Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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19 marzo 2010

Quer pasticciaccio brutto de via Teulada

Diario di un naufragio
L’esclusione televisiva è la nuova forma di censura politica e scomunica ecclesiastica.
Mercoledì. Sto costruendo una zattera in questo momento. In mente ho quella di Géricault, Le Radeau de la Méduse, perché? Dispongo le assi e stringo le corde. Il mare è agitato, lo sono anch’io: sto partendo per il mondo nuovo, quello del nuovo millennio. Sulla zattera di Géricault la televisione non c’era, era il 1819, oggi io la devo portare per forza. Sulla terra c’erano due censori: il Principe col suo privilegio di stampa e il Papa col suo Indice dei libri. Oggi, da questa terra dalla quale salperò, c’è sopra-a-tutto la televisione con la sua voce, la visione e la revisione, l’esposizione e l’esclusione. Sto costruendo una zattera e, disposte le assi e strette le corde, cerco una posizione per lei: la metto qui al centro, l’accendo. C’è L’Isola dei Famosi e c’è Aldo Busi, ha deciso di abbandonare il programma: «I cameramen se la danno a gambe levate quando parlo di politica e letteratura. Non interessa qui nulla a nessuno dell’Alfieri e del Beccaria. Io non le posso dire queste cose, nessuno è interessato, il filtro è tale che so che mi sono prestato a una pantomima di me e dell’intellettuale». Ma perché le telecamere dell’isola scappano? Perché le orecchie della terra ferma non sentano. Ma è un pasticciaccio brutto, prima lo cercano e cedono («Una clausola mi imponeva di non parlare di politica e di religione. Ho preteso che venisse tolta. Altrimenti cosa dovrei dire tutto il giorno? Cip-cip?»), prima lo invitano e poi lo evitano? Beh, forse è perché è tutto il giorno che lavoro alla zattera, forse è perché ho sonno, sono stanco: non capisco.
Giovedì. Dormire sul legno non è comodo, pensare tutta la notte è ancora più scomodo. C’erano le nuvole e quindi non potevo chiedere alle stelle, mi sono addormentato e ho chiesto alla mia mente. Ho sognato il naufragio della Medusa, un incubo: la francese Méduse, stava navigando verso il Senegal, quando si incagliò forse perché il comandante sbagliò. Imbarcò quindi ben 250 notabili e 139 addetti su una zattera di 20x10m, legata alle scialuppe da una cima, in viaggio per la costa. La corda si stracciò (qualcuno la tagliò?) e la zattera naufragò. Già la prima notte morirono in venti, un’altra metà cadde in mare perché non smettevano di litigare, sul finire dalle mani passarono alle bocche e dall’egoismo al cannibalismo. Dopo tredici giorni vennero salvati i sopravvissuti, una dozzina o una ventina (cinque morirono la notte seguente). Tre anni dopo, nel 1819, Géricault dipinse la tragedia su tela: il naufragio della Medusa era quello dell’Impero Napoleonico. Un regime senza libertà d’espressione, corrotto senza un cerotto. Accendo la televisione: Aldo Busi è stato escluso da tutte le trasmissioni Rai! Ieri ha parlato male di Berlusconi (che non abbassa le tasse) e di Ratzinger (che non accetta gli omosessuali), è stato volgare per il volgo: «La forma è il linguaggio. La mia sostanza sta nella mia forma. Il fatto che la mia forma sia sbagliata per lei, Ventura, e per la maggior parte degli italiani vuol dire a maggior ragione che io la forma non la cambio. Questa nazione è indietreggiata di 15 anni anche per colpa vostra. Voi dovete essere ricoverati. Sentite quelli che avete mandato sull’Isola con me. Non è una novità per me non essere capito. Purtroppo sono tutti come Federico Mastrostefano (un ex tronista). Non c’è più cultura. Il Paese è morto».
Venerdì. Ho sciolto l’ultimo nodo, ho deciso: non parto. Io nel mondo nuovo, nel nuovo millennio non ci voglio andare. Prima c’era il privilegio di stampa e l’Indice dei libri ok, c’erano i principi e i papi, poi i nuovi imperatori col cavallo bianco. Le gazzette poi i giornali. Ora c’è la televisione. L’esclusione televisiva è la nuova forma di censura politica e scomunica ecclesiastica. Ho paura, io non parto. Sento che lì sarà peggio. Laggiù ci sarà solo la televisione, perché già qui si comincia e finisce da lei, si comunica e si nasconde con lei. Lì ci sarà solo quell’apparecchio, un solo apparato. Immagino degli uomini con la testa da tele, dei grandi monitor sopra le spalle. Immagino che tutti abbiano giacca e cravatta, senza che si veda la pelle. Immagino che ognuno sbatta, che nessuno abbia la faccia. Anche il telegiornale mente, anche il direttore è un dittatore. Immagino che si parli di tutto e non si parli di nulla, immagino tanti fumetti da quelle teste quadrate e tanto fumo. Immagino che il volume sia alto ma lo spessore no, che i canali siano tanti ma gli scenari no. No! Rimango qui, qui dove rimangono tutti gli esclusi come Busi. Rimango qui a scrivere queste cose, sul mio diario. Perché non voglio vivere in un mondo in cui ci sia solo la televisione, che se non vai in sovraimpressione non sei. Perché non voglio cedere in nessun modo ai dirigenti, ai direttori, ai dittatori della televisione, che pensano che la sovraesposizione sia essere, escludere sia uccidere. Laggiù comanderanno loro. Alla ricerca del loro oro: il bollo, il protocollo e il controllo. In via Teulada. «Se avete bisogno di me, mi trovate in libreria. La mia pantomima della cultura è durata fin troppo. Da un momento all’altro questa telecamera diventerà buia e io sparirò. Non adduco pretesti di salute, anche se ho un’infezione, non è una malattia diplomatica la mia. Senza di me, che ho fatto il capro espiatorio, potranno scagliarsi l’uno contro l’altro. E vedremo la vera ipocrisia».
Che pasticciaccio brutto però.
Alessandro Ferraro

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