Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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30 gennaio 2020

Evoluzione dell’analogico o rivoluzione del digitale?


La storia dell’evoluzione dell’uomo conserva ricordi di momenti storici di grande rilievo, come lotte di classe, guerre ed eventi che hanno segnato la cronaca mondiale. Oggi l’umanità è in una nuova fase di questo processo, ovvero quella del digitale.  In merito a questo contesto si può notare come l’individuo non riesca a fare a meno di porsi delle domande sulla questione, e per tale motivo viene definita come ossessione dello studioso.
I media, così come sono utilizzati ai giorni odierni, non sono nati da un netto passaggio da una fase all’altra della storia, ma da un processo di creazione lento in un alternarsi di progressi e regressi. Grazie alla linea temporale dei due autori del testo, Balbi e Magaudda, si ha una chiara visione di quale sia stata la storia di tutti i media digitali che ora appartengono all’intera popolazione mondiale. Inoltre, è interessante sapere come nascono quelli che oggi sono considerati non più solo degli aiutanti ma elementi indispensabili entrati nelle vite quotidiane di molte persone.
Questo volume, attraverso dei macro-excursus divisi per argomento, disegna una linea del tempo dei mezzi più utilizzati, presentando le menti più brillanti della storia come Joseph – Marie Jacquard, Bill Gates, Steve Jobs e Steve Wozniak, che sono a capo di quelle società che di volta in volta hanno idealizzato il processo di comunicazione degli ultimi anni.
Tra le righe di questo testo c’è una delle domande più frequenti e rilevanti che l’uomo si sia mai posto e che ancora manca di risposta: “Quella dell’epoca digitale è da considerare come una rivoluzione o una semplice continuità dell’era analogica?”.
Non è semplice rispondere ad un quesito di questo tipo, soprattutto, perché questo periodo di passaggio non è ancora terminato, basti pensare alle continue evoluzioni di sistemi tecnologici che sono sul mercato ogni anno, oppure alle questioni irrisolte di alcuni paesi. La Cina, ad esempio, rifiuta un passaggio della radiofonia da analogica a completamente digitale, mentre, altre nazioni utilizzano ancora molti canali televisivi analogici. Guardando indietro alla nascita dei tre pilastri dei media moderni, ovvero, alla storia del computer, di internet e della telefonia mobile, è possibile notare come non si possa parlare di una vera e propria rivoluzione. Il motivo è legato all’aspetto decisionale politico ed economico delle aziende nello scegliere non sempre la strada verso il successo, ma quella della conservazione, come il caso dell’Ibm. Un altro esempio è il ritorno di vecchie apparecchiature come il disco in vinile, il quale procede di pari passo con la musica on-line, senza mai scomparire del tutto. Tutti questi elementi allontanano l’idea della digitalizzazione come un processo che rappresenta un punto di svolta nella storia.
Ciononostante, anche se non è chiaro il risultato finale, molti studiosi e scienziati hanno dedicato – e dedicano – la loro vita, nel creare dei veri e propri contributi storici, si sono lanciati in dei salti nel vuoto.
Inoltre, riflettendo in maniera oggettiva, queste tecnologie dell’attuale millennio, probabilmente, non sarebbero potute nascere in tempi molto più brevi rispetto a quelli che sono stati in realtà. Questo perché pur subendo dei rallentamenti, i processi verso il digitale iniziati all’incirca dai primi decenni del Novecento, hanno avuto una grande svolta in meno di mezzo secolo per molti media, come il caso del telefono cellulare.
