Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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14 febbraio 2015

Guerre, informazione, propaganda


Giovanni Porzio, giornalista milanese, nasce nel 1951. Si appassiona alla fotografia durante gli studi di Scienze Politiche e dal 1979 lavora per il settimanale Panorama, di cui è inviato speciale. Ha realizzato servizi e reportage in 124 paesi tra Medio Oriente, Africa, Europa e America, specializzandosi nel giornalismo di guerra. In Cronache dalle Terre di nessuno, sedici anni da inviato sulla linea del fuoco. Guerre, informazione, propaganda il giornalista ripercorre la propria esperienza come inviato. Dalla Prima Guerra del Golfo nel 1991 fino alla guerra in Iraq del 2002, ci presenta un racconto e un analisi, talvolta pungente, della mediatizzazione dell'informazione.
 Nel 1991 Giovanni Porzio é l'inviato di Panorama a Baghdad, dove è in corso la Prima Guerra del Golfo. L'informazione mediatica é strettamente controllata, i giornalisti sono accreditati dal JIB (Joint Information Bureau), che dispensa le regole fondamentali della comunicazione: le round rules. Per motivi militari vige il divieto di divulgare notizie relative all'ubicazione, agli armamenti, alle basi e agli spostamenti dei contingenti alleati. Ma è anche vietato filmare o fotografare soldati feriti o uccisi, descrivere le operazioni militari e l'armamento nemico, il linguaggio deve essere moderato e le informazioni riguardanti luoghi e date devono essere generalizzate e imprecise. Il governo americano si impone come organo di propaganda e censura. Avviene però una svolta nel giornalismo di guerra: la CNN ottiene il permesso di riprendere in diretta televisiva l'operazione militare Tempesta nel deserto. I giornalisti Peter Arnett e Robert Wiener sono gli unici ad avere il permesso accordato dallo stesso Saddam di rimanere in Iraq, strettamenti controllati e senza avere il reale potere di fare alcun scoop che non sia accordato da entrambe le fazioni e con il divieto di avvicinarsi alle zone di guerra.  Le informazioni divulgate come breaking news raccolte sul campo sono in realtà veline approvate dal Pentagono, le immagini sono riprese a chilometri di distanza dal fronte e negano la verità dei fatti. Le reazioni indignate dei media non tardano a manifestarsi e negli USA i principali organi di informazione si mobilitano per chiedere l'abolizione della censura. Molti giornalisti, come lo stesso Porzio, scelgono di raggiungere la linea del fuoco illegalmente, con il conseguente arresto. Tuttavia i sondaggi pubblici sembrano sostenere le decisioni del Pentagono: il 78 per cento degli americani approvava la restrizione informativa e il 60 per cento era favorevole a controlli più severi.
La Guerra civile somala, che segue di poco la conclusione dell'operazione "Tempesta nel deserto", é in un primo momento totalmente ignorata dai media e dall'opinione pubblica occidentale, finché dal 1992 il conflitto non si trasforma in una crisi umanitaria. La sensibilizzazione dell'opinione pubblica comincia con la serie di documentari realizzati dall'attrice Audrey Hepburn per conto delle Nazioni Unite, alla quale segue anche un intervento di Sophia Loren nella città di Baidoa. Subito dopo Washington approverà l'impegno di trentamila soldati per distribuire alimenti e combattere la carestia. In questa occasione la censura non è necessaria, l'interesse dell'opinione pubblica é totalmente concentrato sull'intervento occidentale a sostegno della popolazione somala e non dal tragico conflitto avvenuto in precedenza. Lo sbarco dei Marines è programmato per essere un evento mediatico: l'ora coincide con il prime time americano e le spiagge somale vengono trasformate in un set cinematografico. Nella realtà l'intervento delle Nazioni Unite degenera in uno scontro armato, Porzio si trova a Mogadiscio e ne è testimone diretto. Le cronache provenienti dalla capitale Somala, però, non fanno notizia in occidente. La battaglia di Mogadiscio sarà l'ultimo grande evento di interesse per i media prima del definitivo abbandono della Somalia da parte dei giornalisti. I pochi che rimangono lo fanno mettendo a repentaglio la propria incolumità, come testimonia la tragica l'uccisione di Ilaria Alpi.
