Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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Visualizzazione post con etichetta Giornalismo politico. Mostra tutti i post
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25 ottobre 2018

In libreria

Riccardo Cucchi
Radiogol. Trentacinque anni di calcio minuto per minuto
Il Saggiatore, Milano, 2018, pp. 272.
Descrizione
La voce di Riccardo Cucchi è stata il cuore di ogni domenica per circa trent’anni. Dalla sua postazione appartata, isolata in mezzo alla folla formicolante sulle tribune, ha riempito i nostri pomeriggi di emozioni narrando da testimone diretto decine di campionati, centinaia di partite, migliaia di minuti di calcio. In una notte d’estate ha gridato per quattro volte «Campioni del mondo», ed è iniziata la festa di tutti, da Berlino alle piazze di paesi e città dell’Italia intera. Attraverso il suo microfono ha accompagnato vittorie impossibili da dimenticare: la Champions League dell’Inter, lo scudetto travolgente della Roma, quello del riscatto bianconero nel 2012. Il segreto della sua voce è un paradosso: l’equilibrio perfetto tra passione ed eleganza, entusiasmo e riservatezza. Ecco perché Riccardo Cucchi ha confessato di essere un tifoso biancoceleste soltanto al termine dell’ultima radiocronaca, quando è stato abbracciato dal pubblico di San Siro come si fa con i grandi campioni e i grandi amici. Ed ecco perché diciassette anni prima, mentre annunciava lo scudetto della sua squadra, lo ha tradito una vibrazione sottile, una palpitazione che in pochi hanno saputo percepire fra le pieghe del suo annuncio: «Sono le 18 e 4 minuti del 14 maggio 2000, la Lazio è campione d’Italia!». Oggi la voce che ha trasformato quegli attimi in racconto radiofonico, dando vita a una piccola epica dell’istante, abbandona il microfono e si riversa in un libro, ancora entusiasmante, ancora più intimo. Un libro che ci mostra come, a televisione spenta, la radio sappia trasformare lo sport in parola, ritmo, narrazione: perché la radio è il mondo, come lo immaginiamo noi. Radiogol è un memoir in cui scorrono trentacinque anni di calcio perduto e ritrovato e un autentico atto d’amore per la radio e i suoi protagonisti, da Enrico Ameri a Sandro Ciotti. Attraverso le sfide a cui ha assistito in prima persona, i ricordi di un’infanzia trasognata e gli incontri con fuoriclasse come Carlo Ancelotti, i fratelli Abbagnale e Diego Armando Maradona, Riccardo Cucchi ci sintonizza su un’epoca e un calcio che sono parte di noi. Minuto per minuto.
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30 ottobre 2013

In libreria

Ugo Degl'Innocenti
Giornalismo e politica SpA. Un sodalizio canaglia
Roma,  Aracne, 2013, 252 pp.

Descrizione
Disorientati, ansiosi, qualcuno molto vicino a una crisi di nervi. Così sono apparsi i giornalisti televisivi italiani durante lo spoglio delle schede elettorali delle elezioni 2013, mentre appariva evidente l'affermarsi del Movimento 5 Stelle. Presi alla sprovvista dal successo dell'ex comico Beppe Grillo, il quale snobba proprio loro, negandosi alle interviste e rivolgendosi ai suoi seguaci nelle piazze o tramite il web, molti giornalisti appaiono come cantori del potere, aedi dei partiti e quindi poco credibili a una generazione che di giornali e talk show se ne infischia. Perché? La spiegazione va trovata nella storia del giornalismo italiano, da sempre avvinto come un'edera al potere: da Giuseppe Mazzini a Benito Mussolini, da Eugenio Scalfari a Giuliano Ferrara, passando per Michele Santoro, Lilli Gruber e Piero Marrazzo, professione giornalistica e carriere politiche s'intrecciano, dando vita a un modello tutto italiano di giornalismo schierato, ben lontano da quello liberale anglo-americano e quello democratico-corporativo dell'Europa continentale.