Pertanto, non si può parlare di una vera rivoluzione ma nemmeno di una semplice conseguenza dell’analogico.  Non è sufficiente ritrarre in un generico passo in avanti, ciò che è accaduto alla comunicazione in questi anni, ed è riduttivo, infatti, parlare di eventi a catena. Le innovazioni apportate, hanno creato un nuovo mondo e una popolazione diversa: partendo dalla nascita nel 1945 del primo computer Eniac, alla proposta di Apple di un apparecchio da utilizzare in casa, fino alla decisione della Microsoft di far valere i propri diritti di Software – importanti tanto quanto la componente Hardware –, sono parti di un processo che intende comunicare un cambiamento non soltanto nel percorso storico, ma nella mentalità umana.
Non è di certo la prima volta che l’uomo pensa in grande per cercare di raggiungere qualcosa che a prima vista sembra irraggiungibile. Difatti, basti notare che i primi strumenti digitali, ovvero, il computer e internet sono entrambi nati come strumenti prevalentemente militari: una delle maggiori fonti d’investimento per un Paese è la sicurezza della propria terra e del posto che esso presiede all’interno del sistema globale. Pertanto, è “naturale” che molti studiosi si siano spinti ad un immaginario dove vi fossero delle importanti tecnologie.
Tuttavia, qualcosa di rivoluzionario vi deve essere: gli autori, infatti, ritengono che i motivi per considerare quello del digitale, un percorso di rivoluzione, siano vari. A partire dal concetto di impatto globale, a quello di prosumer, parola coniata da A. Toffler nel 1980 per esprimere la nuova visione di informazione. Essa coinvolge attivamente i consumatori che, pertanto, iniziano anche ad essere fonte di messaggi e non solo ricettori. Inoltre, è possibile andare anche oltre la realtà odierna e immaginare una “grande utopia della convergenza”. Quest'ultima, inclusa nella macchina Überbox, racchiuderebbe insieme tutti gli strumenti sul mercato (Ipad, Ipod, mp3, computer e smartphone).
Pertanto, alla domanda posta in precedenza, ovvero, se il digitale sia una rivoluzione o un’evoluzione del digitale, la risposta potrebbe essere trovata attraverso due esempi: il primo riguarda Jacquard che nel 1801 decise di modificare la struttura del telaio, introducendo delle componenti hardware e software per creare un telaio automatico. In proposito, questo tipo di tecnologia non era stata inventata da lui, tuttavia, fu in grado di trovare per questi prodotti un altro utilizzo in un settore completamente diverso.
Il secondo esempio, che probabilmente sarà più chiarificante, è quello che ha dato origine alla casa di produzione Apple. Steve Jobs e Steve Wozniak non crearono il personal computer, anzi, si basarono sulle macchine già create e collaudate da altri prima di loro, ma ebbero l’idea rivoluzionaria, di allargare il consumo di tale apparecchio, e di estenderlo a tutti i consumatori. Questi due uomini, considerati hacker, si resero conto che la macchina (il computer) che era usata da pochi e limitata alle necessità burocratiche e aziendali, poteva essere “alla portata di tutti”, e fu così che nacquero i primi computer.
Naturalmente, una strategia pubblicitaria e capacità di marketing favorirono l’azienda Apple, che per tale ragione oggi è uno dei leader del settore. Tuttavia, questa parte della storia vuole mandare un messaggio chiaro opposto a quello che Clayton Christensen definì “dilemma dell’innovatore”. Ciò che è rivoluzionario nei media digitali, non sono gli strumenti e lo sviluppo delle macchine ma è la “lampadina che si accende” nella mente di qualcuno e nella forza di chi crede in se stesso, perché, in fondo, una delle caratteristiche della parola rivoluzione è anche il coraggio.
Sara Esposito