In Rwanda e nello Zaire Porzio assiste al genocidio degli Hutu per mano dell'etnia Tutsi: "mi misi subito al lavoro per raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti. Le pagine dei miei taccuini si riempivano di orrori". Come in Somalia, l'interesse dei media si scatena tardivamente, quando lo scontro è già tragedia e l'opinione pubblica viene mobilitata da un intervento umanitario dell'occidente. I giornalisti sono liberi di circolare e raccogliere informazioni, non esiste nessun tipo di controllo sul flusso delle notizie. In questo caso sono stati i media locali ad avere fondamentale importanza come strumento di propaganda nel fomentare le rivolte e le rappresaglie e ad istigare il genocidio. Mentre in Africa la guerriglia, la carestia e le malattie uccidono, in occidente l'opinione pubblica resta indifferente: "Le immagini televisive puntavano a suscitare il riflesso emotivo della comprensione senza compassione: un meccasismo psicologico che i mezzi di comunicazione di massa sfruttani ampiamente per aumentare l'audience senza appesantire lo spettacolo con troppe analisi e noiose spiegazioni".
Durante il reportage sul Kosovo Giovanni Porzio si unisce all'Associazione di amicizia Italia-Albania. Quando arriva a Tirana la guerra civile sembra ormai inevitabile. Qui i giornalisti non possono seguire gli avvenimenti di persona, seguono i notiziari della BBC da un albergo e riportano solo notizie di seconda mano. L'apparato propagandistico della Nato fu ampliato creando il Media operation center, mentre gli indipendentisti kosovari avevano affidato la loro immagine alla società americana di pubbliche relazioni Ruder & Finn. Le notizie arrivano in occidente manipolate attraverso i briefing di Bruxelles e le veline della Nato.
La seconda metà del libro di Porzio è interamente dedicata alla questione medio-orientale e alla guerra in Iraq. A causa dei numerosi scontri sul territorio palestinese le notizie non erano difficili da reperire: Dovunque andavamo ci imbattevamo in una storia buona per il Tg di Gabriella o per il mio giornale. Ma il conflitto arabo-israeliano è un terreno difficile per qualsiasi giornalista: ogni servizio rischia di assumere una posizione politica e la censura pesa su ogni dichiarazione. I reporter devono fare i conti con il potere israeliano, ma non possono restare indifferenti di fronte alla negazione dei diritti dei palestinesi. In un simile contesto propaganda e disinformazione condizionano pesantemente l'opinione pubblica nazionale e internazionale. Dopo l'11 settembre 2001 sono gli Stati Uniti a tenere le redini della propaganda, costituendosi simbolo della democrazia e della lotta al terrorismo. Sul fronte opposto Bin Laden ha una grande familiarità con i meccanismi dell'informazione globale e un'intima conoscenza della psicologia dei popoli arabi. Anche in Afghanistan Porzio conduce da solo le proprie indagini, in quanto ritiene che ottenere un embedding con gli americani non sia vantaggioso e quello italiano non gli permetterebbe di avvicinarsi alle zone di guerra. I governi occidentali costituiscono l'Office of Strategic Influence, per intervenire preventivamente sul flusso di notizie in uscita dall' Afghanistan. I media americani, sopratutto Fox News emittente di Rupert Murdoch, fungono da organo propagandistico del Governo Americano. In Iraq ottenere il visto è ancora più complicato, il regime di Saddam seleziona i giornalisti in base all'importanza della testata e alla fiducia che ripone nei singoli inviati, essere accreditati sognifica quindi sottostare a dei compromessi e a delle regole molto rigide che influenzano inevitabilmente la libertà d'espressione del giornalista.
Dopo l'impiccagione di Saddam accreditarsi diventa ancora più complicato. Oltre a tesserino stampa, lettera del giornale e passaporto, è necessario firmare l'elenco delle ground rules e la liberatoria in caso di morte o ferimento. I giornalisti vengono schedati attraverso foto digitali, dell'iride e attraverso la rilevazione delle impronte. La procedura richiede giorni di attesa, dopodiché è possibile accedere alla zona verde dei combattimenti, così diversa dalla zona rossa teatro di massacri irreali. Il susseguirsi degli attentati e delle stragi satura l'opinione pubblica occidentale al punto che l'Iraq non ottiene le prime pagine se i morti non sono almeno centinaia.
