale e politica italiana. In realtà interi capitoli del suo libro meriterebbero di essere riportati; e lo farei volentieri se non sentissi già le critiche di allarmismo se non addirittura di "terrorismo politico", lanciate dai supporter che dagli spalti in parlamento e sui media nazionali si scagliano contro qualunque critica al Governo. Fosse anche una mera rilevazione dei fatti.
In effetti lascio al piacere di ogni lettore l'effimera soddisfazione di trovarli, questi parallelismi, e mi limito a riassumere brevemente i settori della società e politica americana che Krugman porta ad esempio del radicalismo dell'azione di governo.
La drastica contrazione delle politiche sociali considerate addirittura come violazione ai principi fondamentali, la politica estera guidata da uno spiccato unilateralismo e sostanziale disprezzo per quegli organismi internazionali che gli Stati Uniti hanno contribuito sostanzialmente a creare.

- un eminente pensatore vicino all'Amministrazione, Michael Leden, dell'American Entreprise Institure for Public Policy Research, ha dichiarato che «siamo un popolo bellicoso e amiamo la guerra».


Riferendosi alla guerra in Iraq ...

un alto funzionario del dipartimento di Stato, John Bolton ha detto a funzionari Israeliani che dopo l'Iraq gli Stati Uniti si sarebbero occupati di Siria, Iran e Corea del Nord.
E non è nemmeno finita qui. La separazione fra Stato e Chiesa è uno dei princìpi fondamentali della Costituzione americana. Ma Tom DeLay, capo della maggioranza alla Casa Bianca ha dichiarato agli elettori che é in carica per promuovere una «visione biblica del mondo» e che la sua instancabile persecuzione di Bill Clinton era motivata dal rifiuto da parte dello stesso Clinton di condividere quella visione. (DeLay ha anche denunciato l'insegnamento dell'Evoluzionismo nelle scuole arrivando al punto di accusarlo di essere all'origine della strage nella scuola di Littleton.)[...]

Supponiamo, per un momento, che si prenda per buona l'immagine che ho appena descritto. Si concluderebbe che l'America non piace proprio alle persone oggi in carica. Se mettiamo insieme le priorità dichiarate, l'obiettivo sembra un po' questo: un Paese che non ha nessuna rete di sicurezza al proprio interno, che conta essenzialmente sulla forza militare per imporre la sua volontà all'esterno, in cui le scuole non insegnano la teoria evoluzionista ma la religione e - magari - in cui le elezioni sono solo una formalità. [...]


Torniamo a Kissinger. La descrizione che fornisce della risposta immobilista dei poteri costituiti di fronte ad una sfida rivoluzionaria funziona altrettanto bene se viene applicata al modo in cui l'establishment politico e i media americani ha risposto al radicalismo dell'Amministrazione Bush negli ultimi due anni:

Cullati da un periodo di stabilità che sembrava permanente, essi trovarono quasi impossibile prendere per vere le asserzioni del potere rivoluzionario che intendeva fare piazza pulita del contesto esistente. I difensori dello status quo tendono quindi a iniziare a minacciare il potere rivoluzionario come se le sue proteste fossero semplicemente dettate dalla tattica; come se accettasse in realtà la legittimità esistente ma sovrastimasse la sua portata ai fini di una contrattazione; come se fosse motivata da malcontenti specifici che devono essere mitigati da concessioni limitate. Quelli che mettono in guardia per tempo contro il pericolo vengono giudicati allarmisti; quelli che consigliano di adattarsi alle circostanze vengono considerati sani ed equilibrati [...].
Ma è l'essenza del potere rivoluzionario possedere il coraggio delle proprie convinzioni, spingere, davvero con forza, i suoi princìpi alla loro conclusione ultima.

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