Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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31 ottobre 2021

La valanga dell'informazione

 "La valanga scatenata dall'informazione ad oltranza ha trasformato il giornalismo, ucciso i grandi articoli di discussione, ucciso la critica letteraria, dato ogni giorno più spazio ai dispacci, alle piccole e grandi notizie, ai processi verbali del reporter e degli intervistatori."
Emile Zola, 1888

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30 ottobre 2021

In libreria

Massimo Fini
Il giornalismo fatto in pezzi 
Marsilio, Venezia, 2021, pp. 832
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Descrizione
Trent’anni di storia d’Italia, dai Settanta al Duemila e oltre. Uno spaccato di vita e degli eventi cruciali che hanno trasformato la nostra società in senso antropologico, sociologico, psicologico e, più ampiamente, culturale. Attraverso la sua attività di cronista e di inviato Massimo Fini ci racconta storie di vita, testimonianze di uomini e donne dall’estrazione sociale e dalle esperienze più diverse, ritratti di personaggi famosi, politici ma soprattutto artisti e letterati, la cui memoria affonda spesso ancora più lontano, nel periodo fascista e della guerra. Se, come afferma Benedetto Croce, «la Storia è il passato visto con gli occhi del presente», chi legge questo libro potrà, con gli occhi dell’uomo di oggi, trovarvi cosa rimane di quelle stagioni, di quelle speranze, di quelle illusioni e delusioni. Ci sono infine alcuni reportage internazionali – e qui il giornalista si salda con lo scrittore – che nel raffronto fra culture e società a volte omologhe, altre molto diverse, ci aiutano a capire meglio qual è stato, qual è e quale potrà essere il ruolo dell’Italia in un mondo divenuto globale.

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29 ottobre 2021

Tempi pandemici

Ogni anno milioni di italiani devono compilare la dichiarazione dei redditi su moduli prestampati che comprendono anche gli spazi riguardanti la dichiarazione riguardante la destinazione dell'8/mille, ogni anno milioni di italiani sono implicitamente invitati ad indicare la loro appartenenza religiosa sottoscrivendo una delle caselle di riferimento (elencate sulla base di precisi accordi tra le Stato italiano e i vari culti, prima tra tutte la Chiesa cattolica). Personalmente, fin dalla prima volta, ho sempre considerato inaccettabile questa opzione da controfirmare nero sue bianco ritenendo che ogni posizione su una qualsiasi fede religiosa non debba riguardare lo Stato, per cui ho sempre scelto di barrare tutte le caselle, dalla prima all'ultima, tutte indistintamente negando sempre allo Stato ogni possibilità di appropriarsi di una informazione che non gli deve competere (in tal caso l'8/mille è destinato allo Stato, con qualche distinguo). Ora, di fronte a questa polemica surreale sul green pass, sarebbe utile sapere quanti "NOgreenpass" si sono percepiti come "schedati" di fronte alla compilazione del format dell'8/mille? quanti hanno ritenuto di NON dover indicare la propria appartenenza religiosa o la posizione di atei o non credenti, considerando la richiesta di questo dato una forma di intrusione ingiustificata?. E' quasi certo che nell'Italia della "incerta fede" (citando il titolo dell'indagine di R.Cipriani edita da FrancoAngeli nel 2020) nella stragrande maggioranza i contribuenti abbiano firmato la casella scelta senza porsi domande sulla legittimità di questa richiesta in uno Stato laico. Inoltre, da sempre e in molte circostanze, gli italiani si ritrovano (inconsapevolmente) a consegnare i propri dati sensibili a soggetti pubblici o a privati, sottoscrivono adesioni a ogni tipo di richiesta, al supermercato. per la strada, nel Web, senza chiedersi se le persone che hanno di fronte hanno i requisiti di legge per richiedere una firma o una serie di risposte a quesiti di tipo riservato. E tra questi ci sono anche i "NOgreenpass" che (inconsapevolmente) hanno firmato senza neppure verificare la qualità e la legittimità della richiesta. Perché ora, di fronte al Green pass, uno strumento che deve definire la reciproca e serena convivenza tra vaccinati e tamponati, emergono i cavilli della discriminazione, con sistematici parallelismi con le vere e inenarrabili discriminazioni applicate durante il nazifascismo a ebrei, rom, omossessuali e disabili, fino agli orrori dei campi di sterminio?
mmilan
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25 ottobre 2021

Ansia da informazione

Siamo nell'era della sovrainformazione che produce ansia da informazione*, ovvero disinformazione per cui si dovrebbero conoscere le regole della buona selezione delle fonti di informazione. Selezionare e scartare, scartare tutto quel che pare incerto o inattendibile. Scartare per scremare, selezionare e confrontare, e di nuovo selezionare per ben decodificare fatti e commenti, per decidere il che fare in ogni scelta della nostra vita. Questo si dovrebbe insegnare a scuola, precisando sempre che nella società complessa, multimediale e interconnessa non esiste democrazia senza una buona informazione. I CARE sintetizzava Don Lorenzo Milani perchè anche l'informazione è un dovere di civile convivenza.
mmilan

*cfr. Richard Saul Wurman, L'ansia da informazione, Leonardo, Milano, 1991, pp. 469 (pubblicato in anni in cui per il giornalismo il mondo internet era agli albori).
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24 ottobre 2021

In libreria

 Craig Whitlock  
Dossier Afghanistan 
 Newton Compton, Roma, 2021, pp. 352.   