G. Balbi – P. Magaudda,



29 gennaio 2020

Le bugie hanno le gambe corte, ma in rete un po’ meno

Se la disinformazione esistite da sempre, perché solo oggi prende il nome di fake news?  Giuseppe Riva, professore di Psicologia della Comunicazione e direttore del Laboratorio dell’Interazione Comunicativa e delle Nuove Tecnologie (LICENT) di Milano, decide di rispondere a questo e ad altri interrogativi nel suo libro Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità (Bologna 2018).Il testo mira a chiarire un concetto che, come più volte ribadito dall’autore, è stato inserito nel linguaggio corrente solo a partire dal 2015; infatti, le fake news appartengono ad una realtà del tutto nuova, o per utilizzare un termine coniato dallo stesso Riva, ad un’«interrealtà». Quest’ultima emerge come risultato della fusione fra mondo concreto/offline e mondo virtuale/online, due dimensioni che influenzandosi l’una con l’altra possono generare particolari effetti psicologici sugli individui. Ma procediamo con ordine, così come ordinata appare la riflessione di Riva.A partire dal primo capitolo del saggio, Riva fornisce una panoramica dettagliata sulle modalità con cui nascono le fake news e sul significato che esse assumono, in modo tale che ai lettori risulti possibile comprenderne la profonda diversità rispetto alla comune disinformazione. La differenza, spiega Riva, è segnata soprattutto dalla odierna presenza dei social network, luoghi in cui, senza troppa fatica, una fake news può essere divulgata e condivisa, oltre che ripercuotersi sulle credenze degli individui.L’autore sottolinea più volte il mutamento avvenuto con il passaggio dai vecchi ai nuovi media, in seguito al quale il click per sottoscrivere un «mi piace» ad un post non può essere ritenuto equivalente al click per cambiare un canale della televisione. Un click sui social network comporta conseguenze, può fornire informazioni sulla personalità degli utenti, può essere sfruttato per la diffusione di contenuti inappropriati. Da qui, Riva presenta un’analisi strettamente psicologica dei mezzi tramite i quali prendono campo le fake news e dei fattori umani che ne incrementano la riuscita, tra cui un recente, e scientificamente provato, calo della soglia d’attenzione. Nell’ultimo capitolo, Riva illustra quali escamotage sono stati messi in atto dalle istituzioni e dalla rete stessa per tutelare gli utenti dalla valanga di fake news che giornalmente invadono le pagine web, ma il focus maggiore viene posto sul singolo: secondo l’autore, siamo noi, a livello individuale, i principali responsabili incaricati di prendere misure di sicurezza. Pertanto, dobbiamo imparare a sviluppare un adeguato senso critico ed a seguire precise norme comportamentali, da applicare ogniqualvolta ci accingiamo a leggere o ad intervenire online.Alla luce di quanto esposto, ci accorgiamo che l’attuale rischio di incorrere in una visuale distorta della realtà ci attende dietro l’angolo e, come evidenzia lo studioso, ciò non mette a repentaglio soltanto la nostra percezione inerente alla sfera politica, economica e sociale, bensì influisce addirittura sulla nostra emotività. Il presente saggio, dunque, rappresenta un’occasione per riflettere sul mondo virtuale nel quale ormai siamo immersi e ci dimostra propriamente come le bugie online non abbiano sempre le gambe così corte.Nel corso del libro, Riva raggiunge gli obiettivi che si era prefissato, ovvero fornire valide risposte ai quesiti riguardanti le fake news e presentare i più complessi meccanismi che le caratterizzano, il tutto con grande capacità esemplificativa. Di fatto, la scrittura vivace, ordinata e pungente dell’autore colpisce dritta alle coscienze dei lettori e consegna nelle mani di ciascuno gli strumenti per ricercare la verità anche laddove quest’ultima viene offuscata da una subdola – e forse più alla moda–post-verità. Ragion per cui, bisogna prestare attenzione: abbassare la guardia è questione di un attimo.
Giulia Marino

Giuseppe Riva
Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità

 il Mulino, Bologna, 2018.


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28 gennaio 2020

Visual Journalist: un libro per reagire alla cultura visiva



È possibile essere dei buoni giornalisti con un pubblico di non-lettori?
L’opera di Paolo Schianchi è una finestra che si spalanca sulle condizioni attuali del mondo dell’informazione. Già dalle prime pagine l’autore contestualizza il lavoro del visual journalist, facendo emergere l’essenzialità di una professione che merita una particolare attenzione.
Siamo nel pieno della cultura visiva, le immagini permeano la nostra quotidianità ed è sempre più comune la tendenza a informarsi guardando. Date le caratteristiche dell’epoca attuale, il visual journalist ha il compito di scrivere visivamente una notizia, il cui contenuto deve essere leggibile dagli utenti. Attraverso molti esempi efficaci, Schianchi illustra come le immagini stiano diventando indipendenti dalle parole, quando prima ne erano un completamento. Chi svolge la professione ha la responsabilità di comporre notizie che siano comprensibili a tutti e immediatamente chiare, attività che richiede ben di più di una resa esteticamente piacevole. Come afferma l’autore, “un visual journalist sa governare l’emozione dell’immagine per diffondere il suo messaggio, in quanto padroneggia le raffigurazioni dal punto di vista compositivo, lessicale e tecnico.”
È fondamentale capire come si possa realizzare una buona informazione cavalcando il cambiamento mediatico e l’intento di Schianchi è spiegare come il visual journalism possa essere una disciplina efficace, senza screditare l’importanza delle parole. Infatti, queste ultime sono ancora il potente mezzo che permette di approfondire la conoscenza e hanno un primato da reputarsi tuttora ineguagliabile. Ciononostante, è sempre più opportuno reagire al cambiamento della comunicazione con novità intelligenti che valga la pena conoscere, perché informando meglio, si preserva la vera ricchezza dell’essere umano.
Marta Massardo

Paolo Schianchi,
Visual Journalist. L'immagine è la notizia
Franco Angeli, Milano, 2018.


