Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



15 luglio 2018

Razzismo implicito: non si dice, ma si fa


Quando le parole non bastano, serve la coscienza. Ma se si parla di media, di mezzi di comunicazione, necessari e opportuni  all’informazione comunitaria, il linguaggio deve essere accuratamente ragionato. Il risultato di una mancanza di attenzione nelle parole usate è (ahinoi) gran parte del giornalismo odierno.
Il libro Tracciare i confini edito da FrancoAngeli nel 2016 è un’indagine approfondita, con tabelle, dati e statistiche, sul metodo di divulgazione relativo all’immigrazione in Italia nei principali quotidiani nazionali (La Repubblica, Corriere della Sera, Il Giornale, Avvenire, l’Unità e altri), nei Tg delle emittenti televisive più seguite (Rai, Mediaset) e nel vasto e impreciso mondo virtuale. L’arco temporale è, in generale, l’ultimo trentennio, ma alcuni paragrafi analizzano specifici anni di grande importanza. Nel biennio 2002-2003, per esempio, seppur non ancora immediato, il binomio immigrazione-criminalità appare protagonista di buona parte della cronaca nera finita in prima pagina. Nel 2008 si scatena il dibattito istituzionale sulla tutela della sicurezza dei cittadini e sulle politiche da introdurre per gestire i flussi migratori nella penisola. È infatti quasi sempre la politica italiana a porre all’attenzione il fenomeno dell’immigrazione come “problema” e ciò si riflette sulla stampa. Il 2011, invece, è stato l’anno delle Primavere Arabe, termine giornalistico per definire le guerre civili che hanno posto fine a dittature decennali, ma che sono conosciute in Italia anche per i tanti sbarchi a Lampedusa. A partire da quest’anno, aumenterà l’emergenza e l’invasione nei giornali e si tornerà a parlare violentemente dei troppi arrivi sugli schermi televisivi con un linguaggio spesso impreciso e fraintendibile.
L’informazione italiana, secondo gli autori, ha scelto di “semplificare all’eccesso”, dando titoli scandalistici in cui compare rigorosamente la nazionalità del colpevole quando questa non è italiana.1 Questo fenomeno di etnicizzazione è purtroppo costante e ripetitivo: l’enfasi giornalistica non è tanto sul crimine da condannare quanto sulla descrizione del colpevole, l’attenzione è posta al solo momento di arrivo, senza un’adeguata argomentazione delle cause e delle condizioni di viaggio, per non parlare di macro fenomeni  come conflitti e crisi internazionali o la globalizzazione economica sui quali andrebbero necessariamente fatte approfondite riflessioni. Per lo meno per un’equilibrata informazione.
L’immigrazione incontrollata, la sicurezza nazionale, la gestione del flusso e altri “slogan elettorali” finiscono per descrivere gli stranieri (tutti definiti immigrati o clandestini senza una vera distinzione etimologica) come criminali per antonomasia, la cui integrazione, seppur pretesa, non sarà mai possibile. Quella che gli autori definiscono immigrazione-come-notizia è semplice realtà: negli ultimi anni i media hanno avuto un ruolo centrale nella costruzione di un clima generalizzato di paura, enfatizzando quei crimini sempre più vicini alla nostra quotidianità, e di rappresentazioni tipizzate dell’altro in base all’etnicità. Le ragioni di questa tendenza sono principalmente la forte dipendenza dei media dalle fonti giudiziarie e dalla routine giornalistica e l’effetto della cristallizzazione degli stereotipi. Si aggiunge la terza ipotesi  degli autori: “tradurre in consenso politico-elettorale i crescenti sentimenti d’insicurezza dell’opinione pubblica e di paura nei confronti dell’Altro” identificata con le iniziative dei movimenti populisti italiani ed europei.
Ritengo di non esagerare quando parlo di “razzismo implicito”: quella che una volta veniva chiamata razza ora si chiama cultura, ma il concetto di base cambia poco. Tanto è vero che l’aggettivo tradizionale, con uno slittamento semantico, finisce per coincidere con naturale, quindi inevitabilmente inalterabile.Nel linguaggio, scritto ma soprattutto parlato, esistono termini ed espressioni che, implicitamente, dimostrano (attraverso scelte stilistiche) quanto la nostra società sia ancora alquanto concentrata sulla nazionalità degli individui: il Rom ladro per natura, definire marocchino ogni nordafricano, generalizzazioni etniche, ragionamenti che dovrebbero essere seri e razionali diventati motti privi di argomentazioni valide (“Perché l’accoglienza di venti profughi nel nostro paese sarebbe un problema?” “Perché l’Italia è piena, ora basta!” oppure “E a noi chi ci accoglie?”).
Ancora una volta, è necessario armarsi di buon senso e tolleranza per interpretare quel complesso fenomeno che (implicitamente o no) porta al razzismo e alla sua evoluzione. Solo dopo una reale presa di coscienza si otterrà l’antidoto contro un male che da secoli pervade il nostro mondo.


Valentina Foti




Tracciare i confini. L'immigrazione nei media italiani
a cura di M. Binotto, M. Bruno,  V. Lai
FrancoAngeli, Milano, 2016, pp.

Nessun commento:

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.