Descrizione
Un racconto esatto e serrato su come tre presidenti degli Stati Uniti e i loro capi militari abbiano ingannato il mondo per venti lunghi anni per giustificare un conflitto infinito costato oltre 2300 miliardi di dollari e 241.000 morti. Proprio come I Pentagon Papers hanno cambiato la comprensione del pubblico del Vietnam, gli Afghanistan Papers riportati nel libro contengono rivelazioni sorprendenti di persone che hanno avuto un ruolo diretto nella guerra, dai leader della Casa Bianca e del Pentagono ai soldati e agli operatori umanitari in prima linea. Con un linguaggio schietto, gli intervistati ammettono che le strategie del governo sono state un disastro, che il progetto di ricostruzione della nazione è stato un colossale fallimento e che la corruzione ha preso il sopravvento sul governo afghano. Il resoconto si basa su interviste con più di 1000 persone che sapevano che il governo degli Stati Uniti stava presentando una versione distorta, e talvolta interamente inventata dei fatti. Craig Whitlock, reporter del «Washington Post» e tre volte finalista al Premio Pulitzer, mostra che il presidente Bush non conosceva il nome del suo comandante in Afghanistan e non aveva alcun interesse a incontrarlo. Il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld ha ammesso di non avere «nessuna idea su chi fossero i cattivi». Il suo successore, Robert Gates, ha dichiarato, ancora più esplicitamente: «Non sapevamo nulla di al-Qaeda».
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23 ottobre 2021

Altri orizzonti

"Il contadino manteneva un legame permanente con l'immensa creazione del mondo, e spirava nelle profondità del pianeta, accanto ad Abramo. Invece noi, scorso il giornale, moriamo solitari sul nostro divano angusto e superfluo. Dove va a finire tutto il nostro orizzonte, tutta la nostra capacità ricettiva quando ci togliamo i calzoni o ce li sfilano di dosso? Oppure quando portiamo il cucchiaio alla bocca. Prima di impugnare il cucchiaio, il contadino cominciava col farsi il segno della croce e con questo solo gesto riflesso si legava alla terra e al cielo, al passato e al futuro".
Andrej Sinjavskij

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12 ottobre 2021

"La scomparsa della conversazione"

"La quasi totale scomparsa della conversazione (probabilmente il solo divertimento dei nostri antenati) ha fatto sì che lo scambio di idee sia diventato un genere particolare di spettacolo. Tre o quattro persone che sono ritenute qualificate, abilitate a esprimere idee, si radunano intorno a una tavola rotonda, e il pubblico, stupito e annoiato assiste al loro colloquio. Talvolta i conversatori appaiono sul video, talaltra sono presenti in carne ed ossa in una sala, di fronte a un certo numero di invitati. I conversatori esprimono le loro idee, le loro opinioni. C’è qui qualcosa di anacronistico perché anche le opinioni – materia prima di ogni conversazione non meramente utilitaria – hanno da tempo seguito la stessa sorte dell’arte del conversare: sono scomparse. Naturalmente non si dà scomparsa senza sostituzione dell’ente o dell’oggetto sparito; e in questo caso le opinioni, che sono giudizi di valore, indipendenti dalle fluttuazioni provvisorie del gusto e del costume, sono costituite da fiato di voce, da chiacchiere prive di consistenza ma dotate di una provvisoria efficacia. Coloro che reggono la vita pubblica (politici amministratori, uomini d’affari) non potrebbero impunemente mostrarsi a vuoto di idee generali, di opinioni; e quanto più il vuoto è reale tanto più essi sono tenuti a coprirlo col vento della loro verbosità. Non altrimenti potrebbero andare le cose, perché il linguaggio – veicolo di ogni opinione – è anch’esso in crisi. Una importante scuola filosofica si è sforzata di dimostrare che il linguaggio non afferra enti reali ma fantasmi. L’uomo, sostanzialmente, non sa nulla di sé, ma per vivere deve darsi significati del tutto provvisori. Il filosofo è consapevole della sua ignoranza, ma è necessario impedire che l’uomo della strada si renda conto dell’ignoranza dei clercs e dei filosofi.