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27 gennaio 2020

Extramedia. Evoluzione del giornalismo.

Il mondo del giornalismo sta vivendo un’epoca di trasformazione; una transizione che ha avuto inizio con l’avvento di Internet ed ha subìto una rapida accelerazione con la venuta degli smartphone.
La tecnologia ci ha condotti così “al passaggio dalla comunicazione di massa ad una individuale, con impatti notevoli per l’industria dei media“ (Domenico Ioppolo).
Nel libro Giornalismo aumentato. Attualità e scenari di una professione in rivoluzione, a cura di Giorgio Triani, (Franco Angeli, Milano, 2017), ci viene offerta una panoramica di quella che è oggi la professione del giornalista e i nuovi percorsi del giornalismo nell’era dei social media.
Principalmente il web ha determinato la disintermediazione dell’informazione, riducendo l’oggetto “giornale” a mero veicolo e slegandolo dal rapporto di fiducia con il lettore. Nel momento in cui le notizie sono fruibili in rete gratuitamente, perché pagare per leggerle? Per la stampa l’esito è stato disastroso con un vertiginoso calo progressivo delle vendite di quotidiani e periodici.
Il processo di svalutazione dell’informazione ha colpito sia economicamente che qualitativamente, ed anche bufale e notizie fake hanno fatto la loro parte. I nuovi colossi del web hanno colto impreparati i media tradizionali e a farne le spese è stato più di tutti il lavoro giornalistico che ha perso prestigio agli occhi del pubblico a favore dei social media.
Il cambiamento fondamentale è avvenuto proprio nei lettori che d’un tratto sono divenuti potenziali autori e creatori di contenuti a loro volta; da qui il flusso di informazioni è diventato inarrestabile, “virale”.
È la realizzazione di quello che M. McLuhan aveva definito, con notevole anticipo, il villaggio globale (Gli strumenti del comunicare, 1964).
“In quarant’anni - scrive a proposito Antonio Mascolo - è avvenuta una rivoluzione ben più importante – anche se terribilmente simile – di quella di Gutenberg” e aggiunge “Tutte le unità (di tempo, di luogo ecc.) sono state spazzate via”, scrivere e pubblicare sono diventati un unico gesto.
Inevitabilmente, l’unica soluzione è l’integrarsi del giornalismo nel mondo digitale, ovvero il suo “ri-contestualizzarsi”. Diventa perciò fondamentale adottare la giusta strategia di marketing, occorre trovare nuovi linguaggi, nuovi modelli di business e sistemi per attrarre l’audience e far fronte anche ad un nuovo tipo di utente: il navigatore “nomade”. Si tratta perlopiù di un lettore distratto, superficiale, spesso “occasionale”, che ricalca il modello del telespettatore annoiato che fa zapping tra un canale e l’altro.
Ecco allora che gli articoli online si fanno più brevi, i titoli accattivanti, e si corredano di immagini e filmati per adattarsi allo schema (e allo schermo) di lettura social.
Il linguaggio pubblicitario e quello giornalistico si fondono in nuove forme di comunicazione e moltiplicano anche le figure professionali: dal data journalist allo specialista SEO (Search Engine Optimization) al Social Media Manager.
È un giornalismo aumentato, quello della raccolta dei dati, del “Visual Journalism” e dello “storytelling”, che si muove in un panorama ancora tutto da definire e che riscrive le sue regole in nome del “digital first” per competere con blogger, influencer e youtubers, ponendosi l’obbiettivo di riorientare l’opinione pubblica facendosi strumento di formazione oltre che di informazione.
Fabiana Pinna

Giornalismo aumentato. Attualità e scenari di una professione in rivoluzione
a cura di Giorgio Triani,
Franco Angeli, Milano, 2017.
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24 gennaio 2020

