Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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14 aprile 2009

L'ultimo saluto

Per ricordare il terremoto che ha distrutto le città abruzzesi. Senza pietismi, né altro. Solo un modo per ricordare le vittime.

L’ULTIMO SALUTO
Un boato lungo venti secondi e poi il silenzio. Un cratere che inghiotte tutto ciò che poteva, lasciando morte e disperazione. Erano le 3:32 del 6 aprile.
Le lancette dell’orologio in piazza ancora ferme al momento della tragedia. Testimoniano quella notte. Macerie. Case che si sbriciolano ancora davanti agli occhi dei superstiti. Voragini che si aprono sotto ai piedi. La terra trema e non accenna a smettere. Le scosse di assestamento non rendono pace agli abitanti. Terrore. Ancora.
Duecentonovantaquattro i morti. Un’intera regione spazzata via. Solo cumuli di terriccio e pietre. Non ci sono neanche le bare nel piazzale della scuola “Ispettori e Sovrintendenti della Guardia di Finanza” di Coppito (Aq). Non c’è più nessuno.
Solo le pale meccaniche danno vita alle città. Ogni tanto qualche abruzzese ritorna lì. Forse per recuperare qualcosa. Forse per cercare qualcuno. Forse, solo per credere di aver sognato tutto quanto. Shock.
Giornali, radio, tv ci hanno bombardato in questi giorni di immagini di orfani. Di madri e padri sopravvissuti ai propri figli. Di genitori che si sono sacrificati, a volte invano, per ridare la vita al proprio bambino. Di studenti che sono morti solo perché volevano costruirsi un futuro dignitoso. Perché credevano ad un futuro migliore: il proprio. Un futuro passato. Immagini strazianti. Così come quelle di chi ce l’ha fatta. Di chi ha voluto vivere. Di chi non si è fidato delle scosse che si rincorrevano da mesi. E da giorni insistentemente.
Di chi è vivo e non capisce perchè. Di gente che vaga senza sapere dove si trovi.
Sono trascorsi otto giorni dalla sciagura e le immagini si rincorrono ancora per i notiziari. Le donazioni fioccano da tutta Italia e anche dall’estero. Anche dalla Germania, da Rottweil, gemellata proprio con il capoluogo.
Ricominciare. Ricostruire. Rinascere.
Queste le prerogative imposte dal governo e dagli stessi abitanti. Tutti si stanno mobilitando per non lasciare nell’oblio questa gente, queste persone che non hanno più nulla. Solo la loro dignità. Anche nel momento dell’ultimo saluto alle vittime. Compostezza. Fierezza mista a dolore, si leggeva nei loro occhi non bagnati dalle lacrime. Occhi che raccontavano, tuttavia, di aver ancora paura. Di non risollevarsi dal fumo che ancora circonda le loro case. Quel fumo che avvolgeva anche le duecentocinque bare. E i giocattoli appoggiati a quelle bianche. Quelle dei venti bambini.
Ed è proprio per queste persone, per quel silenzio che riecheggia nell’aria che bisogna ricordare. E non nuovamente accantonare. Non dovranno esserci solo parole dette per placare gli animi. Non dovrà essere una nuova “Irpinia”. Non dovranno essere abbandonati e costretti nei prefabbricati. Non dovrà essere solo una promessa “Ricominciare, ricostruire e rinascere”. Dovrà essere la realtà.
E adesso che anche le ruspe scaveranno negli ultimi edifici e profaneranno ciò che di più intimo si celava in quelle mura, in quelle case, saremo noi a ricordare. Per quegli occhi e quei lamenti mai urlati.
Cinzia Forcellino
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