Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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01 marzo 2014

La forza delle parole

«Quando io uso una parola - disse Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante - essa significa esattamente quello che decido io ... né più né meno.» «Bisogna vedere - rispose Alice - se lei può dare tanti significati diversi alle parole.» «Bisogna vedere - replicò Humpty Dumpty, - chi è che comanda... ecco tutto». 
Lewis Carrol1, Alice Attraverso lo specchio

 
«Steinlauf mi vede e mi saluta, e senza ambagi mi domanda severamente perché non mi lavo. Perché dovrei lavarmi? starei forse meglio di quanto sto? [...] Più ci penso, e più mi pare che lavarsi la faccia nelle nostre condizioni sia una faccenda insulsa, addirittura frivola: un’abitudine meccanica, o peggio, una lugubre ripetizione di un rito estinto. Morremo tutti o stiamo per morire: se mi avanzano dieci minuti fra la sveglia e il lavoro, voglio dedicarli ad altro, chiudermi in me stesso, a tirare le somme, o magari a guardare il cielo e a pensare che lo vedo forse per l’ultima volta; [...] appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso ».
Primo Levi, Se questo è un uomo

 

«Hope -- hope is what led me here today. With a father from Kenya, a mother from Kansas and a story that could only happen in the United States of America. Hope is the bedrock of this nation. The belief that our destiny will not be written for us, but by us, by all those men and women who are not content to settle for the world as it is, who have the courage to remake the world as it should be». - Barack Obama