In libreria

La bottega delle narrazioni
Letteratura, televisione, cinema, pubblicità
a cura di: Stefano Calabrese, Giorgio Grignaffini
Carocci, Roma, 2020, pp. 168.
Descrizione
In un momento in cui la narratività sembra pervadere tutti gli ambiti sociali, dalla politica al marketing, il libro insegna in forme metodologicamente avanzate, rigorose e non amatoriali, a scrivere una storia. I capitoli sono scritti da esperti dei vari ambiti mediali e forniscono le istruzioni necessarie per organizzare lo storytelling nei settori del cinema, della letteratura, della pubblicità, dei graphic novel, della televisione e della cosiddetta transmedialità. Al termine di ciascun capitolo viene fornito come esempio di narrazione un possibile prequel, sequel o spin-off dell’incontro manzoniano tra don Rodrigo e Lucia.
Indice
Introduzione di Stefano Calabrese e Giorgio Grignaffini
La forma del racconto/Il narratore e la distanza dalla storia narrata/La focalizzazione/Il personaggio/La storia/I sette macrointrecci/Don Rodrigo e Lucia: un prequel, un sequel o uno spin-off
1. Il romanzo di Sandrone Dazieri
Premessa/Cosa raccontare/I personaggi e il punto di vista/Il tempo e la focalizzazione/L’ordine di distribuzione/I dialoghi/La revisione
2. Il graphic novel di Leonardo Valenti
Premessa/I narratori, i personaggi e il plot/La scena e il tempo/La costruzione del testo/La relazione tra sceneggiatore e disegnatore/Un prequel dei Promessi sposi
3. La sceneggiatura cinematografica di Mauro Spinelli
Premessa/Gli step del lavoro/Il dinamismo e la staticità/La sceneggiatura
4. Le serie tv di Luigi Forlai
Premessa/Il tema e i personaggi/Le forme prevalenti di narrazione/Il budget/La serie tv dei Promessi sposi/Una prima opzione di sceneggiatura: il punto di vista di Lucia /Una seconda opzione di sceneggiatura: il punto di vista di don Rodrigo/Conclusioni
5. Lo spot pubblicitario di Riccardo Sabbadini
Premessa/L’obiettivo: essere persuasivi/Dal cliente all’ideazione del tema/La sceneggiatura/Un primo commento/Le rifiniture/Un secondo commento/Conclusioni
6. Il transmedia storytelling di Max Giovagnoli
Premessa/Universi, nebulae, story worlds e untold stories/Creare story worlds transmediali/I punti di vista e i personaggi transmediali/Il sistema comunicativo transmediale/Il transmedia storytelling per La sposa promessa/Conclusioni
Bibliografia

Gli autori

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14 gennaio 2020

La guerra era finita ma ...

In questo primo mese del nuovo decennio l'attenzione di varie reti tv si è sintonizzata sui primi mesi del secondo dopoguerra annunciando una serie di film particolarmente riflessivi, soprattutto per chi non sa in quale inferno sia stata scaraventata l'Europa negli anni dei nazifascismo. Ieri - e nelle prossime puntate - Rai1 con La guerra è finita racconta lo strazio dei bambini e adolescenti ebrei scampati allo sterminio e in quelle storie si può riconoscere anche la vicenda personale di Liliana Segre. Lunedì 6 gennaio su Cielo è andato in onda il film danese di Martin Zandvliet Land of Mine, che ha raccontato la storia vera di "ragazzi" - perché erano poco più che ragazzini - dell'esercito tedesco ormai sconfitto obbligati dai danesi a liberare le coste della Danimarca dai milioni di mine che i tedeschi stessi avevano interrato in vista di uno sbarco alleato. Una storia dolorosissima di vincitori e vinti, che ben evidenziava lo sconquasso umano della guerra. E difficile non mettere in connessione quelle storie con il film immenso di Renzo Rossellini Germania anno zero del 1948, proprio nel periodo in cui quegli stessi vincitori e vinti riuscivano ad avviare il progetto dell'Europa comunitaria (oggi quasi vilipeso).
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10 gennaio 2020