Nel corso della guerra poi gli Stati Unti saranno colpiti da uno scandalo dopo l'altro anche a causa della nuova tecnologia (blog, MySpace, You Tube e le prime piattaforme sociali) che permette ai soldati di contattare le famiglie raccontanto il vero volto della guerra senza la possibilità di censura e anche all'imtervento dell'emittente televisiva Al-Jazeera che trasmette video esclusivi di americani che torturano prigionieri di guerra. The worst US foreignpolicy disaster since Vietnam, affermerà Patrick Cockburn.
Le parole di Giovanni Porzio raccontano il mondo dell'informazione con crudo realismo. Dalle cronache del giornalista emergono realtà ben diverse da quelle mostrate dai media, evidenziando ancora una volta come il lavoro del reporter sia condizionato da fattori esterni alla volontà di riportare i fatti oggettivamente.
La censura, durissima in tempo di guerra da sempre, dal 1991 viene però lentamente aggirata. Nel suo racconto Porzio ci mostra come dal tempo di "Tempesta nel deserto", in cui o eri embedded e sottostavi a regole stabiilite dall'alto o non potevi avere informazioni, si è passati alla figura del non-embedded, quel giornalista che riesce a muoversi autonomamente, a suo rischio e pericolo, non legato però a leggi di censura. Questo è possibile anche ai nuovi media che rendono il collegamento con la propria redazione possibile o, ai nostri giorni, addirittura immediato.
Nel libro di Porzio la narrazione autobiografica si intreccia con il racconto storico e la critica. Questi molteplici piani di racconto ci permettono di avere una visione a tutto tondo della guerra, sia dal punto di vista umano dei vari paesi in guerra contrapposti, sia dal punto di vista di un'esperto di informazione che analizza i mezzi di comunicazione coinvolti. I media mondiali, durante queste guerre, sono spesso anche loro impegnati in un conflitto interno per manipolare la pubblica informazione per ottenere consenso alla guerra stessa. Giovanni Porzio si sofferma più volte su quanto è facile e poco impegnativo dividere i "noi" buoni da "loro" cattivi e da sconfiggere. Divisione che anche oggigiorno è più volte ripresa come argomentazione valida per indottrinare le masse non interessante ad acquisire una visione critica della realtà.
L'inviato di Panorama ha inoltre evidenziato come vengano ancora usati organi specifici per il controllo dell'informazione, non sono per la salvaguardiadelle operazioni militari; L'Osi (Office of Strategic Influence) creato e gestito dal Pentagono in corrispondenza della guerra in Afghanistan è stato chiuso nel 2002 "travolto dalle polemiche: era emerso con evidenza che il suo obiettivo era fornire deliberatamente ai media false informazioni e notizie manipolate".
Oltre ai conflitti il libro è una splendida e emozionante testimonianza di lavoro giornalistico ed esperienza sul campo in zone di guerra. Un cambiamento degno di nota nel lavoro è dato sopratutto dal fatto che una volta il giornalista era considerato un narratore necessario sul campo di battaglia, una terza entità. Ora invece non è più così; il giornalista è considerato come merce di scambio da rapire per avere il riscatto o un potere sul nemico. La dedizione delle persone che si dedicano alla ricerca della notizia, nonostante tutto il pericolo, è più che mai lodevole e credo che sia questo che Porzio volesse far trasparire dalle sue pagine raccontanto la sua storia ma anche quella dei suoi colleghi e collaboratori. Dietro alle notizie e ai reportage di giornali e telegiornali, infatti, c'è chi mette in pericolo la propria vita per raccontare ciò che accade in guerra, per essere poi talvolta censurato o rimproverato da governi, dalla società o anche dalla propria redazione per aver raccontato troppa verità.
Purtroppo, come si è sempre verificato, non è possibile raccontare oggettivamente una guerra sui giornali o in tv, dove variabili come spazio e tempo si legano alle esigenze del mezzo di comunicazione e alla linea editoriale e politica del media. Il lettore quindi non può permettersi di apprendere una notizia passivamente ma deve documentarsi il più possibile attraverso fonti diverse per avere una visione più completa dei fatti e poter raggiungere un'opinione personale. 
Erika Repetto

Giovanni Porzio
Cronache dalle Terre di nessuno, sedici anni da inviato sulla linea del fuoco.
Guerre, informazione, propaganda
Troppa editore, Milano, 2007.

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