*Link all'Indice, alla Prefazione di Sergio Rizzo e all'Introduzione

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28 settembre 2012

In libreria

Ugo Intini
 «Avanti!» Un giornale, un'epoca
Roma, Ponte Sisto, 2012, 750 pp.
Descrizione
Il quotidiano del partito socialista, l’Avanti!, dal 1896 al 1993, è stato al centro della storia e spesso, più che raccontarla, l’ha fatta. I suoi direttori hanno infatti lasciato una impronta decisiva nelle istituzioni: da Bissolati a Mussolini, Gramsci, Nenni, Pertini e Craxi. I suoi collaboratori l’hanno lasciata nella letteratura, nel cinema, nel teatro e nell’arte. La vita dell’Avanti! viene raccontata ricostruendo anche gli ambienti, l’atmosfera e i caratteri. Una vita straordinariamente avventurosa, fatta di arresti, incendi, sparatorie con morti e feriti, ma anche di momenti esaltanti, come la vittoria nei referendum sulla Repubblica e sul divorzio, festeggiati da Nenni e Fortuna, i loro protagonisti, nella redazione che è stata il motore dei referendum stessi. L’autore, anche lui direttore dell’Avanti!, ha frequentato i suoi predecessori della seconda metà del ‘900. Aggiunge perciò alla ricostruzione storica aneddoti, particolari e testimonianze dirette, spesso inedite e destinate a far discutere. Specialmente in occasione del 120° anniversario del partito socialista, che si celebra nel 2012 con dibattiti e iniziative.
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15 aprile 2012

Il caso Morosini: la spettacolarizzazione della morte

Per me un sabato pomeriggio come tanti altri a seguire allo stadio la squadra del cuore. Ore 16:50: al termine della partita leggo sul tabellone dell'impianto sportivo genovese che la partita Pescara-Livorno è stata rinviata. Maltempo penso. Mi reco comunque nel primo bar dello stadio con una televisione in bella mostra per saperne di più e, mio malgrado, vengo a conoscenza della morte per arresto cardiaco del calciatore livornese Morosini. Da quel momento non ho neanche il tempo per riprendermi dalla notizia che inizia il tam tam mediatico. Le reti sia pubbliche che commerciali a suon di frasi retoriche preconfezionate mostrano sequenzialmente le immagini della doppia caduta dello sportivo prima di accasciarsi per un'ultima volta sul manto erboso. I diversi canali si contendono l'audience nel cercare di mandare per prime e il più velocemente possibile le tragiche riprese attestanti la morte. Come se si stesse mostando alla moviola l'esistenza o meno di un fuorigioco. Ma stavolta in ballo non c'è un goal. C'è la vita di una persona. Neanche la morte, quindi, ha più una dimensione intima, privata. Non importa se avviene in uno stadio dove ci sono migliaia di persone. La morte mostra così spietatamente il suo carattere democratico e crudele allo stesso tempo. Democratico perchè non guarda in faccia a nessuno: colpisce indistintamente giovani, anziani, uomini, donne, ricchi e poveri. Crudele perché si porta con sè un ragazzo dalla vita già travagliata e difficile: senza genitori, un fratello recentemente morto per suicidio e una sorella con un handicap. A dimostrazione che i soldi possono aiutare ma non sono tutto.
Ma più cinico e spietato è stato il mondo dell'informazione, con poche eccezioni, che ancora una volta ha dato vita al macabro reality della spettacolarizzazione della morte. Le immagini e le fotografie fungono abilmente da complemento a servizi e ad articoli ma in casi come questo sono così necessarie? Forse disseteranno la volontà voyeuristica di molti italiani. Una volontà voyeuristica che, troppo spesso, non conosce limiti. Infine, pur con il massimo rispetto per un ragazzo che purtoppo non c'è più, è tragedia solo se i media ne parlano? La morte, almeno per alcuni media non è uguale per tutti e non ha lo stesso peso nella bilancia dell'informazione.
Andrea Ghiazza

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27 aprile 2010

In libreria

Francesca Rizzuto
Giornalismo e democrazia. L'informazione politica in Italia

Palermo, Palumbo editore, 2009, 142 pp.
Scheda di presentazione dal sito dell'editore
Nell'epoca del disimpegno politico e della spettacolarizzazione delle realtà il tema del rapporto tra giornalismo e democrazia assume una centralità nuova, imponendo una ridefinizione nel nostro paese. Accanto alle conseguenze delle trasformazioni tecnologiche sul newsmaking, l'interrogativo sul ruolo attuale e futuro del giornalismo si intreccia con i cambiamenti possibili delle forme attuali di statualità, con i processi di formazione dell'opinione pubblica così come con le pratiche comunicative tra cittadini e governo nell'agorà contemporanea. I media ridisegnano i luoghi e gli attori della politica, abbattono i confini, modellano tipi inediti di soggettività individuali e collettive. Si spiega, così, la centralità del giornalismo nella vita contemporanea, capace di offrire significati condivisi utili per creare un nuovo senso comune e ritrovare appartenenze: in un contesto in cui i soggetti controllano più informazioni, vivono l'esperienza quotidiana della pluralizzazione dei mondi, si impegnano in un processo di costruzione dell'identità. Soltanto l'esistenza di un'opinione pubblica informata qualifica una democrazia e ne rende possibile il futuro. Il giornale, nell'attuale ecosistema comunicativo basato sulla Rete, potrà avere una nuova capacità aggregativa, connettere le informazioni in un processo coerente, produrre notizie verificabili, stabilire rapporti di fiducia con altri soggetti.
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23 aprile 2010