In libreria

Gillo Pontecorvo
Il sole sorge ancora
Tra politica, giornalismo e cinema
Mimesis, Sesto San Giovanni, 2019, pp. 174.
Descrizione
Noto come regista cinematografico dalla grande inventiva, ma dalla scarsa prolificità – nel giro di un trentennio di attività diresse solo cinque film, la maggior parte oggi considerati leggendari, un mediometraggio e un pugno di documentari –, Gillo Pontecorvo intraprese all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale la carriera di giornalista, dapprima inviando corrispondenze da Parigi, dov'era tornato a vivere, e successivamente assumendo la carica di direttore di “Pattuglia”, la più popolare delle riviste giovanili del Partito Comunista. Quest’antologia raccoglie di quest’ultima sua esperienza gli editoriali, gli articoli e le interviste redatti tra il 1947 e il 1950 sia come collaboratore e, successivamente, come direttore. In appendice quattro interviste a Pablo Picasso, Marlene Dietrich, René Clair e Jean Frédéric Joliot-Curie, pubblicate nel 1947 da Pontecorvo su “Omnibus”, “Milano- Sera” e “La Repubblica”. 
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05 gennaio 2020

L'importanza della riflessione critica nel pensare contemporaneo


La nostra epoca è caratterizzata da un eccesso di stimoli provenienti da ogni dove: gli smartphone, la televisione, internet... da ogni fonte giunge un costante flusso di informazioni che circolano e si susseguono ad una velocità senza precedenti. La sovrabbondanza di cui quotidianamente facciamo esperienza può però portare ad un senso di angoscia e paralisi: in che modo riusciamo a capire cosa dovremmo leggere, ascoltare, guardare? In un mondo di costante cambiamento, come si può capire ciò che è bello? E sulla base di cosa ciò che è bello è tale?
Ecco che il ruolo della critica si rivela in tutta la sua importanza e Andrew Scott, critico cinematografico del New York Times, effettua un'intelligente analisi di quest'importantissima attività, non solo in veste professionale, ma come attitudine quotidiana poiché, e come lui stesso afferma, a tutti piace giudicare e tutti giudichiamo.
Il saggio di Scott non si propone di fornire quelli che sono i dettami critici che gli individui dovrebbero operare nelle loro scelte quotidiane, ma evidenzia l'importanza di formarsi un pensiero critico e di esercitarlo con costanza in tutte le situazioni, anche quelle di semplice svago, che siamo portati a pensare non debbano suscitare profonde riflessioni o da intellettualizzare. Al contrario, Scott evidenzia come proprio in quei momenti sia importante esercitare un pensiero critico, per non togliere la possibilità a film o libri, apparentemente di intrattenimento puro e semplice, la possibilità di essere qualcosa di più, ad esempio un potenziale oggetto di riflessione.
Attraverso un'attenta analisi, anche storica, del ruolo della critica e del mestiere del critico, Scott sollecita a non adagiarsi nella comodità del pensiero di gruppo. Egli invita a superare l'alone di pregiudizi di cui è ammantata la critica, sorella gemella dell'arte e forma d'arte essa stessa.
È in base a ciò che ci piace e ciò che non ci piace che formiamo la nostra identità di individui, siamo tutti accomunati dal desiderio di coltivare il piacere verso qualcosa e l'attitudine critica è dunque fondamentale.
Questo testo, che si pone come “manifesto contro la pigrizia e la stupidità”, accompagna il lettore in uno stimolante viaggio nel mondo della critica per meglio comprenderla ed esercitarla nella nostra così abbagliante e caotica contemporaneità.
Selina Grillone


A.O.Scott
 Elogio della critica. 
Imparare a comprendere l'arte, riconoscere la bellezza 
e sopravvivere al mondo contemporaneo
Milano, il Saggiatore, 2017, pp. 256.

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04 gennaio 2020

Genova in libreria

 Giovanni Battista Varnier
 "Dio e Patria. I cattolici genovesi nella Grande Guerra"
Stefano Termanini Editore, Genova, 2019, pp.104.
Descrizione
La pubblicazione presenta, in forma agile ma documentata, le posizioni assunte dal mondo cattolico genovese di fronte al primo conflitto mondiale. Sono pagine di storia che non devono essere trascurate per non dimenticare il sacrificio e la lealtà alle istituzioni dei cattolici, ma anche per riflettere sulle tragedie della guerra.

*Indice 
Premessa
Prima Parte Il contesto generale
Seconda Parte Momenti
Terza parte Figure rappresentative
Quarta Parte Documenti
Postfazione Il patrimonio di storia sociale e religiosa delle Società operaie cattoliche

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