Si riesce a impedirlo? Un tempo si riusciva, perché gli uomini di dottrina, col sussidio della religione o di qualche filosofia positiva, erano ancora uomini di opinione; e soprattutto perché gli uomini indotti erano tenuti fuori dal circolo del pensiero. Gli uomini autorizzati a pensare erano pochi; la bomba del pensiero era custodita da rari specialisti che non avevano alcun interesse a farla scoppiare. Oggi la bomba è scoppiata e anche l’analfabeta ha il sospetto che la sua ignoranza valga la più scaltrita dottrina.
Reso balbuziente il linguaggio – al quale si riconosce una utilità non più che pratica, di segno utilitario – si mostra inutile la conversazione, ridicola l’affermazione di opinioni che pretendano di cristallizzare in un senso o nell’altro il flusso della vita. Resta il problema della comunicazione, tutt’altro che insolubile sul piano della vita pratica. Si possono comunicare non idee, ma fatti e bisogni, con l’arte del segno, dell’allusione, con l’impiego di particolari cifrari; e a questo provvede la scienza delle comunicazioni visive. Un laureato in lettere che non avesse mai messo piede in un cinema non saprebbe comprendere i mille stenogrammi di cui è gremito un film moderno; mentre milioni di quasi analfabeti sono iniziati a quel tipo di linguaggio. Comunque, la sostituzione della parola con altro dalla parola, con differenti mezzi espressivi, rende sempre più affannosa la proliferazione dei mezzi visivi e magari acustici. Perché i pittori non dipingono più la figura umana e il paesaggio in cui vive l’uomo? Perché dietro l’uomo e dietro il suo reale habitat è pur sempre nascosta l’insidia della parola. Un’opera d’arte che si possa spiegare, tradurre in termini di linguaggio appartiene ancora al vecchio mondo che si alludeva di spiegare, di giustificare, di capire: è un’opera che non si muove, che nasce vecchia.
Così per la musica. Il tradizionale tonalismo era il prodotto di un’umanità ancora pensante e parlante; dietro il do maggiore c’era una concezione della vita che i filosofi e gli scienziati d’oggi respingono. Il passo da compiere era quello di dar corso legale alla dissonanza; e a questo si è arrivati in pochi anni. Non si era tenuto conto, tuttavia, di un fatto: che l’uomo aspira al caos ma non rinunzia al comfort, non rinunzia a un margine di sicurezza fisica. E a questo bisogno è stato facile provvedere imprigionando il caos musicale entro un sistema di regole fisse più o meno matematiche e in ogni caso arbitrarie. Oggi il disordine musicale non è più una minaccia, è un gioco di società. S’intende che un simile new deal musicale lascia inquieti e dissenzienti non pochi musicisti appartenenti all’ala sinistra del movimento modernista. Un giorno mi accadde di ascoltare una musica tutta fatti di sibili e di ruggiti, ma tale da permettere ancora qualche riferimento umano in virtù di un titolo che accennava a episodi della Resistenza. Il pubblico applaudì con moderata convinzione; ma un giovane e già stimato compositore straniero che assisteva al concerto dette in escandescenze e uscì dalla sala gridando: basta con questo umanesimo.
Dal suo punto di vista quello scalmanato aveva ragione: se l’uomo si vergogna di essere uomo è perfettamente logico che egli espunga dalle sue manifestazioni (non dico dal suo linguaggio, perché si tratta di ben altro) ogni riferimento alla sventurata condizione umana.
In realtà coloro che rifiutano davvero la condizione umana, fra gli artisti e i filosofi, sono pochi. Non mancano, fra questi ultra del mondo espressivo, i casi della rinunzia, del suicidio o della pazzia. Si tratta pur sempre di rispettabili e altamente comprensibili casi isolati. I più hanno compreso che la rinunzia, la protesta, il grido di chi non si rassegna e vuol morire sulla breccia sono, in se stessi, una eccellente materia di commercio. Sorge così la figura moderna di chi, tutto rifiutando e deplorando, prospera e impingua sulle macerie di un mondo che si suppone essere in disfacimento, ma che in verità gode di un benessere medio che non ha precedenti nella storia. Dimostrando che il linguaggio è una finzione priva di ogni contenuto e che l’uomo è sorto per caso dal nulla e che il nulla è la sua vera vocazione, il filosofo può conquistare cattedre e assurgere a reputazione mondiale. Distruggendo l’ipotesi stessa di ogni possibile arte, un artista di oggi può acquistare larga fama e vivere alle spalle del mondo borghese da lui detestato.
Il caso di chi vuol distruggere tutti e tutto ma non potrebbe vivere in un mondo diverso e trae buon partito dalla situazione ch’egli, spesso in buona fede, detesta, non si può, in ogni modo, generalizzare. Sono molti, ma non moltissimi, quelli che fanno mercato, e vantaggioso mercato, dell’equivoco in cui vivono. I più, la grande maggioranza, sono coloro che seguono passivamente la corrente e traducono in prodotto vendibile i gesti, gli atteggiamenti che sono nati da un autentico sentimento d’insoddisfazione e di protesta. Qui non c’è più equivoco, e non c’è nemmeno l’innegabile talento dei grandi mastri dell’equivoco. C’è la scaltrezza artigiana di chi segue – e a volte prevede e a volte addirittura determina – i bisogni della clientela.
Quale imbecille ha potuto affermare che manca nel mondo attuale ogni possibilità di comunicazione? Mai sono esistiti tanti mezzi di comunicare, né così facili né così irresistibili. L’importante è che fra questi mezzi sia sacrificata la parola, che ha il torto di non essere abbastanza polivalente e di pretendere a qualche durevole verità. L’industria della comunicazione sarebbe minata alla base se i mezzi espressivi pretendessero di avere qualche durata nel tempo. Quel che occorre non è il linguaggio, ma l’interiezione, l’accenno, il grido, il lampo, l’arabesco che nasce e muore nel giro di pochi istanti. Quel che abbisogna è ciò che si vede, si ascolta, si tocca per un attimo solo e poi viene bruciato e sostituito da un’altra analoga eccitazione.
In questa corsa verso il nulla la letteratura sembra alquanto sacrificata. Non rinunzia però ad aggiornarsi. I romanzieri descrivono ancora l’uomo ma lo riducono alla figura dei mannequins di De Chirico, ignorandone i pensieri e i sentimenti. Restano in coda gli scrittori tradizionali, che dell’uomo pretendono di non ignorare nulla. Battono una strada buona, ma sono quasi tutti mediocri, e per essi resta vero che la cattiva letteratura si fa coi buoni sentimenti. Eppure è proprio su quella strada che presto o tardi noi incontreremo ancora – di tanto in tanto – qualche scrittore leggibile.
Eugenio Montale,