Confini

In diretta la direzione: scontro Berlusconi-Fini. Vorrei riflettere su un fatto positivo e uno negativo. Quello che è successo oggi è tanto incredibile quanto credibile. La situazione continuava a precipitare sempre più, dagli appunti politici agli insulti personali, dagli interventi ai microfoni ai gesti in piedi. La situazione precipitava sempre più e sempre più la direzione partecipava: applausi e urla da stadio, brontolii e facce da bar. Incredibile che le cose andassero così, ma credibile. Il fatto positivo: il faccia a faccia davanti alle facce, quelle dei membri in auditorium e quelle degli spettatori della diretta. Non solo, sono immagini che rimarranno: le loro espressioni, gli occhi e le dita, adulti e bambini, Berlusconi e Fini. Oltre i confini. Non ci sono state porte chiuse o agenzie stampa, non ci sono stati messaggi poi raccolti o giri di parole e volti. Le cose, Silvio e Gianfranco se le sono dette, i nomi sono stati fatti, gli esempi pure, per non parlare dei rimproveri e dei rancori, delle controversie e dei colori, delle intimità e delle intimidazioni. E l’han fatto in direzione e in diretta. Da un “vogliamoci bene” poco sincero, ma sereno a un “facciamola finita” poco sereno, ma sincero: il microfono fermo, la mano magari meno e “diciamolo davanti a tutti”. Questo mi ha sorpreso, ma non mi è spiaciuto. Domani forse. Mi ha sorpreso e spiaciuto invece il fatto negativo: i confini di Fini. Credevo che Gianfranco contasse di più. Quasi un’ora d’intervento e poi via col vento, appesi a un documento e con lui appena il sette per cento. Appena, apnea. Sottolineo che non mi è sembrato in ottimo stato Fini: sia nella forma che nei contenuti. Spento. Ripetitivo, ma poco incisivo. Meno duro del solito. Sottintendo che mi è sembrato sempre lui invece Berlusconi: sia nella forma che nei contenuti. Acceso. Sintetico, ma molto incisivo. Più duro del solito. Nonostante il punto di partenza fosse un sempre più illuminato Fini e un sempre più scuro in volto Berlusconi. Gli ultimi mesi sono stati così, almeno: al netto, consenso per Fini. Avevo pensato, che semmai fosse arrivato questo momento ci sarebbero state più firme al documento. Invece oggi i nodi sì, sono venuti al pettine, ma una mano l’ha tirato, una parrucca è venuta via con tutti i nodi e un’altra ce ne sarà sotto. Berlusconi ha stravinto, anche contro Fini. E non me l’aspettavo, non in questi termini. Concludendo la mia riflessione quindi, ora all’una di notte prima di andare a letto, sono colpito sia dall’esser andati oltre i confini della politica fatta dai dirigenti, dentro le dirigenze, diretti a se stessi, diritti e dietro. Sia dall’essere Fini risistemato entro i suoi confini. Lo scrivo ora, così tardi, perché domani, già presto, sarà diverso: in questi tempi veloci saremo già abituati ai faccia a faccia davanti a mille facce, in questi tempi duri saremo già abbattuti che un leader illuminato sia spento e confinato da un leader scuro in volto. Incredibile quanto credibile: abituati e abbattuti, tutti dentro i confini. In diretta. Buonanotte.


Ps. Solo un brutto sogno notturno:
“...Ti ho già detto che ho intenzione di vendere «Il Giornale», e se vuoi, se hai un uomo vicino a te o ad An, ci accordiamo: che lo comprasse lui…”.
Per fortuna Indro gli occhi li ha chiusi, non ha visto nè letto: l'idea che aveva di informazione libera e di illuminata destra sono confinate, quasi sfinite. Io invece no, domani mattina gli occhi li riaprirò. Con Fini.

