Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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08 aprile 2017

I figli dell'odio

Se ne parla ancora troppo poco.
I bambini di Mosul rapiti, indottrinati, usati come scudi umani o resi schiavi. Nati già morti. Costretti ad uccidere per non essere uccisi. Oppure arruolati come insospettabili kamikaze.
Di loro non conosciamo i volti, i nomi, le storie. Sono fantasmi nelle nostre coscienze. E forse per questo non sono degni di occupare i nostri dibattiti. Per loro non si accendono gli animi nelle aule del Parlamento. Per loro nessuna fiaccolata o corteo di protesta. E nemmeno la loro tragedia turba i nostri sogni. Dormiamo tranquilli. Mentre loro muoiono. Dimenticati dal mondo.
Innocenti e vittime anonime di una guerra da tutti considerata insensata. Tuttalpiù reputati uno spiacevole effetto collaterale della lotta all'Isis. Immolati in sacrificio a un dio costruito a tavolino per giustificare orrori senza fine.
Bambini. Come i nostri. Bambini che dovrebbero andare a scuola, giocare a pallone o con le bambole. Bambini che non sorridono più. Che non conoscono l'amore ma sanno bene cos'è l'odio. E se lo portano dentro per tutta la vita. Senza aiuti. Senza cibo. Senza medicine. Senza dignità.
Di questi bambini si dovrebbe parlare e scrivere affinché rimanga memoria delle atrocità di cui è capace l'uomo. Dell'indifferenza di cui si copre l'anima vigliacca della politica, volutamente incapace di trovare una soluzione. Gli stessi uomini che commemorano gli orrori del passato, che celebrano le giornate del dolore, che negoziano la pace come fosse una merce anziché un diritto. Quegli stessi uomini che costruiscono muri e moltiplicano armamenti senza alcuna vergogna. Neanche un po' di vergogna per quelle creature lasciate a morire nel corpo e nello spirito.
Come si dimentica facilmente la responsabilità di essere chiamati "uomini".
A questi bambini che muoiono in nome dell'odio che noi abbiamo creato e non sappiamo combattere, vorrei dire che finché non sentiamo le loro urla piene di silenzio, siamo tutti degli sconfitti. Vorrei potergli spiegare che il buio e le macerie non esistono solo a Mosul ma anche nei condomini di egoismo e viltà che popolano le nostre città. Vorrei accogliere ognuno di loro tra le braccia aperte dei nostri giornali per raccontare le loro ferite e fotografare le loro anime. Vorrei condividere con loro tutti i sorrisi che non hanno potuto fare mentre fischiavano le bombe e regalare loro tutta la luce che noi non abbiamo saputo accendere.
A questi figli dell'odio chiedo perdono per non sapere come reagire. Ai padri di questi figli chiedo il coraggio di sopravvivere. A tutto il mondo chiedo di smettere di fare finta di niente.
Anna Scavuzzo
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