Ho scelto di fare una tesina sul libro La manomissione delle parole di  Gianrico Carofiglio perché l’ho trovato  pulito, liscio, semplice, diretto e conclusivo. Un libro che ho letto in un periodo della mia vita in cui, credo, ho saputo recepirne pienamente la lezione. Un libro che mi è stato regalato dopo essere stata eletta consigliere comunale nel Comune della mia città: Massa Carrara. Un saggio che è arrivato tra le mie mani dopo "Indignez Vous!" del quasi centenario Stéphane Hessel, e dopo Ribelliamoci, l’alternativa va costruita della meravigliosa Luciana Castellina.
Il libro di Carofiglio si divide in due parti, la prima, che è anche quella che dà il titolo al volume, è lo sviluppo di una conversazione che l’autore ha avuto al Salone del Libro di Torino nel 2009. La seconda (Le parole del Diritto) rappresenta la rielaborazione di un dialogo tra Carofiglio ed un suo amico.
L'autore definisce il libro un saggio, ma lo chiama anche "antologia anarchica", dove si cerca il senso anche e soprattutto grazie alle parole di altri personaggi: Hannah Arendt, don Milani, Bob Dylan, Aristotele, Bob Marley, Primo Levi, Goethe, Gramsci… I capitoli sono uniti tra loro da un itinerario concettuale, ma il testo si può leggere anche senza seguire l’ordine delle pagine. Inoltre, nel finale, ci sono delle utilissime note curate da Margherita Losacco (docente di filosofia all’Università di Padova).
Quindi  è un saggio sul linguaggio e sulle parole e sull’uso che oggi si fa di entrambi.
Le parole ovviamente servono per comunicare, per raccontare e raccontarsi, ma possono servire anche per cambiare il senso delle cose, il senso della realtà.
Quando non si da più importanza alle parole che vengono utilizzate, quando il linguaggio diventa povero nel lessico e nel contenuto, c’è sempre una perdita di senso.
A questo punto è vitale restituire alle parole la loro forza originaria, donargli dignità e prestare attenzione a come si parla e a quel che si dice. Questo non significa soltanto usare correttamente il congiuntivo, significa più profondamente, rendere nuovamente le parole aderenti alle cose : dare al significante il suo migliore significato.
Rosa Luxemburg ci insegna che chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, e personalmente credo che in questo preciso periodo storico, sociale e culturale, ci sia bisogno di rivoluzione, anche nel senso stretto del termine (rivoluzióne s. f. [dal lat. tardo revolutio-onis «rivolgimento, ritorno», der. di revolvĕre: v. rivolgere].
Gianrico Carofiglio ha scelto di soffermarsi su cinque parole: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza e scelta.
Interessante è anche una sesta parole, quella presente nel titolo: manomissione. Manomissione è una parola che ha due significati. Il primo è quello di alterazione, violazione, danneggiamento. Il secondo, che ignoravo fino alla lettura del libro, deriva dall’antico romano: liberazione, riscatto, emancipazione (con il termine manomissione ci si riferiva alla cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato!).
Riflettere sulla parola vergogna, oggi è necessario. Viviamo in un paese dove è diventato quasi vergognoso vergognarsi. Niente di più sbagliato. Provare vergogna rappresenta è un segnale da ascoltare per non intaccare la nostra etica personale. Al lato opposto della vergogna troviamo l’onore e la dignità, parola quest’ultima che io credo debba essere inserita nell’alfabeto di ogni essere umano. Il sentimento della vergogna può aiutarci a migliorare.
Giustizia è una parola che sinceramente andrebbe rimodellata dal principio. Se ci pensiamo bene, chi non prova vergogna spesso non è nemmeno ben rivolto alla giustizia. La giustizia però va di pari passo con il nomos, con la legge, che è il fondamento stesso della democrazia. In molti si dimenticano purtroppo il principio di eguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge enunciato dall’art.3 della nostra Costituzione. Una giustizia come uguaglianza, come equa ripartizione dei beni, come abolizione di ogni forma di sfruttamento. Zeus, dona agli uomini Dike, la giustizia terrena: principi ordinatori di città e legami produttivi di amicizia senza i quali non esisterebbe la politica.
Ribellione invece è una parola che evoca la violenza fisica, il capovolgimento delle cose. Ma il contrario della parola ribellione qual è? Troviamo repressione, obbedienza, rassegnazione e secondo Carofiglio anche tirannia. Ribellione in opposizione all’obbedienza quindi. Ribellione come responsabilità, autonomia , come rimedio contro la bruttezza, l’umiliazione e la perdita di dignità. Ribellarsi è un diritto, dobbiamo farlo sempre e in qualsiasi settore.
Bellezza ha dentro di se un mondo. Secondo Camus, persino le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza. Una bellezza pura, una bellezza delle cose; non un ornamento, ma una forma di salvezza e insieme una categoria morale. "Il bene assoluto, nelle sue forme più antiche era composto inseparabilmente da giustizia e bellezza" ci dice Luigi Zoja. Bellezza estetica e bellezza etica, contro lo squallore.
Infine la parola scelta. Una parola che a me fa una paura terribile. Curioso notare che la parola scelta ha molti sinonimi ma nessun contrario. Un termine molto simile per etimologia alla parola dire (raccontare). Scelta significa anche fare un progetto, promettere, andare verso il futuro, e per capire ancora con più forza l’ importanza del significato di questa parola, possiamo semplicemente pensare a chi nella vita non ha possibilità di scegliere o ancora soffermarci sulla scelta dei senza scelta. Scelta può inoltre essere termine che lega gli altri analizzati in precedenza: scelta può essere ribellione non violenta, scelta può essere la ricerca della giustizia, scelta può essere la pratica etica della bellezza e ancora la salvezza dalla vergogna. La scelta è fondamentalmente l’unica grande ricchezza che ci rimane quando abbiamo perduto tutto, quindi ogni giorno dovremmo ringraziare per poter, nelle piccole e grandi questioni del mondo, aver a che fare con questo termine.
Questo libro, anche adesso che ne sto scrivendo un semplice riassunto personale, mi da forti emozioni. Ho 31 anni, mi definisco "una diversamente occupata"; sono stata sommersa, come gran parte dei miei coetanei, da quest’ondata di crisi e di precarietà. Una precarietà che ci dona il superfluo ma che ci fa guardare al futuro un mese alla volta, un contratto determinato alla volta. Una situazione che banalmente, mi fa provare vergogna, mi fa venire sete di giustizia, mi fa avere ancora la forza di scendere in piazza a ribellarmi, senza però perdere la bellezza della quotidianità e la consapevolezza che il mio scegliere giorno per giorno la persona che voglio essere non me lo può togliere nessuno.
Per non uscire troppo dal contesto, termino ricordando l’espressione del filosofo francese Brice Parain: torniamo a rendere le parole delle "pistole cariche".
Elena Mosti



Gianrico Carofiglio
La manomissione delle parole
Milano, Rizzoli, 2010
Carofiglio, è nato Bari il 30 maggio 1961 ed è magistrato, scrittore e politico.

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