Alessandro Ferraro

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11 gennaio 2010

Bechelloni, tra chiarezza e ripetitività

Il libro si sviluppa in dodici capitoli che hanno come comune denominatore l’attenzione che Bechelloni vuole catalizzare attorno alla professione giornalistica. La tesi che l’autore porta avanti con fermezza e lucidità è che il giornalismo è diventato ormai da tempo il principale produttore e divulgatore delle conoscenze che gli esseri umani hanno di se stessi, del mondo che abitano e che contribuiscono a far esistere e a trasformare. Tutto ciò argomentato da tesi secondo cui, nella società mediatizzata, il giornalismo d’attualità ha assunto un’inedita centralità per l’intero mondo della comunicazione (per il quale funzione da fonte di primo grado) e per il suo pubblico, che è costituito potenzialmente dall’intero genere umano.
Bechelloni parte da un’analisi generale sull’attuale stato di salute del giornalismo euro-atlantico, secondo lui sempre più vulnerabile, per poi concentrarsi sulle specificità italiane, mettendo in evidenza quei momenti della storia e della politica che hanno messo in crisi il giornalismo e l’intero sistema d’informazione nel nostro paese. Quelle posizioni che inquadravano il giornalismo come “quarto potere”, nel contesto del costituzionalismo moderno, oggi vengono meno, a favore di un giornalismo che sempre più si esercita a delegittimare la politica piuttosto che a vegliare su di essa.
Tutto questo l’autore lo esprime in forma chiara, semplice e scorrevole tanto quanto ripetitiva. Una costante in questo saggio è infatti la ripetizione; l’autore con ogni probabilità ha deciso di utilizzarla come tecnica per essere penetrante e per non lasciare spazio a errate interpretazioni, rischiando tuttavia di rendersi noioso.
Un’altra tecnica che viene più volte utilizzata da Bechelloni è quella di rivolgersi in modo molto diretto al lettore, richiamando spesso la sua attenzione con espressioni del tipo: “Cosa bisogna fare dunque per evitare questo rischio? Penso che il lettore attento lo abbia capito”. Si tratta di una tecnica molto usata da alcuni scrittori che la utilizzano per mantenere sempre vivo l’interesse alla discussione, coinvolgendo il lettore direttamente.
“Comunicazione”, “giornalismo” e “politica” sono le parole chiave del libro; esse danno il titolo ad uno dei paragrafi centrali e vengono messe in relazione tra loro sulla base di quella “attenzione per l’altro” che dovrebbero avere, e che, secondo l’autore, in questi ultimi quindici anni è venuta meno. In questi passaggi Bechelloni si dimostra perentorio e dispiaciuto ma altrettanto convinto in una possibile inversione di tendenza.
Non mancano inoltre continui riferimenti al sistema politico e informativo americano, le cui sorti hanno condizionato fortemente il sistema delle democrazie europee a carattere liberale. Analogie e differenze tra il giornalismo politico europeo e quello americano vengono messe in luce da Bechelloni con la solita chiarezza e lucidità.
Nel focalizzare il punto di svolta di un giornalismo politico italiano “critico per” a favore di un giornalismo “critico contro”, l’autore mette in evidenza il periodo degli “anni di piombo”, l’assassinio di Moro e il peso che hanno avuto due personaggi come Craxi e De Mita nel panorama politico italiano. E’ da questo momento in poi che, secondo Bechelloni, il giornalismo italiano si esercita a delegittimare la politica; condivisibile o meno la tesi è interessante ma allo stesso tempo ideologizzata e semplicista. Infatti l’autore afferma che Craxi non piaceva perché era troppo alto, arrogante o esplicito e De Mita troppo nebuloso e incomprensibile. Di sicuro non sono piaciuti ma non di certo per l’altezza o per l’incomprensibilità. Non sono piaciuti perché con “mani pulite” si è scoperto che erano corrotti e che le loro condotte erano profondamente antidemocratiche. L’autore in questo caso si dimostra un po’ troppo nostalgico di quella prima Repubblica che sicuramente qualcosa di buono lo aveva fatto, ma che in quel momento stava delegittimando se stessa. In questo caso sono giustificati i risentimenti di un giornalismo che, in quanto cane da guardia del potere politico, doveva prendere le distanze da tali condotte.
L’autore conclude il saggio concretamente, lanciando un’idea per la rinascita di un giornalismo di opinione consapevole. L’idea è quella di istituire una Scuola Superiore di Giornalismo affinché la formazione alla professione giornalistica abbia una validità istituzionale riconosciuta, alla pari di altre professioni non meno importanti.
Giorgio Dellepiane
Giovanni Bechelloni
La comunicazione giornalistica. Una centralità poco percepita
Firenze, Le Lettere, 2009, 162 pp.

 

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