E. Montale,  "La scomparsa della conversazione" in Nel nostro tempo, 1972, pp. 65-66 (già pubblicato in Auto da fè, 1962).
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06 ottobre 2021

In libreria

 Carlo Verdelli
Acido. Cronache italiane anche brutali
Feltrinelli, Milano, 2021, pp. 304.

Descrizione
"Benvenuti nel nuovo mondo. Dalla galassia Gutenberg (1450) si è passati in un baleno alla galassia Zuckerberg, dominata dal padrone di Facebook (ma anche di Instagram e WhatsApp) e dagli altri quattro regni che la governano (Apple, Amazon, Microsoft e Google): tutti insieme, nel 2020, l'anno desertificato dalla pandemia, hanno visto crescere i loro profitti di oltre mille miliardi di dollari, il 5 per cento del Pil statunitense. Un salto di civiltà." L'editoria attraversa una fase di vertiginoso passaggio. In Italia nel 2000 si vendevano 6 milioni di quotidiani al giorno. A giugno del 2020 il totale era precipitato a 1 milione e 300mila. Tutto marcia verso il cloud, mentre la fisicità della carta, dei centri stampa, dei punti vendita e del corpo redazionale si smaterializza. È un riflesso del fenomeno sociale che determina la nostra epoca: una rivoluzione inarrestabile che ci trasforma in immigrati digitali, abitanti di un mondo dove vale soprattutto il qui e ora. Eppure, esiste ancora un modo di fare giornalismo che cerca, rovista, butta per aria le verità ufficiali, senza trascurare alcun dettaglio, anche a costo di essere brutali. Forse solo così si può davvero capire qualcosa delle vicende e delle persone che hanno fatto e fanno l'Italia. Da Enzo Tortora a Rosa e Olindo, da Alex Zanardi a Patrick Zaki, da Vallanzasca alla coppia dell'acido della Milano bene, Carlo Verdelli racconta la nostra storia in 40 pezzi scritti su carta (tutti tranne l'ultimo) e ci guida in una galleria ricchissima e tumultuosa di casi chiusi ma rimasti spesso irrisolti, di infaticabili lottatori e di luoghi impregnati di trame e di simboli. Una storia perturbante e irresistibile di chi siamo e del perché siamo diventati così.
"Nessuna nostalgia per come eravamo. Nessuna prevenzione su come saremo. Soltanto la speranza che, nel salto di specie, la debolezza dei vecchi giornali non si traduca in debolezza dei giornalisti e quindi del giornalismo."
Un mosaico di grandi cronache, affrontate col rigore del mestiere e animate da una passione umana e civile.
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05 ottobre 2021

Il nuovo

 "La fisica è soprattutto questo: identificare fenomeni nuovi. Ma per cogliere al volo il”nuovo” devi avere coscienza di tutto ciò che conosci e di ciò che ti aspetti."

Giorgio Parisi - Premio Nobel per la fisica 2021

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